Mentre facevo altro il blog è rimasto abbandonato a se stesso. Il turbinio di avvenimenti mi impedisce di produrre con la frequenza che ero stato in grado di tenere in passato. Sarà che sono concentrato su altre cose. Sarà che scrivere ultimamente sta diventando difficile, vista la pigrizia e forse anche la stanchezza, ma soprattutto la mancanza di ispirazione.
Semplicemente arrivo piuttosto muto a fine serata. Quanto segue vuole dunque essere un freddo elenco di cose che hanno destato la mia attenzione, nell’ultimo periodo.
1. Il panorama musicale non offre nessuna esibizione degna di interesse, almeno tra i confini nazionali, almeno per quelli che sono i miei gusti. Che desolazione!
2. Due. Due bevande che hanno attirato la mia attenzione ultimamente:
–Rochefort 10: Estasi di birra. Io sono (vedi seguito) un grande estimatore del luppolo e della birra amara, ma questa mi ha proprio conquistato al primo sorso: bilanciata, rotonda e carezzevole, proprio una birra eccelsa. Grazie a i monaci trappisti, vi voglio bene.
Rochefort 10
–My Antonia: una birra nata dalla collaborazione di due mastri birrai uno italiano ed uno statunitense e dedicata alla nonna di origine italiana di quest’ultimo. Da qui in poi mi sono innamorato del luppolo: satz, cascade, amarillo… tutti i tipi. Adoro il luppolo, che si sappia. Al punto di aver scovato anche un the che lo annovera tra i suoi ingredienti. Qui il luppolo la fa da padrone, una birra unica e amarissima, per me indimenticabile, anche se di fatto inabbinabile al cibo, troppo persistente l’aroma. Ma va presa così: a se stante, non v’è altro modo… pretende attenzione ma regala emozione!
My antonia
3. Tre. Tre mostre ma molti più autori: Kandinskij, Klimt ed i Preraffaelliti a Torino. Finora ho visto solo il russo, che tra l’altro è stato uno tra i primi a cui io mi sia affezionato, ma Klimt sarà senz’altro una bella rimpatriata avendo speso tre giorni solo a girare tra i musei di Vienna, anni fa, mentre per i Preraffaelliti, sarà la prima volta che ci vedremo dal vivo, essendoci già a lungo studiati a vicenda sui libri.
4. C’è stato un altro record store day nel frattempo. Ammetto, quasi con la coda tra le gambe, che ormai metto sempre meno piede nei negozi di dischi, eppure non potevo farmi scappare le ristampe di “An ideal for living” dei Joy division e di “Luna/la preda” dei Litfiba… una volta erano un bel gruppo di new wave, del presente e dell’ignoranza della gente non mi curo.
Stai andando a vedere una mostra di Kandinskij e ad un tratto ti ritrovi lì, spiattellato bellamente davanti agli occhi il cartellone di un film che, a un certo punto, non pensavi nemmeno di poter vedere. Dov’è la fregatura? Dal non trovare lo straccio di un distributore a finire in cartelloni alle fermate della metro, non me la date a bere.
E in fine la spiegazione arriva in una frase, bianco su nero all’inizio del film, che avverte che il film è stato rimaneggiato e che lo stesso Von Trier non ha avuto voce in capitolo. Che tristezza. Cose del genere rendono tristi, rendono amara la visione di un film. Almeno una volta li vietavano ai 18 anni e finiva lì. Adesso li tagliano come gli pare. Nynphomaniac, come buona parte dei film di Von Trier, non sono comunque adatti ai minori. Devi avere almeno un po’ di dimestichezza con l’angoscia che non si addice a chi dovrebbe sprizzare di vita e non sentirsi schiacciare dal vuoto opprimente che si nasconde tra le sue pieghe. Invece Nymphomanic non mi risulta sia stato vietato anche se, per una volta, avrebbe senso farlo a prescindere dal tema trattato. Non ci vedrei nulla di male. Invece ci vedo molto di male in quella maledetta scritta iniziale. Ma del resto noi siamo quelli delle mutande a Michelangelo perché illudersi che possano cambiare le cose, dopotutto?
Con quella sensazione più amara della fiele in bocca inizia il film. Fortunatamente riesco a dimenticarmela col proposito di acquistare il DVD appena esce, sperando che non abbiano tagliato anche quello. Magari tra qualche anno (almeno una ventina, direi) la versione originale verrà proposta con grande enfasi. Evviva.
Lo schermo nero attrae l’attenzione verso i suoni “ambientali” della pioggia che cade, dei rumori di fondo, solo pochi, interminabili secondi: il nero è tornato, l’assenza è qui, il vuoto avvolge ogni cosa, subito dopo l’esplosione della terra di Melancholia. E poi arrivano i muri rossi di mattoni, i movimenti claustrofobici, il cielo che fa capolino scuro come la pece, presente in pochi frammenti. La telecamera cerca, la telecamera scruta, la telecamera si sposta tra i muri. La telecamera penetra un pertugio oscuro nel muro, il presagio è fin troppo evidente. Poi, solo dopo, scova Joe. Tumefatta e ferita a terra.
Quello che segue sono solo mie riflessioni. Il vero protagonista di molti film di Von Trier è il vuoto, l’assenza di una ragione plausibile, di una spiegazione, di un qualsivoglia senso. Scordatevi l’amore, scordatevi il senso. Scordatevi una delle poche cose che potrebbero far acquisire un senso alla vita. Perchè la madre di Antichrist impazzisce e lascia morire il figlio? Come mai Melancholia brama la terra e la sposa sembra impazzire? Cosa fa di Joe una ninfomane? Sono domande senza risposta. Non solo: la matematica più astratta porta all’oblio, la musica più sublime converge verso il nulla, ogni cosa tende al caos. Il caos regna come diceva la volpe.
E non è un caos calmo. E un caos che conduce al niente, un caos che arriva ad implodere e a lasciare il nulla come una tetra coltre su ogni cosa. Ineludibile. Angosciosa come un abisso che continua a fissare il tuo abisso.
Per questo Von Trier è un regista sadico e chissà se ha mantenuto il sorriso sardonico che aveva alla fine dei suoi commenti finali in “The kingdom”. Fa male, ma fa anche riflettere. Dopo ogni suo film la mente diventa un focolaio che si agita e propaga infezioni dell’anima. Del resto seguendo pazienti sani non si impara nulla. Anzi ci sono dottori che si fanno trapiantare un fegato malato pur di poterlo studiare. I suoi fan lo sanno. E non sono necessariamente masochisti, forse vogliono solo scoprire cose che nemmeno riescono a confessare a loro stessi.
Due brani della colonna sonora sembrano suggerire uno stretto collegamento tra Von Trier, Lynch e Kubrick. Rammstein e Shostakovich. La connessione è forte. Kubrick è il pieno, il controllo, la necessità di avere ogni singolo particolare studiato a livello maniacale per costruire una visone immortale, qualcosa di megalitico, di ineluttabile, di magnificamente imponente. Von Trier è il vuoto, è l’agente dell’assenza e del caos, in lui il controllo si abbatte sul film ma solo per condurre verso il silenzio concettuale più cupo. E Lynch è la dimensione onirica, anche in lui si avverte pesante l’assenza di senso, ma è la stessa assenza di senso che avrebbe un sogno, che potrebbe (ma non è detto che lo faccia) svanire in un senso di inquietudine al mattino, ovvero alla fine del film. Lasciandoti lì a vita a fare congetture, per altro inutili.
Shostakovich è lì che ti fissa beffardo da dietro al suo Waltz no.2, che sia la colonna sonora di un ballo vorticoso o quella del ballo solitario di una giovane donna impegnata a farsi beffe dell’amore e della sacralità di cui è falsamente (il più delle volte) investita la sua componente fisica. E i Rammstein che, accidenti a loro, ho sempre considerato dei beceri tamarri teutonici invece, visti i personaggi che li hanno chiamati in causa, avranno pure qualcosa da dire, oltre ad essermisi piazzati in testa per i due giorni successivi. Argh.
La rincorsa è stata lunga. Ho sempre voluto un posto nel quale potermi chiudere a chiave. Nemmeno. Un posto nel quale chiudere il mondo fuori a chiave. E alla fine sta prendendo forma, ho una parete colma di dischi, un amplificatore, due casse ed un pavimento di legno, un giradischi e poco altro. E’ minimale e spartana ma ha una cosa che nessun’altra stanza ha.
Le stelle.
Io le ho viste. Da quando ci lavoro ci fantastico sopra. Sbagliato. Ci fantastico sopra da molto prima. Da quando mi sento a disagio col mondo, da quando ho iniziato a collezionare dischi, da quando ho un basso, da quando guardo film nel cuore della notte o da quando non trovavo un posto dove poter tirare il fiato. Ora sta prendendo forma. E mentre ci lavoravo, mentre acquistavo le casse, riordinavo un mare di note e sensazioni pensavo a chi sarebbe stato il primo.
-Il primo 45 giri? Every Breath You Take
-Il primo CD? Never Mind The Bollocks
-La prima cassetta? Back In Black
-Il primo 33 giri e 1/3? …
Direi di no, la questione era chi avrei fatto suonare e rimbalzare sul pavimento di legno grezzo, riempire l’aria, quando tutto sarebbe (quasi) stato pronto. In realtà non ci ho pensato nemmeno molto. Era un gran bel pezzo di plastica nera, cantato da un uomo in nero. Dall’ Uomo in Nero. Che adesso è là fuori, in mezzo alle stelle. E quando la puntina ha toccato terra, il suono ha toccato il cielo.
Essere chiusi dentro e sentirsi fuori a rimirar le stelle.
E’ la sorta di magia che solo la musica può compiere.
Arriva il momento nella vita di un uomo nel quale egli deve fare i conti con i suoi CD. E, come diceva Oreglio, il momento è catartico. Torna in mente un turbinio di ricordi, sensazioni, stupori. Uno si organizza la stagera (mi si perdoni il piemontesismo per “scaffale”) e già quello è un momento topico, un momento nel quale decidi di dire basta a cassetti, scatole e posti improbabili e di darti all’esposizione totale.
Filamente tutto diventa immediatamente disponibile. Hai davanti un gran lavoro, ma mentre lo fai, ti passano tutti per le mani. Se non a uno a uno, quasi. E qualcuno quasi te lo eri dimenticato, altri li avevi seppelliti volutamente per i troppi ricordi scomodi, altri sono sempre stati lì. Fortunatamente nel mio caso sono veramente pochi quelli che non mi va di vedere, ma un po’ è come rivedere tutte le persone che hanno fatto parte della tua vita… ci sono talmente tante cose che ti possono frullare in testa che quasi hai le vertigini… questo significa avere passione, questo significa non arrendersi a chi li vorrebbe un mero passatempo. Oh quanto vi sbagliate!
“Quando siamo calmi e pieni di saggezza, ci accorgiamo che solo le cose nobili e grandi hanno un’esistenza assoluta e duratura, mentre le piccole paure e i piccoli pensieri sono solo l’ombra della realtà.” (H. D. Thoreau)