Citazioni

Vita intelligente!
Vita intelligente!

“A volte penso che la certezza dell’esistenza di una vita intelligente da qualche parte nell’universo ci è data dal fatto che nessuno ha mai cercato di contattarci…”

Onestamente credo che questa sia una tra battute migliori mai state scritte su un fumetto, grazie Bill Watterson!

Il lascito

Johnny Cash Stamp
Johnny Cash Stamp

Mi trovavo al parco della Pellerina di Torino ad aspettare che il concerto gratuito di Iggy Pop and The Stooges iniziasse, la prima volta che sentii Johnny Cash cantare “Hurt” dei Nine Inch Nails. Mi girai verso il mio amico chiedendo “ma questa è… “Hurt””? -annuì- e chi la canta? “Johnny Cash”. Oddio, Johnny Cash? Quelli della mia generazione e nazionalità erano già abbastanza fortunati se l’avevano sentito cantare  “The Wanderer” degli U2, altrimenti ne sapevano ben poco del Man In Black. Mi ci metto anche io: sapevo che era un cantautore americano, di pseudo- country, ma, a parte questo, a parte aver sentito qualche volta “Ring Of Fire”, finita poi anche nella pubblicità di certi Jeans cui avevano tolto un rivetto, non è che mi fosse arrivato un granché del suo personaggio.

Invece andava approfondito. Eccome se ne valeva la pena. Non mi sembra il caso di riprendere ulteriormente la statura umana ed artistica del personaggio, anche solo la profondità estrema della sua voce, la rocambolesca quanto incredibile storia con June Carter o la sua voglia di cantare per gli ultimi, gli estromessi ed i reietti. Un po’ l’ho comunque fatto: per tutte queste e per altre cose ancora oggi quell’uomo è una leggenda, com’è giusto che sia. Ma cos’abbia spinto quella persona, quasi al termine della sua vita, a riprendere un testo colmo di afflizione come “Hurt” era difficile intuirlo. Lui che, nonostante i suoi problemi con le droghe, in fondo, eroinomane non lo è mai stato. Cosa c’entra lui con una musica come quella dei Nine Inch Nails? O con quella dei Depeche Mode? Con Nick Cave ci si poteva anche arrivare…

La risposta è che Johnny Cash non ha mai smesso di essere curioso, di mettersi in discussione e di amare la musica profondamente e per tutta la vita. Non ha avuto paura di confrontarsi con voci diverse dalla sua, lontane anche dal punto di vista generazionale, senza preoccuparsi della sua età avanzata o del fatto che la sua voce avesse in se’ tutti i segni della vita trascorsa. Più tardi avrei pensato ad un parallelo con Galileo Galilei che, giunto ai suoi ultimi anni, non si fece distrarre dal tempo trascorso sulla terra, continuò invece la produzione scientifica, con un lavoro serrato e caparbio: senza paura come, forse, non aveva mai fatto prima. Johnny, invece,  prese in mano la chitarra e registrò le “American Sessions”: una sorta di testamento musicale, sotto forma di racconto corale, nel quale prende spunto dagli autori più disparati riuscendo a dare alle loro canzoni un’ interpretazione assolutamente affascinante: una straordinaria dimostrazione di sensibilità e passione mai sopita.

Quello che posso augurare a me stesso è di riuscire a mantenere a mia volta la stessa lucidità intellettuale, la stessa volontà di ricercare e di mettersi in gioco, ma, soprattutto,  di non scordare che l’età che avanza, a ben vedere, è una possibilità che si rinnova, anno dopo anno, senza dimenticare di avere cura ed affetto per tutte le persone che ci accompagnano e ci aiutano a fruirne.

Qualcuno riporta che lo stesso Trent Reznor, dopo aver visto questo video, fosse visibilmente commosso e sul punto di piangere.

Riletture

Mi imbarco raramente in una rilettura, anche se spesso non ho una gran memoria per quello che leggo. Rileggere un libro diventa quindi una sorta di riconoscimento affettivo per l’autore e per quello che è stato in grado di trasmettermi sia a livello di immagini che a livello di riflessioni suscitate. Ricordo veramente poche riletture: i miei due libri del cuore di certo (il maestro e margherita e l’uomo che ride: il primo penso di averlo riletto tre volte) ma veramente poco, pochissimo altro.

Essendo un fautore del “motociclismo da meditazione” (oltre che degli alcoolici da meditazione) il libro di Robert M. Pirsig “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” mi è sempre rimasto nel cuore. No, non sono uno di quelli che sfrecciano nelle strade piene di curve per il gusto di piegare, non sono nemmeno quello che sorpassa selvaggiamente e neanche quello con quella moto pesante e piena di ammennicoli. Sono quello che viaggia spesso di notte e in strade deserte, senza uniformi costose addosso (spesso in pantaloni corti), quello col casco integrale e gli occhiali neri sotto, quello che passeggia e si distrae con naso all’insù, fortunatamente non troppo. Assomiglio a Nanni Moretti in Caro Diario, ma non ho né la barba né la vespa. Ho uno scooter e me ne faccio un baffo di tutte le critiche dei motociclisti duri e puri. Dalle mie parti non avrebbe senso avere una moto propriamente detta e in viaggi lunghi non mi ci sono avventurato, se non in un paio di casi, comunque divertenti.

Non posso occuparmi personalmente della manutenzione del mio mezzo perché la garanzia mi vincola (ancora per poco) ad un concessionario che non sopporto. Un ladro, di quelli furbi e non punibili per legge. Però posso leggere di chi lo faceva e lasciava libero spazio alla sua mente, trovando il divino anche nel motore di una due ruote. Del suo preferire le strade locali e del suo interesse per le cose, delle sue riflessioni e dei suoi tormenti. Poi quando, dopo poche pagine, leggi un brano come quello che segue, sai di non aver sbagliato a volerlo rileggere:

Robert M. Pirsig “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” in edizione Adelphi

“Se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quel che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo ed il paesaggio ti scorre accanto noiosissimo dentro ad una cornice.

In moto la cornice non c’è più, Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena e la sensazione di presenza è travolgente. E’ incredibile quel cemento che sibila a pochi centimetri dal tuo piede, lo stesso su cui cammini, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi- un’esperienza che non si allontana mai dalla coscienza immediata”

Un ricordo presente ed una serie di piagnistei

Ogni anno in estate riesco a farmi nuovi nemici, essendo uno di quelli che questa stagione proprio non la soffre, non l’ha mai sofferta e non la soffrirà mai. Il che, in realtà, significa che la soffro da morire. Non sopporto il caldo, l’invasione di insetti, l’essere appiccicaticcio e l’aria condizionata in macchina, le orde di tamarri che evadono dallo zoo. Buttiamoci sopra la scarsa tolleranza per il sole, causa di ustioni, eritemi ed epistassi varie, l’allergia alle punture di api e derivate, che potrebbe causarmi anche una non richiesta dose di adrenalina in più, l’umidità e l’assenza di un filo di brezza che potrebbe dare anche un minimo di sollievo. La camera da letto che diventa un forno. Le piogge torrenziali che si arrestano brutalmente spalancando la via a pollini in quantità che mi tartassano gli occhi, solcati da mille rami rossi e gonfi.

 Dio quanto ti amo, non è possibile

Lamentarsi, sempre e comunque, non riesco a fare altro. Ed anche questo contribuisce ad aumentare il mio fascino e la mia inclinazione naturale alla vita sociale. E la lira si impenna. Ah no, nemmeno quello.

Sembra quand’ero all’oratorio con tanto sole, tanti anni fa

Purtroppo però il prete non era lì per chiacchierare ma per proibirci di vedere una delle partite di calcio più coinvolgenti di sempre con ben tre capovolgimenti di fronte ed un accesso alla semifinale mondiale. Sembravamo Fantozzi e colleghi durante l’ennesima proiezione forzata de “La Corazzata Potëmkin”: voci impazzite ed incontrollate. Adesso il calcio non lo sopporto. E questo mi fa venire in mente che, crescendo, si inizia una spietata selezione delle cose alle quali portare attenzione e, se generalmente giudico questo processo un bene, bisogna anche dire che, a lungo andare, si innesca un processo di “spegnimento automatico del cervello” che qualche volta finisce per falcidiare anche cose che generalmente meriterebbero un’attenzione maggiore. Ci mancava anche questa. Devo essermi perso qualcosa.

For a minute there, I lost myself.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=IBH97ma9YiI]

Karma Police è una canzone che so a memoria grazie a mille cantate tra amici, chitarra e voce, l’ho imparata in ritardo sul resto del mondo e mi ricordo ogni strofa, ogni pausa ed ogni variazione di tono ed anche molti dei momenti legati alla sua esecuzione. Pur non essendo un estimatore particolare dei suoi esecutori rappresenta una sfida ad essere cantata, una sfida che vinco e perdo, un ricordo presente.

26

Black Sabbath Reunion
Black Sabbath Reunion

Pensavate di esservene liberati con uno striminzito post diviso a metà con quel pretenzioso di Mr. Malick, vero? In tal caso si vede che avete sottovalutato pesantemente il gruppo, pardon la leggenda, di cui sto per parlare. Chi altro potrebbe essere se non… i Black Sabbath, esatto. Nella testa continuano a martellarmi i Daft Punk (grazie alla radio, io li trovo rivoltanti), gli Alice In Chains (bolliti), i Mudhoney (dispersi) e i Queens Of The Stone Age (confusi) ma a me rimangono in testa solo loro.

Sono usciti con un disco nuovo, lo sanno anche i sassi, e sul medesimo se ne sono scritte di tutti i colori. Onestamente poco me ne cape. Uno dei primi ad essere molto più che dubbioso sul loro ritorno ce l’avete davanti e non intendo nascondermi dietro un dito. Pensavo che sarebbe stato un disastro totale, ma disastro totale non è stato, anzi.

Ho sentito dire che, se le stesse cose le avessero suonate degli sconosciuti, non se li sarebbe filati nessuno. Che sia vero non lo so, non è quello il punto: queste 8 (+3) canzoni non le hanno scritte degli sconosciuti e funzionano. Sono sicuro, dopo averlo riascoltato con attenzione, che non hanno insultato il loro glorioso passato. Non sono degli sconosciuti, ma gente che ha fatto la storia di un genere e non hanno ormai più nulla da dimostrare, di sicuro non hanno nulla da dimostrare a individui che la pensano in questo modo.

Ho sentito che questo disco è stato suonato da moribondi… è vero. le disgrazie di salute di Mr. Iommi sono note ed Ozzy non sta tanto meglio. Mi spiace, ma non è rilevante la cosa, piuttosto sottolinearlo è di pessimo gusto. Di certo il discorso economico sotto c’è ma, una volta tanto, potremmo evitare di menarcela con questa cosa? Non volete dargli dei soldi? Non fatelo! Qualcuno che vi masterizzi il disco non dovrebbe essere difficile da trovare. Però dategli una possibilità se li amate.

Black Sabbath 13
Black Sabbath 13

Perché se è vero che il suono non è il massimo, il disco sta in piedi. E, contrariamente a quello che avevo scritto, il lavoro di Mr. Rubin non è nemmeno tanto male: a conferma che ascoltare le cose tramite il PC è decisamente una pessima idea. La chitarra continua ad essere molto lontana da quello che mi sarebbe piaciuto sentire eppure non si può dire che sia obbiettivamente pessima come pensavo ascoltando i brani che circolavano in rete: sullo stereo suona molto meglio. A sensazione, chi ne esce vincitore è Butler: il suo basso ha anch’esso un suono moderno, ma spinge e sostiene le composizioni in maniera egregia, trascina veramente via l’ascoltatore. Brad Wilk svolge (forse frenato anche dal timore reverenziale) un compitino appena sufficiente a dimostrazione di come l’assenza di Ward sia un fattore che non si può ignorare. Anche il cantato di Ozzy supera di molto le aspettative. I riff ci sono e, a mio parere, sono anche di qualità: al diavolo le remore… sarò suggestionabile ed anche di parte, ma un disco non mi si piazzava così in testa da tantissimo tempo e, per me, significa ancora qualcosa.

Quasi una citazione da spaghetti western*

A nord le occhiaie sono un po’ meno fonde, ma gli occhi bruciano da morire, ad ovest nulla da segnalare, ad est due abrasioni profonde sulla mano e a sud tre vesciche in via di guarigione.

Black Sabbath 13
Black Sabbath 13

I Black Sabbath stanno per fare uscire il primo disco dopo anni con Ozzy Osbourne ma senza l’amicone Bill Ward (sigh) e la notizia, anche se è di ieri, è che hanno annunciato l’annullamento della data italiana dovuto a non meglio precisati motivi logistici che facilmente saranno da ascrivere alla ben nota organizzazione di cui l’Italia tutta si fa onore e vanto. Aiuto. Comunque non avevo nemmeno preso il biglietto: un po’ perché, fortuna mia, li vidi già nel 1998, un po’ perché giudico abbastanza immorale spendere 60 e passa euro per un concerto, sia pure di leggende viventi, e soprattutto perché, nonostante abbia acquistato ben due copie del disco in questione (“13”, in vinile ed in CD de luxe), sono pienamente consapevole del fatto che in cabina di regia ci sia la contabile che il povero John Osbourne si ritrova come moglie.

Già una cosa come “The Osbournes” dovrebbe bastare a farla condannare all’unanimità, ma ovviamente la giustizia non è di questo mondo.

Nonostante questo, quello che ho sentito mi piace: Iommi, seppur fisicamente provato, ha ancora un database di riff nel cervello ineguagliabile, Geezer sostiene la sua inventiva alla grande, Wilk fa il suo mestiere e Rubin ha il merito di rendere il biascichio di Ozzy ascoltabile. Tuttavia il grosso demerito del suddetto produttore è di dare un suono decisamente trooooooppo pulito al tutto, soprattutto la chitarra di Iommi che avrei voluto bella spessa, terrosa e, soprattutto, fieramente analogica e valvolare invece sembra uscita dal peggiore dei pro tools digitali. Amen.

"The Tree Of Life" Terence Malick
“The Tree Of Life” Terence Malick

Domenica, dopo averne sentito parlare e riparlare, ho visto “L’albero della vita” di Terence Malick, nuovo idolo della critica cinematografica. Bah… noioso, consolatorio, autocelebrativo ed autoindulgente, un po’ una palla per essere concreti.Tutte queste immagini pulitine ed educate, tutto questo sfoggio musicale, tutti questi scontri fra macro e micro cosmo e tutto questo tedio domenicale, per citare i CCCP. Ho sentito parlare di paragoni ingombranti con “2001 odissea nello spazio” ma il povero Terence non si avvicina nemmeno ad un fotogramma di cotanto film. Innanzitutto la perfetta simbiosi tra musica ed immagini ottenuta dall’ immortale Kubrick, in Malick risulta scialba e poco organica, le immagini risultano tutte molto rifinite e raffinate nella qualità ma per questo risultano fin troppo algide e asettiche, il regista non sembra volersi sporcare le mani con le tematiche che affronta mentre Kubrick ne ha il controllo assoluto, senti quasi il suo respiro dietro alle immagini. E soprattutto, pur dirigendo un film pesante per scenografia e temi affrontati, Kubrick riesce a non annoiarmi nemmeno un secondo e lo stesso non si può proprio dire per il regista de “L’albero della vita”. Inoltre, visto che è una cosa che non sopporto devo proprio dirla, tutta quella falsa consolazione che il film cerca spasmodicamente per tutta la sua durata mi fa vomitare.

Che bello sparare sentenze*.

Il cattivo
Il cattivo

Aggiugi nuovo

Eberything Must Pass
Everything Must Pass…

Mi sono trovato davanti alla pagina bianca diverse altre volte e, in alcuni casi, mi sono sentito a corto di argomenti. Gli argomenti, per quanto mi riguarda, derivano dal confronto tra la realtà e ciò che ne ricavi osservandola. Deriva dalla capacità di osservazione e, poi, da quella di relazione, l’essere in grado di proferire parola. Occorre mettersi in gioco, formulare un’opinione che sia coerente con il proprio modo di porsi nei confronti della vita. Non solo chi produce arte si mette in gioco, si mette in gioco anche chi ne fruisce, sia pure all’interno di un immaginario architettato da terze persone. Per questo sono rimasto a corto di argomenti, perché, in questo momento, interrogarmi mi mette ansia, confrontarmi apre le porte all’angoscia e non mi va di farlo.

Lo so che è la tecnica dello struzzo e che se uno nasconde la testa sotto la sabbia la realtà non scompare. Ma è come se tutto si fosse cristallizzato in un attimo, come se le attese avessero trascinato il futuro nel buio oltre la tela tagliata di Lucio Fontana. Ho messo alla porta anche la musica e la sua carica di estasi dionisiaca, perché, in questo momento non voglio vedermi le note danzare davanti ai timpani, non voglio che un testo rimbalzi nella mente o un giro di basso mi chieda di essere abilmente mimato. Non voglio che alcuna sensazione si possa legare, nei ricordi, con questo momento, non voglio portarmelo dietro quando sarà finito. Estinguiti maledetto!

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=evAjHXMajVQ]
a band a day.

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