Avedo più volte fatto mio l’assunto di (freak) antoniana memoria secondo cui “l’Italia è la provincia di qualche altro posto” sarebbe spontaneo chiedersi cosa sia, a sua volta, la provincia italiana. Verrebbe da pensare ad un anticamera del purgatorio dove arriva tutto in ritardo, la cultura sonnecchia, la gente ha vedute ridotte, il lavoro -soprattutto ultimamente- latita così come gli stimoli. Tutto vero. Però forse è proprio per queste condizioni non proprio colme di possibilità che in provincia si nascondono realtà interessanti che, magari proprio in virtù di quanto scritto prima, risaltano maggiormente rispetto a quanto potrebbero fare perdendosi nel marasma culturale di una grande città. oltre al fatto che la mancanza di stimoli spesso porta a creartene autonomamente.
Dopo un passato colmo di astio e risentimento (in parte ingusto) per la città attorno alla quale gravito ho iniziato ad apprezzarne molti aspetti tra cui la natura, la pace e quel minimo di tranquillità in più della quale possiamo godere da queste parti. Con il tempo impari a farti scivolare addosso i giudizi della gente, la grettezza e l’ignoranza del volgo e persino la loro malcelata e sciatta attitudine da ignoranti e contenti: con il tempo tutto assume dei contorni migliori.
Biella è sempre stata un posto fuori dalle logiche, anche quando l’industria tessile girava a pieno regime, qui non è mai arrivata nemmeno l’autostrada (arrivarono a fatica anche l’adsl e il metano) e personalmente ne sono quasi contento. Attualmente sono anche contento della iniziale diffidenza che siamo soliti risevarci anche l’un l’altro. Solitamente, sorpassata questa impasse iniziale, si stringono rapporti lunghi e duraturi esattamente il contrario di quello che di solito succede in realtà più vaste dove si è tutti subito amici ma poi l’amicizia si rivela evanescente come le bollicine di una bibita gassata di terz’ordine.
Non essere considerati toglie tante cose ma offre anche la possibilità di nascondersi e lo sa bene anche la nostrana autrice Aislinn che ambienta da queste parti un suo romanzo urban fantasy nel quale il fatto di nascondersi gioca un ruolo fondamentale. Che vi devo dire a me piace il fatto di essere al di fuori di certi giri.
Detto questo lo scopo di questo post è quello di parlare della scena locale. Ovviamente senza avere la pretesa di essere esaustivi, posso però parlare di quattro realtà che conosco molto bene essendo, in alcuni casi, in contatto personale con alcuni (se non tutti) musicisti coinvolti. Quattro (più uno) casi in cui c’è da essere orgogliosi della terra che ti ha visto crescere.
Precedentemente noti con il nome di Fermat’s last theorem, si prendono un anno di tempo per cambiare nome e bassista ma, soprattutto, per realizzare il nuovo Lp sulla lunga distanza. Rispetto alla proposta musicale della denominazione precedente occorre rilevare una maggiore componente progressiva e melodica, che ora trova più spazio che in passato. Partiti da un approccio hadcore/punk, si muovono gradualmente verso un genere riconducibile a Meshuggah, Tool, Deftones e Periphery con una forte attenzione per l’eletronica (non a caso erano soliti suonare brani di Aphex Twin ed Enter Shikari, tragli altri) adesso alleggeriscono leggermente la loro furia fatta di chitarroni a otto corde, risultando più ragionati e maturi nell’approccio (uno dei pochi casi in cui questa non è una parolaccia). Un esordio assolutamente in grado di raccogliere la loro eredità sonora pregressa, facendola ulteriormente salire di livello. Preparazione tecnica e compositiva di altissimo livello, senza paura di affondare il colpo quando serve. Io li seguo da poco dopo che esordirono con la vecchia denominazione (ormai sono anni) e spero che con la nuova formazione raccolgano i frutti del loro duro lavoro: se li meritano tutti, anche perché dal vivo sono stupefacenti per precisione e potenza.
Questo trio, che prende il nome da un noto locale londinese, è un’altra eccellenza del nostro territorio. Forse anche grazie al genere maggiormente accessibile rispetto ai Closer to the sun, hanno raccolto molto di più in termini di critica e pubblico. Con un EP auto intitolato ormai piuttosto datato alle spalle (Bagana rec.), si sono fatti le ossa su palchi italiani ed inglesi mettendo in mostra un’innata attitudine live. Suonano un blues elettrico, distorto e molto fisico ma comunque piuttosto lontano dalla banalità. Chitarra batteria e voce: tre componenti alle quali è difficile trovare un difetto che si amalgamano alla perfezione. Marco ha un drumming possente e tira fuori passaggi assolutamente pregevoli ed energici da un drum kit ridotto all’essenzale, la chitarra di Filippo, inventa passaggi slide e distorti dal sapore terroso e riarso che sembrano usciti da qualche anfratto dimenticato della Lousiana e la voce della minuta Giulia sfodera un feeling invidiabile e nient’ affatto distante da una consumata e corpulenta blues woman. La componente fisica esce alla grande dal vivo, dove il trio si distingue per presenza scenica e trasporto emozionale. Davvero bravi. Sono in fase di produzione del primo lavoro sulla lunga distanza (pare che sia un parto un po’ travagliato…), le premesse per una ottima prova ci sono tutte.
3. Sabbia
Altra compagine molto interessante, propone brani strumentali con suggestioni desertiche e nomadi, inserti tastieristici e sassofono sempre piuttosto in primo piano. Si muovono in territori che sembrerebbero richiamare un certo tipo di rock di stampo cinematografico e dinamico: sarebbero ottimi come compositori di colonne sonore, in questo verrebbe spontaneo accomunarli a gruppi come i Calibro 35 sebbene presentino un taglio meno settantiano, più rock e a tratti quasi sfiorati dallo stoner. Buona personalità ed idee decisamente ispirate ed interessanti. Al link bandcamp sono presenti un paio di lavori in download gratuito, non si potrebbe desiderare di meglio.
Decisamente la proposta più sperimentale ed ostica tra tutte. Duo che si divide tra sax e tastiere, loops ed effettistica varia. Il risultato, ancora una volta è meramente strumentale e di difficile classificazione tuttavia, una volta entrati nell’ottica, i Crushed curcuma si distinguono per originalità ed inventiva e sono in grado di regalare un panorama sonoro molto personale ed architettato molto bene tra elettronica ed oscura psichedelia. Finora non hanno pubblicato molto ma dal vivo vantano una buona attività dal vivo che sta fruttando una serie di concerti molto evocativi ed intensi.
4+1. Totem
Da biellese di residenza, ho sempre considerato Verbania come la provincia maggiormente affine alla nostra per indole ed attitudine, per tanto, anche se non sono di Biella, voglio parlare comunque dei Totem. Stellare trio dedito al prog-rock strumentale di taglio moderno. Autori di un ep “Manitou” e di un singolo “Fight or flight” hanno appena pubblicato su bandcamp un nuovo brano (vedi video) dal loro imminente nuovo lavoro “Oculus mundi”. Posso solo dirvi che rispetto alle precedenti proposte sembra si stiano muovendo maggiormente su territori prog rispetto al passato. Tuttavia il lavoro completo si deve ancora ascoltare nel suo complesso. Le aspettative sono altissime, anche loro in sede live sono estremamente validi sia dal punto di vista tecnico che scenico… essendo un trio perdono un po’ degli arrangiamenti curati dei quali godono in studio per diventare rocciosi e con meno fronzoli. All’indirizzo bandcamp è possibile trovare dei brani scaricabili gratuitamente, quindi non resta che visitare la pagina.
Per motivi di spazio/tempo non approfondisco però, di diritto, vanno citati anche:
Luca Sigurtà, Jot Not One, Seaphic eyes, Bultaco DC (della gloria locale Rudy Medea ex-Indigesti), T.s.O. , Barbarian pipe band ed altri che al momento non mi sovvengono… se credevate che la nostra fosse una provincia morta spero di avervi fatto ricredere!