Odio capodanno. Amo l’inverno. E’ il periodo per tirare le somme. Ma è una mera convenzione presa in prestito da anni di calendario gregoriano. Potrei tirare le somme anche a marzo o a novembre, ma oramai ho cominciato a farlo a dicembre e mantengo le tradizioni. Odio le tradizioni, le occasioni, le feste comandate. Non mi servono per ricordarmi le cose. Non le festeggio. Sdegno le convenzioni eppure ne accetto una minima parte per inerzia e per pigrizia. E perché alla fine di ogni anno devo tirarne le somme musicalmente parlando, almeno per ricordarmi di dov’ero e cosa facevo. Capirete cosa state per affrontare. 10 dischi per il 2016. E via.
10. Deftones “Gore”
Tutti hanno fatto a gara a parlare male di questo disco. Spero si divertano. A me è piaciuto. E’ da due tornate discografiche che i Deftones mi emozionano, certo, non come negli anni ’90 ma, a mio parere, hanno riguadagnato smalto e ispirazione. Felice di essere l’unico a pensarla in questo modo. In particolare “Phantom bride”, bellissimo testo e chitarra di Jerry Cantrell.
09. Melvins: “Basses unloaded”
Non potevano mancare. Un gruppo degno di venerazione, anche se ultimamente Dale e Buzz finiscano per timbrare dignitosamente il cartellino ogni anno, in compagnia di questo o quell’amico a me non importa. Penso che i due abbiano abbiano ampiamente dimostrato tutto quello che dovevano e adesso finiscano per mantenersi senza dover cercarsi un lavoro comune. Rimane il fatto che Mr. King, per quanto mi concerne, è secondo solo a Mr. Iommi per la capacità di mettere in fila delle semplici note. Up the Melvins no matther who plays bass!
08. Iggy Pop “Post Pop Depression”
Bowie è morto. E non troverete il suo disco in questa lista, così come non troverete quello di Leonard Cohen. Non li ho ascoltati, non volevo gettarmi nel calderone delle condoglianze, della tristezza, dei riconoscimenti dovuti per due artisti che non ho approfondito come avrei dovuto. Al cordoglio ci ha pensato Iggy e lascio a lui la parola per piangere Bowie. Pensatela come volete, questo disco, per me, è un enorme tributo al Duca Bianco, ripesca l’atmosfera di “The Idiot”, il primo disco della nuova carriera dell’iguana solista, in tutto e per tutto patrocinata dall’amico. E mi faccio beffe di tutti quelli che sono stati delusi aspettandosi che Josh Homme prendesse il posto di Ron Asheton per dare vita ad una nuova incarnazione degli Stooges. Le sue parti di chitarra avrebbe potuto suonarle chiunque, però fortunatamente il disco funziona.
07.In the woods… “Pure”
Un ritorno che non ti aspetti per una band norvegese che ha prodotto uno dei dischi più toccanti degli anni ’90 (“Omnio”) e come al solito non sai cosa aspettarti. Avrebbero potuto rovinare ogni bel ricordo… e fortunatamente non lo fanno, la paura era tanta. Certo a volte il disco suona stanco e fatica a prendere il volo, ma nella seconda parte sembra veramente ritornato agli antichi fasti, lontane le radici black metal, la fiamma del prog è ancora splendente e tutt’altro che autoindulgente. Bentornati.
06. Liquido di Morte “II”
Un disco strumentale? Certo. E’ una rarità che non può mancare, soprattutto se si tratta di uno dei migliori gruppi italiani al momento. Coinvolgenti. Ipnotici. Ispirati. Occorre essere dello stato d’animo adatto ma poi ti trascinano via. Lontano.
05. Kvelertak: Nattesferd
I gufi non sono quel che sembrano. I Kvelertak escono dal pantano (per quanto intrigante) del loro secondo lavoro e ritornano con un disco fresco dal deciso piglio rock’n’roll con pochi fronzoli e molta decisione. In pochi ci avrebbero scommesso eppure il disco vince in freschezza compositiva e trascinante foga. Mischiare black metal e rock può sembrare azzardato e loro ci sono riusciti, riprendere le redini di una proposta che aveva mostrato un po’ la corda solo alla seconda uscita forse era ancora più difficile. Ora non c’è due senza tre. Norway, here we come!
04. Darkthrone: Arctic Thunder
Io e l’altro unimog consideriamo i Darkthrone come i nostri padri spirituali, specialmente dopo l’abbandono della fase blackmetal. A loro non importa nulla e nemmeno a noi. Impegnati nella loro sempiterna crociata per il metal, quello esente da ogni suono plastificato, che ha il suo habitat naturale in qualche bunker svizzero impenetrabile nella prima metà degli anni ottanta, come fai a non stimarli? Quando poi abbiamo visto un fuoco rupestre in copertina, la vicinanza si è accorciata ancora. Rustici e veri, nel senso più genuino del termine, incidono un altro disco alla faccia di chi gli vuol male. E tanto basta.
03. Nick Cave and the Bad Seeds: “Skeleton tree”
Credo di aver scritto già a sufficienza di questo disco quando uscì. E visto che fa della sottrazione la sua forza non mi sento di aggiungere nulla se non che, a ben vedere, dovrebbe essere fuori “classifica” in quanto troppo intimo e sofferto per poter figurare in una cosa così frivola e vacua. Ci finisce solo perché non posso non ricordare un dico come questo. Curioso come la separazione tra lui e Blixa alla fine ce li restituisca entrambi in splendida forma (così ricordo anche “Nerissimo” e il bellissimo concerto a Milano con Teho Teardo).
02. Klimt 1918: “Sentimentale jugend”
Otto lunghissimi anni di silenzio. A me i Klimt 1918 sono mancati e parecchio. Il mio incontro con loro avvenne in una situazione che mi rende impossibile non considerarli vicini al cuore. Durante un viaggio a Vienna, in pieno trip Klimtiano da tre musei al giorno senza tregua, entro in un negozio di dischi (c’erano dubbi?) e scartabellando tra i CD mi viene tra le mani il loro, bellissimo, “Dopoguerra”. L’ho preso come un segno del destino e da allora occupano un posto speciale tra i miei ascolti.
Un doppio CD potrebbe essere una mossa decisamente pretenziosa e forse azzardata. Ebbene non lo è. Il lavoro è inteso, pregno di lirismo e ispirazione, magari non semplice da ascoltare di seguito eppure assolutamente affascinante nel concept (Germania anni ’80 e Roma), soavemente etereo e atmosferico. Non fateci mai più attendere tanto!
01. Neurosis: “Fires within fires”
Mi spiace, nessuna sorpresa. Dopo 10 minuti della loro esibizione bresciana dello scorso 11 agosto avevano agilmente spazzato via qualsiasi cosa avessi visto dal vivo nell’ultimo periodo. Semplicemente questo. Possiedono un’intensità ineguagliabile. Un suono personale e mutevole, senza che per questo si snaturi. Evolvono disco dopo disco, concerto dopo concerto. La loro ultima incarnazione è scarna, essenziale diretta.
Dritta al cuore, dritta all’anima all’origine stessa della musica. Il viaggio continua.