I quattro anni passati dal precedente disco sono sfumati in un secondo. L’attesa sembrava infinita, poi è finita in un attimo. Non ho voluto ascoltare niente prima che il disco uscisse, pensavo che ascoltare due brani in anteprima non avesse nessun senso. E avevo ragione. Il disco, se possibile, andrebbe ascoltato tutto di fila. È un caleidoscopio di sensazioni, è suggestivo, cangiante ma al tempo stesso fluido, scorre in modo naturale, quasi senza spigoli.
Conoscendo i miei gusti sembra incredibile, visto che io sono quasi intollerante a cose tipo svolazzi prog e incursioni di tipo quasi etnico, che comunque sono presenti nel disco. Eppure i Messa riescono ad integrare tutto questo nell’intelaiatura del loro suono in modo assolutamente organico e del tutto naturale. E poi si percepisce la passione, il trasporto, l’ispirazione dietro ogni singola nota di questo disco. Ascoltatelo, non chiede altro.
Troverete la voce di Sara che svetta ancora di più su tutto, il tono della chitarra sembra aver raggiunto un marchio di fabbrica: non puoi confonderli con nessun altro gruppo, nonostante alcuni riferimenti siano comunque presenti. Loro sono una meravigliosa realtà musicale che aggiunge un altro prezioso segmento al proprio percorso: la personalità già emersa quattro anni fa con il pregevole “Feast for water” qui si amplia come bere dell’acqua fresca dopo un whisky torbato. Il loro è un percorso che, a questo punto, si ramifica in modo assolutamente affascinante.
Parlarne diffusamente sarebbe svelarne l’anima. Credo che la parte migliore sia proprio che ogni ascoltatore si insinui tra le loro note in modo personale senza saperne troppo prima. Non indugiate, questo è, fin da ora, un serio candidato a diventare disco dell’anno.
L’unica critica che potrei muovere a questo lavoro è che non so quanto sia fattibile presentarlo dal vivo, i brani sono talmente ricchi e complessi, gli strumenti sono tali e tanti che in quattro presone non so quanto sia fattibile, magari con un “gruppo allargato”?