Mr. Hamilton and me

Se penso agli Helmet, la prima cosa che mi viene in mente è una Renault 4GTL caffelatte del 1981, l’autoradio tenuta su da una staffa fatta in casa e due casse GBC fatte proprio a “cassa” per nulla incastrate nelle portiere quanto piuttosto avvitate al  vano portaoggetti della sudetta auto.

Quella C90 con “Meantime” da un lato e “Betty” da quell’altro, sarà rimasto in macchina almeno tre anni, se la battagliava con la C60 dell’incendiario esordio dei Rage Against The Machine, semplicemente erano perfetti in quel contesto, erano tre dischi che sembravano far saltare tutto per aria da un momento all’altro.

Gli Helmet erano nervosi e rabbiosi, metropolitani e aggressivi, in una parola perfetti per un neo-patentato. Ovviamente persi l’occasione di vederli dal vivo, mi ricordo che probabilmente intervennero ad un Sonoria negli anni ’90 dove erano l’unico gruppo interessante coi Sepultura, forse troppo poco per investire in viaggio e soldi.

In questi mesi ricorrono i vent’anni dall’uscita di “Betty” e Page Hamilton ha ben pensato di chiamare alla sua corte tre baldi giovani e portare il disco nella sua interezza in tour. Non so che pensare di queste riproposizioni, risentire esattamente la scaletta uguale a quella del disco però è una bella emozione. Sapere che rifaranno ogni brano e non solo quelli di maggior successo anche. Non sarà mai più il 1994 e questo è un vero peccato, ma non voglio fare il nostalgico: la nostalgia potrebbe assolutamente essere il leitmotiv della serata, ma sono qui per risentire ogni nota per l’ennesima volta, per cantare a squarciagola ogni brano e salutare Page Hamilton, unico superstite della formazione originale.

Loro decisamente non sono più loro, gli altri componenti erano bambini quando il disco uscì: non hanno quasi respirato quell’aria, probabilmente non sanno come si vive senza un cellulare o un mp3, eppure non me la sento di essere severo, anche perché i brani non sono invecchiati per niente e dal vivo sono ancora dirompenti, nonostante tutto. Questa è la forza dei quelle composizioni. I dischi che uscirono dopo “Betty” furono dignitosi (“Aftertaste”) e poco riusciti (tutti gli altri), eppure Page, con i suoi pedali economici e le sue chitarre raffazzonate e senza il pick-up al ponte (converrete che è inutile ahahah) è ancora un signore: ride e scherza, si ferma dopo il concerto fin quando l’ultimo fan non ha avuto il suo autografo o la sua foto in sua compagnia, oltre a regalarmi la scaletta che divido diligentemente con un altro fan (no non abbiamo strappato il foglio ce n’erano due: uno con il disco e l’altro con gli altri brani). Questo mi fa pensare che non ci sia solo un fattore economico (che pure con 23€ per entrare è assicurato) in ballo questa sera… forse è una mia fantasia consolatoria, però suffragata da un concerto intenso e divertente. Continua a non sembrarmi tanto poca cosa….

 

Helmet @ Rock'n'roll arena, Romagnano Sesia (NO)
Helmet @ Rock’n’roll arena, Romagnano Sesia (NO)

Il mestiere più antico del mondo

Felice di aver attirato la Vs. cortese attenzione. Se ora vossignoria vuole seguirmi, disquisirò di un’ altra abitudine vecchia quanto il mondo. Criticare e, per estensione, recensire. Mi si richiede di recensire ancora qualcosa… oh, non è un problema, a me piace, anche senza soldi di mezzo. Mi piace perché ascolto musica da tanto tempo e sparare pareri, confrontarsi e disquisire della musica mi provoca un grandissimo piacere intellettuale, tuttavia credevo che fosse un puro divertissement autoalimentato.

In molti lo ritengono uno spreco di forse, personalmente sono del parere che, se non ci sono interlocutori, chi fa da se fa per tre. Quando poi capita di trovare un’interlocutore lo si apprezza molto di più. Adesso però smetto di alludere e comincio a concludere, almeno spero.

I Pallbearer suonano doom metal con lieve sentore di prog e molto alla vecchia maniera con tanto di voce ultramelodica. Strano a dirsi, io apprezzo. Il problema è che ci vuole tempo per fruire di musica del genere: il suo bello è che viene fuori alla distanza, come se entrasse lentamente nell’organismo, come un cerotto che rilascia nicotina invece che una sigaretta. Si evita di puzzare come un posacenere rancido, come diceva Kim Basinger di Mickey Rourke dopo essere stata costretta a baciarlo per esigenze sceniche. Qui nessuno vi costringe ma non c’è nessun vero motivo per non ascoltare questo disco e godere del suo sulfureo lirismo, del suo muoversi viscoso, del suo dischiudersi progressivo. A meno che non vi manchi il tempo e decidiate di passare la serata fumando una stecca di sigarette senza una boccata di aria pura. Bonne chance.

Gli Entombed A.D. Prestano il fianco a mille critiche, come se fossero una vecchia soap opera. Ed alla fine il paragone, per quanto squallido sia, regge. Il bassista fantasma, Nicke Andersson, Uffe Cederlund e alla fine Alex Hellid. Chi o cosa diavolo sono gli Entombed oggi? quelli che suonano all’opera o quelli che, alla fine, tentano di sopravvivere facendo uscire un altro disco? Del resto Lars Goran Petrov cosa può fare? Andare a lavorare alla Saab o all’ Ikea? Non scherziamo. Quel tipo non ha scelta e lo sapete tutti. Così come a voi non resta che dargli di che vivere.  Detto questo lui vi canzona palesemente mettendo come canzone di apertura in brano che fa a meno del loro leggendario suono di chitarra. Lars, guarda che non ti conviene tirare la corda sai? Che poi mica ho capito: probabilmente non l’hai nemmeno scritta tu. Comunque noi ti si vuole bene e, a tratti, ti fai anche perdonare, te lo concedo. E per ora ti mantengo ancora. Peccato che l’ultimo posto dove ti ho visto (Rossiglione, GE) adesso sia sommerso. Mi spiace, tenete duro, spero che vi arrivino un po’ delle mie tasse, così come spero che a Lars arrivino un po’ delle mie royalties.

Gli Orange Goblin hanno deciso di provare a fare della musica la loro principale fonte di introito. Altra gente da mantenere in nome del rock’n’roll. Loro sono simpatici e meritano qualche sudatissimo spicciolo, se ce lo avete. Hanno dalla loro un’incredibile genuinità di fondo, dei concerti incendiari e sudati e molte, molte lattine di birra svuotate. Manteneteli suvvia, non possono rivendere vuoti a lungo. Il loro disco è forse un po’ troppo derivativo ( “Devil’s whip” in realtà si intitola “Iron fist”) ma loro vanno comunque annoverati nella schiera degli autentici. E tengono famigghia.

Gli Electric Wizard, invece, potrebbero davvero mettere su famiglia. Jus e Liz, considerate l’idea di avere per casa una piccola Mercoledì o un piccolo Pugsley, suvvia! Fin quando scriverete canzoni come “I am nothing” o “Sadio witch” credo che non morirete di fame, anche se fate (com’è vero) un disco ogni quattro maledetti anni e una sporchissima manciata di concerti quando vi pare. Voglia di lavorare saltami addosso eh? Ve lo concedo, certi vapori rendono pigri, tuttavia l’orologio biologico avanza, tenetelo a mente. Capisco che sia bello fissare le valvole incandescenti con un sorriso a mezz’asta ed aria assente, capisco anche la passione per la botanica però, adesso che avete anche un figliol prodigo alla batteria, rompete gli indugi e datevi da fare!

Devo davvero parlare della mia famiglia preferita (i Melvins), davvero non sapete già tutto? In caso di risposta negativa vergognatevi. Papà King e mamma Dale hanno superato in scioltezza le nozze d’argento sapete? E papà si è anche concesso il lusso di un simpatico soliloquio acustico, tanto per restare in tema. Eppure il matrimonio non vacilla e non si prende sul serio, come non prende sul serio voi. E’ la cosa migliore: farsi una bella risata. Alla faccia mia e vostra, i loro sberleffi colgono sempre nel segno. Sagaci ed irriverenti, menefreghisti e ironici, strafottenti e fetenti. Che coppia. Quanto bene si vogliono (e gli voglio). Possono permettersi di richiamare vecchie fiamme e incendiarne di nuove, di suonare in 51 stati in 51 giorni, di mettere alieni sotto spirito e di usare chitarre di alluminio. Serve altro?

Sliding, sliding, sliding

Tutto finisce per confondersi e diventare strano, a un tratto non senti il bisogno di metterti davanti ad un PC a scrivere. A volte sei semplicemente troppo stanco o svogliato. Accumoli dischi e libri, ti lasci trasportare dalla noia e dall’apatia. Serate che scorrono tutte uguali, in attesa di una giornata di lavoro il mattino dopo. Bisogna pur campare. Bisogna pur tirare a campare. Fare una risata ogni tanto. Alimentare la speranza. Sul serio. Far girare la ruota come un criceto annoiato. Son bestiole simpatiche e mangiano con le mani.

A volte ti senti in colpa per non aver nulla da scrivere e da condividere. Internet ti da la possibilità di farlo e tu non la sfrutti, razza di ingrato. Mettiti a ridere, forse non se ne accorgono. Se stai in disparte non se ne accorgono affatto. Ascolti i Led Zeppelin come non avevi mai fatto prima, ma dal vivo la menavano troppo. Parti via per i ricordi e fai “blu blu blu” come sigla di inizio. Cammini solo, parli da solo, per le strade. La pelle a volte sa essere come il velluto. Le note a volte pesanti come macigni. Ascolta il tuo stereo come se fosse la tua sete. Otri che si riempiono, si tendono dolosamente.

Tossisci. Resetta l’aria nei polmoni. E non dire nulla di sensato, forse è l’unico modo per parlare.

 

 

 

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