A chiunque si facesse ancora domande su cosa significhi suonare rock’n’roll consieglierei ad occhi chiusi di andarsi a vedere un concerto dei Mondo Generator. Stiamo parlando di un signore che, alla soglia dei 50 anni, dopo aver fatto parte di uno dei gruppi rock più influenti degli anni ’90 (e anche di uno dei migliori dei duemila anche se abbastanza decaduto dal suo abbandono in poi) si prende ancora il disturbo di attraversare l’atlantico con due musicisti molto più giovani per suonare in locali piccolissimi davanti a un centinaio di puzzoni che sbraitano, sudano e si menano.
Non solo fa questo: lo fa con una convinzione che provoca un immediato distaccamento della mascella per lo stupore. Certe persone sono solamente da ammirare, non c’è altro.
Nick Olivieri sta lì a pochi centimetri e non ti sembra vero che sia ancora lì a schiacciare quelle corde spesse a sudare e sbraitare, dopo una vita on the road costellata di episodi dei più disparati, tra alti e bassi, tour mondiali e guai con la legge. Il suo è davvero uno spirito indomito. E, soprattutto, rock’n’roll al 100%, questo è indubitabile.
Siamo al blah blah di Torino per seguire il suo progetto solista che, nonostante tutto, continua a portare avanti insieme mille altri impegni e collaborazioni (in questo lui e John Garcia si fanno concorrenza): un gruppo dalla classica formazione a tre dove Nick si occupa anche di cantare. Ci sono un paio di lavori nuovi al banchetto più quelli a col nome del nostro e la copertina di Luca Solomacello a titolo “No hits at all”. Proprio questo titolo mi fa riflettere, nel senso che Nick sta più in alto delle hit, dei successi facili, degli ammiccamenti alla scena principale come fa Josh Homme, che ha trasformato i Queens of the stone age in un gruppetto per hipster senza spina dorsale. Lui la spina dorsale ce l’ha ed è dritta e solida come una roccia della mesa.
Si può dire che i Mondo Generator siano un po’ la summa di tutto quello che è stato Nick musicalmente parlando: dal rock del deserto dei Kyuss al rock robotico dei QOTSA al punk dei Dwarves, il tutto reso con un un piglio adrenalinico, se non proprio amfetamnico. Salgono sul palco inaspettatamente presto, pescando dal repertorio del loro leader (tra le altre spiccano “Allen’s Wrench” e “Green Machine” dei Kyuss, “Millionaire” e “No One Knows” dei QOTSA) e da brani nuovi e vecchi dei dischi usciti a loro nome.
L’esibizione mi fa tornare in mente i vecchi tempi: niente fronzoli, niente gruppi spalla, poche luci, ogni tanto un po’ di fumo al ghiaccio secco e soprattutto tanta, tanta, tanta sostanza. È così che dovrebbe essere un concerto! Tre persone che suonano con un tiro che ti stende senza complimenti, il pubblico a tratti ammutolito ed a tratti selvaggio. Mike Amster spazza via tutto con un drumming potentissimo: non lo avevo mai visto suonare ma sembra Efesto che mena metallo incandescente nella sua fucina nelle viscere dell’Etna, l’altro Mike (Pygmie alla chitarra) si sente a suo agio a misurarsi con il fantasma di Homme (del resto anche lo stesso Homme è il fantasma di se stesso) nella sua maglietta dei Bongzilla. Nick alterna momenti forsennati ed altri da consumato frontman lanciando occhiate che fulminano tutti con lampi metallici. Funziona tutto dannatamente bene. Il coinvolgimento è massimo da parte di tutti e alla fine tutti respirano una gran ventata di soddisfazione. Salutare come l’aria fresca dopo mesi di aria condizionata.
C’è ancora un gran bisogno di tutto questo. C’è bisogno di autenticità e esaltazione, di adrenalina ed energia. In tempi di auto-tune e suoni preimpostati, di musica innaturale ed artefatta, nei locali raccolti ed intimi, al riparo dall’appiattimento generale, c’è gente che ancora resiste, che ancora non è doma, che ancora non si arrende alle tentazioni comode di omologazione e azzeramento. La risposta è negli amplificatori e che si senta forte e chiara, com’è successo l’altra sera.
Bello il Blah Blah… altro che certi locali da fighetti che ci sono a Milano che staccano la spina nel mezzo del concerto. Anche l’atmosfera naif e rustica del locale ha reso il concerto speciale! È stata una bella scoperta, anche se piccolissimo ha veramente lo spirto giusto, molto alla mano, pagando tributo all’arte di arrangiarsi. In generale a Torino ci sono dei bellissimi locali, peccato per i pochi concerti di mio interesse che ci arrivano… Sia gloria al Blah Blah, allo Spazio 211, all’ Hiroshima Mon Amour, allo United (esiste ancora?) all’ El Paso e così via, vi porto nel cuore!