Ho appena ripreso a scrivere parlando di una strage a un concerto. E dopo pochi giorni l’orrore riprende forma.
E va oltre le mie possibilità stare a sentire.
Stare a sentire tutti gli sciacalli mediatici che si avventano famelici sull’ennesimo pasto di carne cruda e sangue fresco.
Stare a sentire le lacrime socialmente espresse da milioni di persone.
Stare a sentire le vacue opinioni di prezzolati urlatori che gonfiano il petto e dimenano la coda.
Stare a sentire i rimedi semplicistici di farneticanti cacciatori di schede elettorali.
Stare a sentire chi comunque non può cambiare l’immutabile con la retorica.
L’unica cosa che vorrei veramente sentire è il silenzio che di solito si invoca in questi casi ma che nessuno rispetta mai fino in fondo. Tacete un attimo.
Non è indifferenza, al contrario, oggi l’indifferenza si urla, si manifesta, si espone. Almeno io non riesco a percepirla diversamente. Tutte queste voci che si assommano fino a formare un insopportabile frastuono indistinto, caotico, cacofonico. Questo è il suono dell’indifferenza. L’unico suono che non viene amplificato da quell’enorme cassa di risonanza che è la terra.
La sofferenza invece tace. E tace di un silenzio greve e profondo. Tace di un silenzio che nessuno è più in grado di udire.