Non ho mai capito perché fossero finiti gli Zu, so solo che da un momento all’altro il mio gruppo italiano preferito non esisteva più. E non avevo voglia di leggerne il perché. Dopo un po’ magari c’entrava un altro gruppo e magari no. Però lasciarono un vuoto, da qualche parte, nell’etere.
Ho passato delle belle serate con loro e con tutti i loro amichetti, fatta eccezione per quando fecero comunella con un certo gruppetto da strapazzo che si chiamava (il verbo coniugato al passato è una viva speranza) il teatro degli orrori. Infatti facevano pena. Bontà loro.
Però sai, ti vedi passare davanti Joe Lally dei Fugazi, Steve Mac Kay che ha suonato con gli Stooges, Mike Patton e pensi che magari ce l’hanno fatta, che finalmente c’è qualcuno in Italia capace di non fermarsi entro gli inquietanti confini nazionali. Che ne esce e non finisce a fare il pieno in spagna ed in sudamerica, dove musicalmente, se fosse possibile, sono anche mesi peggio di noi. E oltretutto hanno stile e personalità.
E adesso sono tornati, anche se non proprio tutti. E sono cupi. Come certi presagi, come una notte senza stelle e senza sogni. Forse come un mondo senza civilizzazione. Senza civiltà c’è un silenzio che non abbiamo mai sentito e un buio che può farti vedere la via lattea ma che, obbiettivamente, non siamo pronti ad affrontare. Forse non tutti, comunque.
Eppure un disco nuovo degli Zu era un’idea che non osavo molto accarezzare. Adesso ho un pezzo tondo di vinile da far graffiare ad una puntina di diamante. E quindi avanti. Non so ancora cosa pensarne, cosa pensi quando incontri qualcuno che pensavi di non vedere più? Per ora cerco solo di cullarmi il pensiero.
E i suoni discordanti ed obliqui. Le direzioni caotiche. Il ticchettio del sassofono. La voce che viene dal centro della terra. Il basso greve come le mie onde cerebrali. E godermi il buio oltre la civiltà.