We’re just not sane

E alla fine sono arrivato vivo a ieri sera e sono scampato al massacro (sarebbe meglio dire al macello!) per poterlo raccontare.

Innanzitutto grazie sentite a SoloMacello e al circolo Magnolia per avermi dato la possibilità di assistere ad un altro concerto dei new yorkesi Unsane. Sono un pezzo di storia, ma anche un pezzo di cuore per il sottoscritto. Al circolo Magliolia, un ulteriore ringraziamento per aver messo la IPA Green Killer alla spina, che gli dei del luppolo siano sempre con voi!

Io e l’Oltranzista partiamo poco convinti dopo aver appreso che il gruppo avrebbe suonato al chiuso: va bene che piove, ma il magnolia a giugno rischia di diventare una sauna ed anche una bolgia al coperto. In realtà poi, quando giungiamo sul posto, scopriamo che si tratta di un tendone aperto sui lati: decisamente meglio. Ho anche avuto l’immensa fortuna di incontrare due persone con le quali ho avuto il privilegio di collaborare quando il vostro era impegnato in progetti editoriali virtuali ben più importanti e riconosciuti di questo. Non farò nomi, comunque è stata una bellissima esperienza che riprenderei domani, soprattutto grazie alla professionalità, alla competenza ed alla disponibilità dei due, non fosse che i promoter discografici sanno essere davvero troppo pressanti a volte.

I gruppi di supporto fanno del loro meglio ma in noi (purtroppo) non smuovono alcun interesse, nonostante strumentazione costosa e stracci in testa. Niente. Tra una pozzanghera, un vinile preso dal compare (che farà incetta!) e quattro note distorte in croce arriviamo finalmente al clou della serata.

Contrariamente al Mi-odi, che ha dato presumibilmente origine a questa manifestazione, qui tutto appare organizzato meglio: niente gruppi in contemporanea e suoni più che dignitosi per tutti. Purtroppo, per chi viene da fuori, il Magnolia ha lo stramaledetto vizio di far finire tardi i concerti e anche il fatto che sia di giovedì non aiuta, comunque nulla può distoglierci dal vedere ancora il cappellino di Chris grondare sudore e le sue urla belluine squarciare l’aria. Nulla.

Tutti e tre i nostri eroi si mostrano in giro più che volentieri prima del concerto, salutando tutti, facendo fotografie e stringendo mani. Vinnie appare il più affabile: saluta in modo particolare un giovanissimo fan che gli regalerà poi un disegno a pennarelli che lui affiggerà sulla cassa della sua batteria durante la performance: avercene di gioventù così! Purtroppo cammina claudicando vistosamente e con l’ausilio di un bastone, beh auguri di pronta guarigione qualsiasi cosa tu abbia, grandissimo eroe delle pelli, è stato un onore vederti tuonare e stringerti la mano a fine concerto. Ovviamente infatti, quando suona, la cosa non si nuota nemmeno.

Gli Unsane sono una vera schiacciasassi dal vivo, in grado come sono di sotterrare chiunque. Sciorinano TUTTI i classici del loro repertorio con una continuità, una determinazione ed un’intensità senza pari. Non hanno un nuovo lavoro da presentare, ma di questo nessuno pare interessarsi. Non gli si può chiedere nulla di diverso, rimangono integri e fedeli a loro stessi fino al parossismo e nonostante la formula sia nota e stra-nota non stanca mai. E ribadisco MAI: non hanno bisogno di alcun trasformismo, innovazione o altro per convincere, la loro formula risulta comunque credibile e vincente. What you see is what you get. Vedervi ancora è stato un vero piacere che niente e nessuno vi fermi mai.

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Urla, distorsione e sudore

Spero di arrivare a giovedì sera. A Milano (Segrate) ci saranno gli Unsane, un significativo pezzo di storia underground degli anni ’90. Un gruppo in grado spezzare qualsiasi resistenza dal vivo, un spaccato di pura resistenza metropolitana. Con un corredo iconografico fatto di teste mozzate, schizzi di sacgue, corpi avvolti nel cellophane, incarnano in musica la nevrosi da megalopoli con un suono monolitico e pastoso, compresso e ineludibile come una schiacciassassi.

Sul palco il cappello degli Yankees di Chris Spencer gronda sudore, il suo volto è una perenne smorfia di dolore, la sua leggendaria telecaster nera scrostata si piega sotto le sue pennate, Vinnie Signorelli accompagna con una batteria che scuote le fondamenta di qualsiasi struttura e Dave Curran rincara la dose con pesantissime note di basso ipercompresso e stordente.

Li vidi andare alla carica per la prima volta durante il tour di Visqueen in quel di Torino (al decaduto spazio 211) con Curran per l’occasione sostituito dal bassista dei Cop shoot cop a causa del patriot-act che dopo il suo matrimonio gli rese impossibile lasciare il paese e fu amore al primo concerto. Non che avessi bisogno di conferme. Collaborano con tutte le etichette indipendenti degne di nota (Matador, Amphetamine reptile, Relapse, Ipecac e Alternative tentacles… serve altro?), inanellano una seride di lavori uno più devastante dell’altro (prima o poi mi sveno e compro su ebay il loro primo in vinile…), riescono a tornare nel 2008 con quello che probabilmente è il loro capolavoro “Visqueen” quando sembravano persi nel nulla, insomma non manca nulla per elevarli alla statura di leggende che gli compete.

Non tradiranno le attese, si tratta solo di restare vivi.

Se mai dovessi farmi tatuare, dopo questa marchettona, Vinnie sei disponibile?

Un sentito ringraziamento a solomacello per i suoi eventi, sono scomodi e su settimana, ma almeno spaccano.

Criticism is a dead scene

Accolgo di buon grado la critica del buon pippo, nel commento che potete leggere nel post precedente. Sai che tu dico? Che alla fine hai ragione.

Erano delle cose che mi andava di esprimere e l’ho fatto, tutto qua, non è che io ci stia tanto a pensare all’opportunità di pubblicare le cose che scrivo qui. Ma voglio precisare una cosa, tanto perché ci tengo che sia chiara. Non ho velleità artistiche alcune. Mi esprimo, sono semplicemente cose che mi viene di buttare in pasto a chi legge, senza sovrastrutture. Se a qualcuno non dicono più di tanto, amen.

Mi piacerebbe poter mantenere il ritmo di un tempo con i post di questo blog, ma sta diventando impossibile, ciò non significa che io non continui ad ascoltare ed ultimamente anche a fare musica, solo non essendo costante mi sembra di essere sempre in ritardo sulle cose, quindi passa il tempo e la pigrizia vince.

Ma ora basta, quindi beccatevi la fredda cronaca dei dischi più meritevoli di questo inizio 2016 secondo il sottoscritto:

Iggy Pop “Post pop Depression”

In ritardo coi tempi dico la mia su questo lavoro dell’iguana di Detroit. Primo: l’iguana è in forma, Secondo: Josh Homme molto meno. Chi si aspetta un disco esplosivo che ti prende alla gola e non ti molla dall’inizio alla fine, lurido e strafottente in pieno stile Stooges rimarrà deluso. La mia chiave di lettura di questo lavoro è che sia il personale tributo di Jimmy a Bowie. Per apprezzarlo dovete avere in mente il paesaggio notturno,  rarefatto ed elettrico di “The Idiot” e nient’altro, altrimenti non ce la farete. Il fatto che ci sia una canzone intitolata “German days” sembra supportare le mie ipotesi. Se ad un primo ascolto restate indifferenti non preoccupatevi: è un passaggio natuarale, poi dovrebbe schiudersi con l’oscurità come un fiore delle tenebre. Dovrebbe.

La presenza di Homme è la vera cosa preoccupante, la sua chitarra è meramente funzionale qui, nessuno spunto personale, niente. Le canzoni funzionano ma avrebbe potuto suonarle chiunque. Lui latita come un fantasma da troppo tempo ormai…

 

Teho Teardo & Blixa Bargeld “Nerissimo”

Devi essere gentile con gli spiriti… sussurra Blixa in “Animelle”. Del duo scrissi già in sede di concerto, oramai sono una realtà ben consolidata, un progetto affascinante pregno del carsima germanico del leader degli Einstürzende e della sensibiltà sonora di Teardo, di un’ eleganza venata di misticismo che permea ogni nota del seguito di “Still smiling”.

Aldilà del fatto che sentire Blixa cantare in tedesco mi fa pensare che chi non apprezza questa lingua sicuramente non l’ha mai sentito proferir parola, personalmente ho anche apprezzato tantissimo anche la citazione artistica della copertina che completa degnamente l’opera. Chi meglio di loro può fare da ambasciatore alla musica?

La voce non ha colore, infatti è nera, nerissima.

Deftones “Gore”

Di questo disco tutti hanno fatto a gara a dire peste e corna e a me piace. Mi piace! devo dirlo più forte? E strorco il naso di fronte ai detrattori, scusate, sicuramente non è il loro capolavoro, ma, per la miseria, funziona. A me “Saturday night wrist” e “Diamond eyes” avevano annoiato a morte e invece gli ultimi due mi hanno restituito un gruppo che pensavo perso.

A chi invece vede in essi il loro declino non so cosa rispondere. Secondo me hanno recuperato una freschezza compositiva che mi sembrava ripiegata pericolosamente su se stessa. E non sono diventati pop, popolari lo erano già. Non sto dicendo di farveli piacere, ma non cedete ai pregiudizi e dategli un ascolto a sensi aperti. Comunque sappiatelo: gruppi di questa statura non ne nascono più.

Mike and the Melvins “Three man and a baby”

In attesa che tutti i bassisisti si concretizzino nella loro prossima uscita, questo brano sia da solo un motivo sufficiente per ascoltare la loro gemma perduta negli archivi della gloriosa sub pop!

Adoro essere preso per il culo da Buzz e Dale!

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