Soffio

Ognuno di noi si ciba di esperienze, erode il mistero della vita con l’illusione della conoscenza. Indurisce la corazza, in modo che diventi sempre più arduo romperla, ma anche più difficile penetrarla. Ognuno di noi cessa progressivamente di meravigliarsi. Di stupirsi di fronte alle cose, come se su tutto si posasse un velo di polvere che impedisce agli occhi di assaporare la bellezza dei colori.

Colori incuneati nell’anima, nascosti alla vista del mondo. Iridi frementi d’amore celato che nessun immagine mortale potrà fissare senza esserne divorata. Come l’anima che si consuma d’un fuoco che arde lentissimo e costante. Come l’anima che diventa fumo impalbabile ed effimero per sfuggire alla vista. Come fumo che non può essere imprigionato in forma alcuna eppure resiste ad ogni tentativo d’essere spazzato via.

Ho dovuto nascondere la fiamma in anfratti lontani dallo sguardo degli dei. Ho dovuto curare il dono di Prometeo e al tempo stesso nasconderlo, perchè la mia consapevolezza è peccato ai loro occhi immortali. Ma io che mortale sono sempre stato, non posso impedirmi di bruciare sia pure in segreto. E consumarmi in voluttuosi rivoli sottili e screziati di grigio, incuranti dell’ira divina. Non ho sfidato gli dei, non ho giocato col fuoco, non ho provato diletto alcuno in questo. Non ho scelto di custodire la fiamma, essa custodisce me. Non ho scelto la luce, essa mi illumina.

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Ho inseguito i miei fantasmi

Ora fantasma sono.

Com’è stato facile restare fermo, immobile chiudendo gli occhi e rinunciando a vedere.

Ci sono alcune parole magiche che volteggiano sulle nostre teste a volte come aquile, a volte come avvoltoi, che sembrano significare tutto, in realtà dicono nulla. Qualcuno urlava che le parole sono importanti, spesso lo sono più del loro significato? Una parola può dire tutto o niente essere vacua o vana oppure pregna e greve. dipende dal contesto, dal tono, dal momento da mille fattori che ne danno una definizione unica ma puntuale, che può cambiare in pochi secondi.

Felicità.

Chi non l’ha mai sentita nominare, chi la insegue senza sapere cosa sia, chi la rincorre senza averla mai assaporata, chi la costruisce schiacciando ogni ostacolo, chi ne sintetizza l’essenza nascondendo la testa sotto la sabbia.

Che senso ha essere felici schivando gli ostacoli? Che senso ha chiudere gli occhi inanzi alle cose che fanno star male e ripetersi ad oltranza di essere felici? Cosa si prova ad accettare tutto ciò che non possiamo cambiare vivendo una vita di menzogne? Quanto ci si può abbandonare tra le braccia dell’ipocrisia pur di sfiorare una chimera?

Felicità

è una parola vilipesa, violata nella sua essenza, insultata dai compromessi e svilita dai finti sorrisi, dalla routine e dagli occhi che non riescono a soffermarsi sulla realtà.

Dimenticare questa parola e, per una volta, soffermarsi sui sogni, inseguire i fantasmi, avere il coraggio di essere infelici se questo significa rimanere in contatto con ciò che si è.

Infelicità

è anche chiedersi chi cazzo siamo la domenica mattina.

O svegliarsi con quella domanda come una pistola puntata alla tempia, ed il grilletto per spegnere la sveglia.

Felicità

Forse è anche sapere chi sei, avere la forza di evolvere restando fedele a te stesso.

Forse è anche conoscere te stesso mettendoti in discussione.

Non sempre è una coperta calda sotto la quale rifugiarsi.

Non è nemmeno l’immagine idilliaca dettata dagli stereotipi.

Mai stato un grande fan dei linea 77, di questa canzone abbastanza però.

Più Nero del Nero

Dopo Tantissimo tempo rieccomi a scrivere di un concerto. Per riprendere questa vecchia abitudine riparto dal concerto tenuto da Blixa Bargeld e Teho Teardo al Santeria Social Club di Milano domenica scorsa 9 maggio.

Come ogni volta confrontarsi con Blixa equivale a perdere in partenza. L’uomo ha un carisma, una voce, un ruolo che gli conferiscono una statura artistica pressoché irraggiungibile. Basta seguirne la voce, mentre si destreggia tra italiano, tedesco ed inglese, basta ammirarne i movimenti, gli sguardi, il portamento per capire che il leader degli Einstürzende Neubauten è ancora in una forma ammaliante.

Il sodalizio con Teho Teardo ha prodotto un nuovo dico “Nerissimo” che aggiunge altra magia al precedente “Still Smiling” e, pur non avendone, volutamente, sentito nemmeno una nota, la sensazione, fin dal primo momento, è quella di trovarsi di fronte a qualcosa che accarezza le emozioni e lo spirito.  Il concerto di stasera assume i contorni di un vero e proprio evento per chiunque segua il loro progetto. Si attende che la meraviglia discenda sul pubblico. E la meraviglia non si fa attendere.

Accompagnati da un quartetto d’archi, da una violoncellista solista e da un clarinetto-basso, i nostri danno vita ad un concerto intimo e avvolgente, caldo e quasi familare nella sua dimensione volutamente raccolta. Un equilibrio perfetto tra musica e voce. Un concerto che scorre via intenso e suadente, tra gli applausi e le ovazioni che giungono puntuali al termine di ogni brano.

Durante esibizioni come queste appare chiaro il ruolo accrescitivo e ascensionale della musica, intesa come elevazione spirituale. La madre di tutte le arti, per quanto violentata vilipesa sa ancora risorgere dalle sue ceneri con una leggiadria e una fierezza impossibili da spegnere o da evitare.

Una stagione all’inferno

Alcuni mortali compiono un viaggio tra le anime perse. Ognuno ha il suo personale inferno, solo che pochi ci entrano, la maggior parte ne ignora anche solo l’esistenza. Per alcuni è una scelta consapevole, per altri no. Alcuni sono dei turisti che traboccano di lirismo e di voglia di giudicare, altri ci entrano da protagonisti, perché non stanno bene tra gli umani, perché sentono che la loro anima è persa pur non essendo morti o perché ritengono di essere morti pur essendo ancora vivi.

Iniziano il loro viaggio nelle tenebre della loro anima. Un posto la cui porta non andrebbe mai nemmeno guardata, un posto nel quale dimorano timori e brutture, popolato degli stessi mostri che vengono generati dal sonno della ragione. Ragione che sonnecchia sulla soglia, che ammicca, ma poi volge le spalle lasciando campo libero all’agonia di un viaggio senza speranza, nel vuoto, nel dolore, nell’umiliazione, nella tristezza, nel tormento, nella paura, nella disillusione, nell’angoscia. Tutti questi sono secondi nomi dell’Inferno.

Scossi come un vento agita un albero spoglio di vita. Fissi con lo sguardo nell’abisso ed il cuore nel baratro. In costante equilibrio sul limite della follia, quella da cui non c’è ritorno. Affranti, come coloro che hanno smarrito la via. Perduti, come coloro che non trovano più un senso all’esistenza.

Vuote orbite livide i loro occhi spenti e liquefatti in mille lacrime.

Freddi cuori sterili da cui il fato crudele ha estirpato la speranza.

Timpani corrosi incapaci di raccogliere una minima vibrazione.

Fegati in pasto alle aquile.

Stasera mi stringo a ognuno di voi, che abbiate o meno rivisto le stelle.

 

« Il poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, egli esaurisce in lui tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura dove egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovraumana, dove egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il supremo Sapiente! – Poiché egli arriva all’ignoto! dopo che ha coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Arriva all’ignoto, e seppure, impazzito, finirà per perdere l’intelligenza delle sue visioni, egli le ha viste! Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innumerabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l’altro s’è accasciato! »
(Arthur Rimbaud)

Edvard Munch "Autoritratto all'inferno"
Edvard Munch “Autoritratto all’inferno”
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