Absent In Body: Plague God

Absent in Body (Fonte Bandcamp)

Uno che cosa può mai pensare dei supergruppi? A volte cose egregie e a volte cose pessime. Quando è uscita fuori la notizia che per Relapse sarebbe uscito il primo lavoro degli Absent in body con dentro due Amenra, Scott Kelly e Iggor Cavalera (ma la seconda “g” c’è sempre stata?) la notizia è mi ha trovato impreparato. Tra Amenra e Scott Kelly le similitudini ci sono eccome, ma Cavalera? Come è arrivato a collaborare con gli altri tre? Dopo il bello ed estenuante “De Doorn” dello scorso anno non mi sarei aspettato che avessero qualcos’altro in programma, meno che mai cotanta collaborazione.

Che razza di disco ci si può aspettare? Qualcosa di profondo e livido, che tuttavia lascia intravvedere un tenue spiraglio di luce fioca. Le coordinate sono queste, c’è molto dell’oscurità sonora degli Amenra in questo disco, fortunatamente però non c’è solo quello. A colpire subito è l’uso della voce, quasi cavernosa ed intellegibile eppure perfettamente contestualizzata. Il resto è una orchestrazione mesta e greve, un viaggio in un tunnel imbrattato di caligine solo a tratti spazzata via dal vento che sveste la superficie. Prendete la magistrale “The acres/ the ache”, con quelle aperture nel finale che portano una luce iridescente un brano altrimenti impenetrabile. Sarò strano io ma questo disco a me emoziona e rende finalmente accessibile, sia pure a tratti, una musica che altrimenti può risultare affascinante ma corre continuamente il rischio di appesantire l’ascolto.

Il disco risulta essere dunque un esperimento riuscito: condensa in una durata ridotta una materia oscura sonora inquietante ed affascinate al tempo stesso, un suono che attrae e allontana al tempo stesso con il quale gli Absent In Body lanciano un macigno nello stagno e smuovono uno tsunami. Non è dato sapere se riusciranno a portare la loro musica dal vivo né se la collaborazione avrà mai un seguito, tuttavia un segnale è stato lanciato nell’ etere… e si sente bello forte.

Muschio: Acufene al cubo

Verbania, e con essa tutta la parte nord del piemonte nota come verbano-cusio-ossola, è un posto che ho sempre percepito come vicino, non solo per chilometri ma anche in spirito. Sembra uno di quei classici posti dimenticati dal tempo e dallo spazio, un luogo sospeso dove non ti fermi per caso: devi proprio volerci andare e per me, è il caso di dirlo, è un bene. Tempo fa un gruppo di amici, meglio noti come Adam 7, ci hanno fatto scoprire la zona anche come luogo di concerti con la storica associazione Perché No? Responsabile tra l’altro di aver fatto suonare gente non da poco come i Converge all’epoca di Jane Doe, tanto che poi, ogni volta che mi è ricapitato di vederli dal vivo ho sempre visto l’organizzatore spuntare, segno del legame che si era creato col gruppo.

Nel tempo non è mancata l’occasione per concerti memorabili tra cui una storica data degli Zu con Joe Lally dei Fugazi nella sede denominata Kantiere, dopo essersi spostati dallo storico scantinato in centro città. Da questa realtà, se vogliamo defilata ma vitale, nel panorama italico, nasce il gruppo di cui parlo oggi. Poco tempo fa ho avuto modo di elogiare i Totem prog-rockers di quelle parti, oggi è il momento dei Muschio.

Per qualche stana ragione entrambi i gruppi propongono musica tendenzialmente solo strumentale ed è una scelta difficile: demanda agli strumenti tutta l’espressività artistica del gruppo senza mai ricorrere alle parole. L’impianto che sorregge questa scelta deve dimostrarsi solido ed all’altezza del compito affidato, cosa che succede in entrambi i casi, sebbene sia per i Totem che per i Muschio, in qualche modo, si è affacciato anche uno sparuto tentativo di incursione vocale.

Rispetto ai conterranei i Muschio la buttano molto più sul concreto: le loro radici indie-rock sono stabili e solide. Un acufene o tinnito in medicina, è un disturbo uditivo costituito da rumori (come fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni, ecc.) che l’orecchio percepisce come fastidiosi a tal punto da influire sulla qualità della vita del soggetto che ne è affetto.

Questo è il titolo che decidono di dare alla loro terza uscita discografica. Non solo: Acufene al cubo. Terzo disco dall’anno di formazione 2011, qualcosa che si muove all’interno delle orecchie, una distorsione percettiva. Solo che non è spiacevole, anzi. In alcuni momenti richiamano certe progressioni sonore, come se fossero dei GY!BE minimalisti, con solo tre strumenti (“Dave cocks”), in altri si palesano certi spettri da Washington DC (“Tramontana scura” nella seconda parte richiama i Fugazi), tentano perfino la via del cantato in quella che forse è la migliore traccia del disco “FFF” o l’assalto quasi stoner di “Sicario”. Sono assolutamente in grado di rimodellare secondo i loro canoni una materia sonora che è patrimonio comune di tutti gli amanti certe sonorità, arrivando a imbastire un disco riesce nell’intento di coinvolgere e farsi ricordare, cosa non proprio scontata per una prova quasi interamente strumentale. Inoltre la produzione ed il suono di questo disco portano ancora più in alto il risultato finale, facendo letteralmente saltare per aria le casse se lo suonate a un volume consono.

Adesso la speranza è che si presentino finalmente le possibilità di proporre questo materiale dal vivo, dove le senzazioni fisiche si ampliano e un gruppo come i Muschio può realmente dare il meglio. Forti di una invidiabile esperienza dal vivo su palchi di mezza Europa, non mancheranno di dar vita a dei concerti memorabili.

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