Uno che cosa può mai pensare dei supergruppi? A volte cose egregie e a volte cose pessime. Quando è uscita fuori la notizia che per Relapse sarebbe uscito il primo lavoro degli Absent in body con dentro due Amenra, Scott Kelly e Iggor Cavalera (ma la seconda “g” c’è sempre stata?) la notizia è mi ha trovato impreparato. Tra Amenra e Scott Kelly le similitudini ci sono eccome, ma Cavalera? Come è arrivato a collaborare con gli altri tre? Dopo il bello ed estenuante “De Doorn” dello scorso anno non mi sarei aspettato che avessero qualcos’altro in programma, meno che mai cotanta collaborazione.
Che razza di disco ci si può aspettare? Qualcosa di profondo e livido, che tuttavia lascia intravvedere un tenue spiraglio di luce fioca. Le coordinate sono queste, c’è molto dell’oscurità sonora degli Amenra in questo disco, fortunatamente però non c’è solo quello. A colpire subito è l’uso della voce, quasi cavernosa ed intellegibile eppure perfettamente contestualizzata. Il resto è una orchestrazione mesta e greve, un viaggio in un tunnel imbrattato di caligine solo a tratti spazzata via dal vento che sveste la superficie. Prendete la magistrale “The acres/ the ache”, con quelle aperture nel finale che portano una luce iridescente un brano altrimenti impenetrabile. Sarò strano io ma questo disco a me emoziona e rende finalmente accessibile, sia pure a tratti, una musica che altrimenti può risultare affascinante ma corre continuamente il rischio di appesantire l’ascolto.
Il disco risulta essere dunque un esperimento riuscito: condensa in una durata ridotta una materia oscura sonora inquietante ed affascinate al tempo stesso, un suono che attrae e allontana al tempo stesso con il quale gli Absent In Body lanciano un macigno nello stagno e smuovono uno tsunami. Non è dato sapere se riusciranno a portare la loro musica dal vivo né se la collaborazione avrà mai un seguito, tuttavia un segnale è stato lanciato nell’ etere… e si sente bello forte.