Al Discclub

Quando sei un ragazzino delle medie e vivi negli anni ottanta nella provincia italiana non è che tu possa avere chissà quale accesso alla musica alternativa. Vivacchi tra il fascino di tuo padre per Jimi Hendrix (“quello che suona la chitarra coi denti” cit.), il sacro vinile di “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” di tua madre (che poi, con uno scellerato gesto, verrà disperso dalla genitrice), la tua vicina di casa più grande innamorata di Rod Stewart, Leif Garrett e Miguel Bosè e ti fai tanta tenerezza a rivederti com’eri.

La stessa vicina ti instrada verso la musica attraverso una radio di Alessandria la B.B.S.I. (che sia una coincidenza che si pronunci come la radio/TV di stato inglese?) e verso un negozio di dischi (il”Discclub” appunto) dove poter comprare le scempiaggini trasmesse dalla suddetta radio che vive di dediche e annunci pubblicitari. Ascolti quello che passa il convento del tutto ignaro del fatto che un paio di lustri prima il mondo è stato sconvolto dal punk e qualche decennio prima c’era la summer of love, la psichedelia, l’hard rock eccetera eccetera.

Il negozio, fallito e (giustamente?) dimenticato da anni si trovava nella via centrale della città allora non ancora capoluogo di provincia. Era un buggigattolo stretto con dentro quasi solo musica commerciale e dei commessi attempati non in grado di vedere più in là del loro naso. Un ottimo impatto iniziale, ne converrete. Ti rilascia una simpatica “Tessera fedeltà” che garantisce un disco omaggio (o uno sconto, non ricordo più bene) quando sia completa di timbrini.

Tanto per capirci il livello era questo… “Are you a boy or a girl?”

Se la televisione non brillava per apertura mentale e cultura, nella provincia era anche peggio. Fortunatamente la tessera non arriverà mai alla fine. Arrivi alle superiori e ti si spalanca un mondo e capisci che quello racchiuso tra quelle quattro mura in centro e quella musica alla radio non ti appartiene più e probabilmente non l’ha mai fatto, solo che non avevi gli strumenti per saperlo. La prima volta che provi a chiedere qualcosa di diverso da quello che trattano, pensando ingenuamente che in un negozio di dischi ci fossero tutti i dischi, ti guardano storto e tutto quello che riescono a proporti sono gli Scorpions (che non fosse per “Still loving you” non avrebbero nessuna probabilità di conoscere) ed è un punto di svolta. Ti lasci tutto alle spalle e cominci ad essere te stesso.

Una volta Blixa Bargeld disse di essere maggiormente influenzato dalla pessima musica, perché gli dava modo si sapere esattamente ciò che non voleva essere. Ecco, Devo proprio dire grazie al Discclub in questo senso.

Parafrasando Paul Nizan: “Erano gli anni ’80 e non permetterò più a nessuno di dire che questo decennio sia stato il più bello dello scorso secolo”.

Autore: nxero

Free Spirit, Metalhead with a head, Vegetarian, Nonconformist, Misanthrope, Agnostic, True to myself only. I don' eat zoomorphic cookies too...

2 pensieri riguardo “Al Discclub”

  1. Davvero imbarazzante Mike Bongiorno, ma era la mentalità dell’epoca e anzi non è che in fondo sia cambiata poi troppo visto che ancora oggi si giudica spesso dall’aspetto esteriore. Fortunatamente a Torino in quegli anni c’era radio Flash che era davvero un punto di riferimento.

    1. Quando sono venuto all’università a Torino in effetti era già un altro mondo, quantomeno avevi delle alternative. Adesso già molte cose sono state sdoganate, ma all’epoca addirittura si chiedevano come facevi a far star dritti i capelli… in questa sede bello ricordare anche Celentano con David Bowie che è già più recente…

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