10 domande agli Zolle!

Fai qualcosa di nuovo, rompi gli schemi, esci dal seminato. Fare interviste è una cosa che avevo già sperimentato, nel mio passato fanzinaro, ma che poi non avevo più ripreso. Ci voleva l’ispirazione, che è arrivata ascoltando “Macello” l’ultimo lavoro degli Zolle. Non saprei come spiegarlo diversamente, in qualche modo ho sentito che dovevo intervistarli, ho percepito che mi avrebbero risposto e che mi sarei molto divertito nel farlo. Stefano e Marcello si sono mostrati molto disponibili e gentili nel rispondere a queste dieci domande, nonostante questo sia un piccolo blog con un piccolo seguito, per questo non posso fare altro che ringraziarli e invitare tutti a entrare in contatto con la loro musica dal vivo e su disco, perché hanno molto da dire e, nonostante il sorriso che mi hanno strappato, si percepisce il loro impegno e la loro passione per quello che fanno, quindi su il volume e in alto i boccali!

Volutamente non mi sono preso molto sul serio, loro mi sono venuti dietro e questo è quello che risulta della nostra conversazione epistolare:

1. Quando sento il vostro nome mi torna in mente qualcosa di profondamente legato alla terra, oltre che San Siro negli anni ’90. Da cosa prendono spunto gli Zolle, partendo da nome per arrivare alla musica?

M: Se ti dicessimo come ci chiamavamo poco prima dell’uscita del nostro primo album, credo che non saresti qui a farci delle domande! Ahah! Su suggerimento dei baldi giovani di Supernatural Cat, che produssero il nostro esordio, abbiamo optato per un nome più consono al nostro immaginario, anzi, più che immaginario, rappresentativo della realtà in cui ci troviamo quasi ogni sera per fare le prov(ol)e.

S: Beh! Sveliamo il nome iniziale allora: Uilli Uolli. Chissà che karma avremmo avuto … Rispetto alla musica, ci sentiamo in viaggio. Oggi è molto più complesso ed affascinante comporre rispetto al passato. Abbiamo descritto il processo compositivo di Zolle del primo disco con l’immagine di un bovino disinvolto nel defecare. Oggi siamo più due nonne col setaccio in mano. Uguali sono rimaste la libertà, il piacere e quel connubio di impegno e leggerezza.

2. Un’altra domanda che nasce spontanea è quella legata al tema di fondo legato ai maiali… Mi sono sempre chiesto come vi fosse venuta in mente una tematica del genere, poi mi sono ricordato che da Casalpusterlengo in giù la presenza suina è assolutamente avvertibile a livello olfattivo. Credete che sia una formula che è possibile rinnovare all’infinito?

S: Non so se sia una formula rinnovabile all’infinito, per ora lo è stata. Come la mafia. Si ripete, contemporaneamente si rinnova. A livello estetico il maiale ci accompagna, ma in ogni album cambia di significato. Nel primo album, “Zolle”, maiale come divinità (tra il resto, dalle nostre parti e non solo, il porco ha rappresentato veramente una divinità sino agli anni ‘50, perché la sussistenza delle famiglie era in buona parte legata a lui…). Nel secondo, “Porkestra”, maiali in orchestra, a grappolo… perché è noto che maiali e vino vadano a nozze. Nel terzo, “Infesta”, Marcio ed Io, in sembianze suine, a festeggiare. Nell’ultimo, “Macello”, la faccenda si complica … il suino è l’abitante del mattatoio … ed il mattatoio simboleggia il luogo dell’ambivalenza e del paradosso: perdita e nascita. Il porco muore per dare vita ad altro da sé.

M: quella che senti, non credo sia profumo di maiali, ma odore di merda (nella migliore delle ipotesi) e di concime (spesso) chimico. Il maiale è comunque imprescindibile, è la canapa degli animali (cit.).

3. L’ immaginario fumettistico è un’altra costante della vostra produzione, seguite qualche fumetto in particolare o avete preso spunto da qualcuno per sviluppare il concetto grafico?

M: i disegni delle nostre copertine (a parte quella del primo album, che è un capolavoro di Malleus), partono da mei disegni e sono colorate da Eeviac. Sono rappresentate in quel modo (fumettistico?!? Non ci avevo mai pensato!) perché mi viene più naturale disegnare così (sono autodidatta, non riuscirei a fare una Gioconda, ahah!). Le influenze sono nomi enormi (nulla di nicchia), che mi vergogno di citare, potrebbero rivoltarsi nella tomba o denunciarci.

S: Io mi occupo del convivio mentre lui lascia segni grafici.

Ed ecco la mia copia di “Macello” che fa fiera mostra di sé

4. Passando alla musica: nel 2020 è difficile trovare un gruppo dal suono riconoscibile e senza troppe scopiazzature o ispirazioni palesi, voi come ce la fate?

M: Noi ce la facciamo? (Certo! molto più di tanti altri che se la tirano il triplo! nda)

S: Come vedi, nonostante l’età, la capacità di stupirci non molla! Mah …tutto nasce nel nostro incontro, un incontro che sta in piedi sull’anima e non su altre finalità. Forse questo modo di essere e di vivere l’esperienza compositiva fa arrivare all’orecchio dell’ascoltatore un qualcosa di “genuino”.

5. Immagino sia piuttosto semplice suonare dal vivo (ed in studio) essendo in due: la coesione tra di voi dev’essere veramente forte… alla fine però, ammettiamolo, è bello non avere troppi musicisti tra i piedi: quali sono i vantaggi di essere un duo? Percepite qualche limite?

S: In sintesi: vita di coppia. Zolle nasce nel 2013 come entità, Considera però che suoniamo insieme da 25 anni.

M: La semplicità dell’essere in due dipende dai problemi che crea l’altro (in genere solo lui). A parte questi milioni di problemi, devo dire che la dimensione duo, non è poi così male. Noi siamo (s)fortunati perché siamo molto amici e suoniamo insieme da 25 anni, riusciamo a mandarci affanculo in amicizia. Suonare con persone con cui non si è amici non è certo la stessa cosa. Ecco, poi c’è questa cosa degli arrangiamenti a causa della quale spesso tocca stare in equilibrio sui pedali o sulla sedia. A parte anche tutti questi altri problemi, direi che sono più i pro(blemi) che i contro.

6. Nell’ultimo lavoro c’è un accenno di uso della voce. Innanzitutto complimenti per il testo di “S’offre” che mi pare una cosa che forse potete capire a fondo solo voi (ma che ci sta benissimo) e poi quanto intendete sviluppare questo aspetto nel futuro?

S: Beh! Sveliamo il testo iniziale, che ha dato vita alla “melodia” attuale. Pronti? Hey Stefano, mi fai proprio schifo. Hey Stefano. Hey Marcello, mi fai proprio schifo. Hey Marcello. Giuro! Poi dalla risata, come spesso accade, siamo passati al concetto: “Morte non più morte, forte è forte”. Sofferenza è offerta.

M: L’uso della voce fa parte della lista dei problemi della risposta precedente. L’abbiamo usata un po’ per scherzo (dovresti sentire il testo originale di S’offre!, ahahah!), ma poi ci abbiamo preso gusto.

7. Un altro aspetto che mi piace molto del vostro progetto è il fatto di essere piuttosto legati ad avere un suono “live” per quanto curato anche nelle produzioni in studio. Francamente non se può più di suoni iperprodotti ed iperpompati. Com’è andata la registrazione di “Macello” con Giulio Ragno Favero?

M: Ti prego, non chiamarci “progetto” altrimenti non ti rispondiamo più! 😀 (azz… se n’è accorto! nda) Beh, Macello è abbastanza iperpompato, ahahah! Anche se l’approccio in studio è stato decisamente Live, abbiamo suonato insieme, poche sovraincisioni, registrato su nastro. Giulio è la persona giusta quanto c’è bisogno di alzare il volume, speriamo abbia la pazienza di registrare anche i nostri prossimi 100 dischi.

S: Chiamaci matrimonio! Eheheheh!

8. La chitarra ha un suono decisamente eclettico: Wah-wah, bottleneck, effetti e via discorrendo, tutto perfettamente amalgamato nell’economia generale del suono. Quanto è importante diversificare i suoni essendo l’unico strumento (batteria a parte)?

M: (Wow, grazie!) In linea di massima ho cercato di diversificare i suoni (non sono poi così tanti), in base all’esigenza della canzone, abbiamo cercato di fare un disco musicale, ci piacciono i riff, l a canzone così viene più arzilla e non scadiamo nei soliti accordi e scale in minore (che non ne posso più) 😀

9. Visto tutto quello che è successo negli ultimi mesi “Macello” è stato un titolo purtroppo profetico… come sono andate le cose dalle vostre parti? Quanto vi manca suonare dal vivo?

S: Guarda, stavamo iniziando a lavorare allo spettacolo di Macello…Poi quarantena … Ora per i live se ne parlerà forse ad ottobre all’estero … Abbiamo ripreso in sala prove a Maggio e sai cosa? Stiamo già pensando al prossimo disco. Abbiamo molti spunti, anzi, qualcosa in più di spunti. Chissà! Magari l’estate prossima registreremo l’erede di Macello. Cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi …

M: Dalle nostre parti è successo che la cosa sia nata proprio dalle nostre parti. Viviamo nella prima zona rossa, siamo dei precursori noi! Eheheh! Detto questo, a noi personalmente, non è andata poi così male (PER ORA), ma c’è un sacco di gente che si è vista la morte in faccia. I concerti ci mancano, certo, ci pare di capire che la nostra forza sia dal vivo (e in Macello, ahah!), per noi non è un lavoro, ma è una grossa valvola di sfogo, a partire dalle note fino alle gite. Oh, poi guarda che noi dal vivo siamo bravi, eh! Ahahaha! (Mai avuto nessun dubbio su questo! E spero di venire a sentirvi presto… o appena si può! nda)

10. Un’ ultima domanda: Prossimamente vedremo mai i maiali volare o è una cosa che succede solo ai concerti black metal o nelle copertine dei Pink Floyd?

M: i Black Floyd?

S: Speriamo

Poteva esserci una conclusione migliore? In attesa dei porci con le ali… Grazie ancora e a risentirci presto!

Hey sgorbia trita

Ci sono alcune cose che mi mettono a disagio, tra queste: i gruppi musicali con solo batteria e chitarra, gli album con una unica e lunga traccia (bello eh “Flood” dei Boris, ma quando mai ti puoi prendere il tempo si ascoltarlo tutto di fila?), gli album strumentali e qualsiasi cosa richiami la violenza sugli animali. Fatta salva la seconda, ma in futuro non si sa mai, gli Zolle centrano le altre tre in pieno. No prorio in pieno no, visto che nel loro ultimo lavoro un accenno di cantato si insinua nelle composizioni.

Quindi parto ad ascoltare “Macello” che sono già in tensione. Parto ad ascoltarlo che già vorrei trovare qualcosa di estremamente fastidioso che non me lo faccia piacere. Poi parte la prima traccia (“S’Offre”) e mi rilasso un attimo, mi libero dai preconcetti e lascio andare il disco. E mi colpisce positivamente nonostante tutti i miei pregiudizi da chiuso di mente.

Sarò io ma questo disco ha financo qualcosa di solare al suo interno che alla fine distoglie i pensieri dei maiali al macello, dall’assenza di basso e di cantato. E funziona. Prendere spunti da gruppi che di convenzionale hanno poco (mi vengono in mente Melvins e Kraftwerk, per dire) è già un grosso vantaggio, nel senso che apparendo strani, si corrono molti meno rischi di risultare già sentiti e stanchi. Da queste premesse si snoda il suono degli Zolle, intelligentemente ripartito in una mezz’ora di musica (di più forse avrebbe stancato) e divertente come il video del loro primo estratto. Anche l’idea dell’immaginario disegnato e fumettistico funziona: sembra di vedere i vecchi fumetti di Jacovitti con i salami che spuntavano dal terreno e nessuno che si spiegasse da dove saltassero fuori. Però facevano sorridere, nella loro assenza di senso. Tanto che anche gli accenni alla violenza sugli animali, secondo una citazione del fumettista, assumono una sfumatura meno truce:

«Qualcuno brontolò perché, per esempio nelle storie western, c’era qualche ammazzamento. Ma sarà violenza quella in cui il morto fa un paio di capriole, entra nella cassa e cammina per il cimitero con mani e piedi che gli escono dai legni?» (Jacovitti)

E allora ben vengano gli Zolle ed il loro immaginario, ben venga la loro musica obliqua e stralunata, ben venga il divertimento che ne deriva e le stramberie che emergono ascolto dopo ascolto. Credo che, in qualche modo, il futuro passi anche da qui, da un gruppo solido che si diverte facendo musica e producendo un disco assolutamente sfaccettato e godibile, con pochi punti di rierimento e qualche citazione (solo io ad un certo punto sento i Queen di “One Vision” in “L’aura”?), un disco massiccio e concreto che riesce nella mirabie impresa di essere assolutamente godibile da chi è avvezzo a certe sonorità benché prive di cantato e di basso. Un risultato tutt’altro che scontato.

Ora e sempre ringrazio tutti quegli artisti che mi hanno costretto ad uscire dai miei schemi e dai miei preconcetti da pigro bastardo.

Nora In The Sky With Diamonds

Nora In The Sky With Diamonds
Nora In The Sky With Diamonds

Qualcuno si chiederà se ci risiamo coi quattro di Liverpool: solo per il titolo. Il prossimo sarà un periodo davvero duro ed impegnativo, starò poco a casa e molto in giro, non avrò molto tempo per tante cose (questo blog incluso) per almeno un mese. Credo che ne valga la pena, altrimenti non lo farei. Credo che mi serva provare ad impegnarmi seriamente in qualcosa adesso, dopo aver fatto il ribelle per tanto tempo. E’ un’esperienza, qualcosa che voglio fare, un’opportunità che posso finalmente provare a cogliere. Questo non significa che non sarò più io, significa solo che farò esperienza, che farò qualcosa di nuovo.

Mi mancheranno tante cose della mia casa, che, inevitabilmente, finirà per diventare una sorta di albergo. Mi mancheranno tante cose, ma dico così solo perché devo generalizzare. In realtà quello che mi mancherà non saranno affatto “cose”, saranno affetti, e tra questi c’è anche la piccola Nora. Che poi tanto piccola (coi quattro chili abbondanti e la sua personalità esuberante) non è.

Lei è la felina di casa. Ovviamente è molto più di questo. E’ anche la prima felina che ho allevato io in prima persona, non senza aiuto certo, ma l’ho davvero seguita fin da cucciola. Arrivò, preceduta da strazianti miagolii, saranno tre anni il maggio prossimo, dentro uno strano trasportino, fatto a borsa, ma con le grate. Era impacciata, con un pelo ispido e indefinito, come anche il colore dei suoi occhi: era come se fosse un abbozzo di gatta, come se fosse una sorta di disegno preparatorio, uno schizzo del dipinto che diventò poi.

Ovviamente questo rendeva impossibile non adorarla.

Dopo un piccolo incidente, dovuto principalmente al fatto che non avevamo davvero adeguato le casa alle sue esigenze, decisi che avrebbe dormito in camera con me dentro al trasportino, non tanto per tenerla in gabbia ma per evitare che potesse farsi male. Pensai che sarebbe stato un fallimento: non puoi ingabbiare uno spirito libero, per quanto mi renda conto che sia il solito stereotipo sui gatti, comunque è vero.

Nonostante questo, lei dormiva placida dietro la grata, nonostante le mie mille paranoie. Se peccassi di presunzione, mi azzarderei quasi a pensare che abbia rinunciato ad un po’ della sua libertà per me. E’stata gentile. Gentile a dormire tutta la notte e ad aspettare che mi alzassi per mettere fuori una zampa e farmi ciao. E quel ciao mi faceva venir voglia di alzarmi nonostante dentro di me ogni fibra volesse rimanersene nascosta dal mondo e non affrontarlo. Sì limitò a darmi una zampa. Ma contribuì a tirarmi fuori dal torpore che ogni tanto ci avvolge, quando rimaniamo senza difese innanzi al mondo.

A me toccò invece di rinchiuderla in casa per sei mesi su indicazione della veterinaria sadica anche se a ragione, con tutte quelle nuove malattie che i felini si trovano a dover affrontare oggigiorno. Non fu un gran ringraziamento da parte mia, ma spero di averlo fatto per il suo bene. Le diedi poi il nome della protagonista del dramma teatrale di Ibsen (“Casa di Bambola”) perché volevo che diventasse fiera ed indipendente.

Oggi posso dire che le aspettative sono state ben riposte. Lei è uno splendido dipinto vivente, dal pelo lucido e dagli occhi limpidi. Un’amica ed una compagna. Al pari di un essere umano. Ma a modo suo. Con quelle due macchie bianche sotto le ascelle a ammorbidire quel nero lucido e impenetrabile del suo pelo e quella aria propria di chi è conscia della sua stirpe e del suo essere unica ed irripetibile, come ogni essere vivente, anzi, come ogni essere consapevole.

Ostico ed anche agnostico.

Passatemi la citazione iniziale, l’argomento di questo post è pesante e difficile da trattare e quello è il mio modo spicciolo di sdrammatizzare. Il punto è che in questi giorni una ragazza ha pubblicato su fb un commento positivo sulla sperimentazione animale dicendo che le ha salvato la vita. E uno pensava che fossimo liberi di dire quasi tutto (proprio tutto no dai, lo sapete bene), che si potesse ragionare tutti assieme in un fantastico nuovo mondo. La visione si è incrinata, mi spiace per chi ci credeva. Io in quanto vegeto/animalista mi sento un po’ chiamato in causa da tutto questo bailamme che si è sollevato.

Un paio ci considerazioni preliminari. Prima: La rete è un brutto posto, si incontra brutta gente, ma più raramente si incappa in persone meritevoli quindi alla fine la mia idea è che, comunque, vale la pena correre il rischio. Secondariamente a me è un po’ sfuggito il senso e l’utilità di uscirsene con certe dichiarazioni, avevo le idee confuse prima e le ho anche adesso. Io non credo che, comunque una cosa come fb sia buona per certi aspetti, ma assai discutibile per molti altri. Se posso permettermi una considerazione  dirò che non affiderò mai informazioni tanto intime ad un mezzo come quello. E’ dozzinale, impersonale, superficiale e aggiungeteci anche un paio di altre cose meno ripetibili. Superficiale è e superficiale dovrebbe rimanere.

Precisato ciò mi infilo nel ginepraio. Non sono ancora riuscito a prendere una posizione in merito alla sperimentazione animale. Mancano informazioni: nessuno ha mai detto chiaramente se serve realmente e se realmente non se ne può fare a meno. Esistono dozzine di pareri, più o meno circostanziati, ma nulla di risolutivo  o definitivo o, se esiste, a me non è arrivato quando ho cercato di informarmi in merito. Lavorando nell’industria mi passano davanti decine e decine di schede di sicurezza recanti dati circa tossicità acuta, corrosività, cancerogenicità e altre simpatiche cosette comunemente testate sugli animali. E allora mi domando fino a che punto sia lecito spingersi, nel senso che se si tratta di medicinali in grado di salvare la vita è un paio di maniche, su tutti gli altri prodotti però ne possiamo parlare. Soprattutto sui cosmetici, suvvia. La cosa andrebbe quantomeno regolamentata seriamente e non in base alla convenienza delle case farmaceutiche/ chimiche/ cosmetiche. E comunque, visto che tanto farne a meno nemmeno a parlarne, i cosmetici non testati sugli animali esistono, usiamoli.

Detto questo e fermo restando la libertà di ognuno di pensarla come vuole, almeno per quello che mi riguarda, io ancora ho un paio di problemi spigolosi. Primo: quello che mi disturba è che, comunque, gli animali non hanno la possibilità di ribellarsi, sono senza voce in capitolo sulla loro vita ed io lo trovo davvero tremendo e orribile, bisogna che qualcuno parli in loro vece, anche se augurare la morte o altre oscenità non sono assolutamente contemplate in tutto questo. Secondo: (questo è ancora più personale ma…) non sono affatto convinto che, in linea di principio, una vita umana valga quanto quella di mille (o anche di un singolo) animali. Per me è una “scala di valori” niente affatto scontata. Gli animali definitivamente NON sono (o non dovrebbero essere) una sorta di “bene” a nostra disposizione. L’obiezione principe che mi può venire mossa è che cosa ne penserei se ci fosse di mezzo una persona cara. Verissimo. Era uno spunto di riflessione fatto in considerazione del  fatto che, comunque, la mia opinione non vale nulla ed io ne sono consapevole, nel senso che, comunque, non sta a me decidere. Questo mi mette nella posizione di poter avere un punto di vista forse sbilanciato a favore degli animali. Del resto cosa volete da uno che considera immorale anche solo uccidere per sfamarsi… ma che obbiettivamente se ne andasse della sua vita chissà cosa farebbe…

Del limite di non saper scrivere

Luoghi

Una frase di Polly Jean Harvey mi ha sempre colpito. Diceva essenzialmente che si inizia a scrivere perché non si riesce più a parlare. Si inizia a parlare per imitare i genitori, si inizia a cantare per imitare i cantanti, si inizia a pensare perché la mera esistenza annoia: è fatta di un vuoto che gli umani non sanno sostenere. Gli animali, forse sì, ma anche loro si tengono occupati con qualcosa: la caccia, il gioco, l’ozio, non ho mai capito se a volte si annoiano, di sicuro sorridono.

Questo per dire che come scrittore ho dei limiti seri. Dal punto di vista linguistico/ ortografico/ sintattico la cosa è palese. Dal punto di vista tematico forse anche, ma adesso esplicito meglio la cosa. Come, o forse all’inverso, dell’incipit di Anna Karienina, che mi abbagliò di consapevolezza quando lo lessi (“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”), sono sempre stato convinto che la spinta alla scrittura mi derivasse dalle esperienze negative: dal dolore, dall’indolenza, dalla tristezza, dal lato oscuro insomma. Erano cose delle quali dovevo liberarmi e scriverne era il modo più facile per farlo. Vedere la propria paura su un foglio la esorcizza. Per questo ho sempre ammirato chi fosse in grado di scrivere di cose positive. John Lennon che scrive “Real Love” o “Woman” o “Jealous Guy” senza risultare mieloso e stucchevole, Dostoevskij che scrive “L’idiota” il cui personaggio principale (il Principe Myškin) è talmente buono ed ingenuo da essere  scambiato per idiota.

A me basta per considerarli dei geni, perché io non ci riuscirei mai, oltre ad essere letterariamente estasiato dal personaggio perfido e bellissimo di Nastas’ja Filippovna, che occupa un posto speciale nei personaggi femminili, come Hella del Maestro e Margherita. Comunque le esperienze belle, formative e piene di benessere mi si sono sempre consumate dentro, ne resta ben poco da raccontare agli altri. Oltre ad esserne geloso e nasconderle in scrigni dentro l’anima che scruto nel silenzio e nel buio delle mie stanze. Esattamente come certi personaggi dei romazi russi, che ad un certo punto “si ritirano nelle loro stanze” e buona notte. Un gesto che me li rende simpatici, un gesto in cui mi identifico, un bisogno di chiudere la porta in faccia al mondo e restare soli con i propri pensieri. Ne ho sempre avuto un gran bisogno, così come ho sempre avuto bisogno di parlare delle cose negative, di buttarle fuori in qualche modo. Coltivando un angolo per se stessi, al contempo.

Perciò non me ne vorrete se non vi dirò nulla del tempo passato senza scrivere. E’ andato tutto bene, sappiatelo, benissimo.

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Tanti auguri “Geezer”!

Terence "Geezer" Butler Birmingham, 17 luglio 1949
Terence “Geezer” Butler Birmingham, 17 luglio 1949

Vabbeh ma come faccio a non festeggiare il compleanno del bassista dei Black Sabbath? Ci ho pensato ma è un fatto che non posso ignorare: oggi mr. Butler compie 64 anni e no, non ci posso davvero passare sopra. A rischio di essere tacciato di monotematicità: buon compleanno Terence (e dire che non sono uno che ama festeggiare i compleanni)!!! Come idolo aveva Jack Bruce dei Cream, è lui il responsabile della svolta horror/occulta del gruppo albionico, di buona parte dei testi e dell’immaginario del gruppo.

Di sicuro ha avuto a che fare anche con la musica. Non è infatti il classico bassista messo lì per figura: è anche grazie alle sue linee di basso inconfondibili se il gruppo è diventato quello che è oggi, difficilmente Iommi sarebbe stato in grado esprimersi a certi livelli senza un adeguato supporto ritmico alle spalle. Inoltre credo che sia andato ben aldilà di questo, non limitandosi a seguire pedissequemente i giri di chitarra, come potrebbe fare il classico bassista-oggetto tanto in voga nella musica pesante. Come sanno anche i sassi, quest’anno i ‘Sabbath sono ritornati sulle scene e, come ho già avuto occasione di dire, lui mi sembra quello che alla fine esce vincitore da “13”, avendo la caratteristica di non snaturare troppo il suo stile anche avendo a disposizione dei suoni decisamente moderni. Quando poi scopri che è un fervente sostenitore dei diritti degli animali, nonché vegano non può che scoppiare l’applauso!

Che ne diresti di un bel NO come risposta?

Dai, che si parte per il mare! NO!

Accendi la radio, c’è “Get Lucky”! NO!

Che bello, arriva l’estate! NO!

Finalmente fa caldo! NOOOOOOO!!!

Fai esercizio fisico! NO!

Studia! NO!

Mettiti a dieta! NO!

Vai in palestra! (col c… ehm) NO!

Moccia ha “scritto” un libro nuovo! NOOOOOO!!!

Ti piace Cattelan? NO, direi di NO!

Hanno eletto un nuovo papa! Ma NOOOO!

C’è un nuovo governo! …Ah sì? NO!

Abbassa il volume! Assolutamente NO!

Mettiti in giacca e cravatta! Eh eh NO!

Tagliati i capelli (ehm), sposati, lavora e vai fuori dalle balle! NO!

Produci, consuma, crepa! (Vedi sopra) NO! (Creeeeepa!)

Metti la testa a posto! NO-oh!!!

Mangia carne! NOOOOO!!!

Mangia pesce! Ho detto NOOOOO!!!!

Adeguati! NOOOOO!!!

Vengo anch’io? NO tu NO!

Non accettare un NO come risposta! NO!

NO significa NO!

Ma non hai nulla di meglio da scrivere in un post? NO!

Per riassumere?

How about no
How about no

We missed you hissed the lovecats…

25 Aprile: partigiani sfilano per le strade di Milano

E quest’ anno mi sono perso il post per il venticinqueaprile, una delle poche feste che io mi senta ancora di festeggiare… mi sono perso qualche giorno nel quale stare davanti al PC e scrivere su queste pagine.

Meglio così: ultimamente l’ispirazione latita. Ho sentito il nuovo “singolo” dei Black Sabbath e non mi ha deluso molto: è già un gran risultato. Peccato per la produzione, signor Rubin, mi spiace ma, anche se ha fatto un buon lavoro facendo passare per ascoltabile il biascicare di Ozzy, il suono della chitarra del riffmaster non mi piace proprio… suona decisamente troppo pulito e moderno! Non si sente affatto la puzza di valvole, al punto che sembra di più una canzone degli Heaven And Hell che dei Black Sabbath, non so se mi spiego. Comunque i tempi sono proprio andati ed è già una vittoria che la canzone non sia un obbrobrio inascoltabile!

Andy Warhol ed io
Andy Warhol ed io

Ho guadagnato quattro giorni a zonzo lontano da casa e una visita al museo del 900 a Milano, sulle stesse vie percorse, a suo tempo, dai personaggi immortalati nella fotografia di cui sopra. Alcune opere le avevo già viste alla defunta CIMAC, però bisogna dire che, in ambito museale, credo che il museo del 900 offra il miglior rapporto qualità/prezzo possibile, avendoci passato dentro tre ore e mezza filate, senza soffermarmi sulle opere in maniera ossessiva, come mi è capitato di fare in passato. C’è veramente una collezione invidiabile ed affascinante, sempre se vi piace il periodo. Io sono rimasto maggiormente impressionato da Boccioni, Fontana (la sala dedicata è spettacolare!) e Modigliani, dal gruppo degli opticals e dell’arte povera, ma anche dai meno conosciuti Luigi Russolo o Emilio Scanavino. Poi c’erano anche, nella sezione mostre temporanee, alcune opere di Andy Warhol, che non guasta affatto… nonostante non mi faccia impazzire.

Schema originale di un Intonarumori di Luigi Russolo

Parlando di Russolo poi ho fatto una scoperta interessante: costui, pittore e futurista, fu colui che, firmato il manifesto “l’arte dei rumori”,  concepì per primo l’ idea di “noise music” e non si limitò a questo: inventò anche uno strumento denominato intonarumori: un apparecchio meccanico capace di sviluppare diverse tipologie di rumore che poi andranno sotto al nome di musica futuristica. Ovviamente più di un personaggio di mia conoscenza gli deve qualcosa…

Poi ci si risveglia al lunedì con una settimana che incomincia all’orizzonte, la pioggia che martella il suolo (e che io ringrazio altrimenti a quest’ora schiatterei già dal caldo) e una sensazione strana: come se ti mancasse qualcosa… ah e la voglia di ascoltare i Cure.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=fcW35t2Gtyk]

The interview

Unimog
Unimog

Quello che potete leggere qui sotto è un’intervista che ho recuperato in una oscurissima webzine che, non si sa come, è riuscita ad intervistare un oscuro rappresentante del bassistico duo. Non è chiaro molto alto al riguardo e mi scuso con i lettori non in grado di leggere la lingua inglese, ma tradurre tutto sarebbe laborioso e, ammettiamolo, non ne ho poi molta voglia: probabilmente ci sono anche degli errori dentro ma quelli non dipendono da me… onestamente non so nemmeno bene chi possa essere interessato ma tant’è…

Unimog is an italian band. We don’t really know much more than that… two people playing “music”. The word is quoted because you can’t really call it that way and even try to describe what they play gets difficult, what we heard was basicly a distorted bass-line and the kind of vocals you can expect to came out of a cave. Low distorted tunes, primordial growls but fascinating in some way. Don’t even ask how we get in touch with them, they aren’t exactly familiar with what you can call interviews and stuff like webzines, just enjoy the chat and hope not to hear them play. Ever.

Q: Would you like to introduce the band? A: Well we have known each other since more or less a lifetime ad at a certain point we just grab our basses and raised the volume. I don’t know if this could be called a proper “band” we just do what we feel like and obviously we don’t care. Most of the time it’s just us jamming for an endless time. And don’t think about complicated stuff, because one starts playing a riff and the other one follows adding what he feels like to the main theme, so our so-called “jams” are nothing serious, we have respect for those who jam the right way (laughs).

Q: What about the band’s name? A: It is a off-road vehicle made by Mercedes-benz. We prefer the 70’s vehicles to be honest, the ones without all that electronic shit, they were so great. Nowadays there’s too much electronic stuff everywhere, even in music, and we’d like to react going the other way with what we play, I don’t really think we will ever sound like much modern bands do. To hell with pro-tools! (laughs) We decided to call ourselves like that because we like to go outdoors where noone usually go, and that vehicle can bring you there, pretty much like when Kyuss used to play in the Death Valley, what we dreamt about was playing in a rather inaccessible place.

Q: And where do you usually play? A: It depends on how high the volume can be! Usually we play in one of our places at a low volume, but when it becomes necessary to make some serious noise we just rush in a workshop. In a workshop? Yeah, we know the right people to do that.

Q: Before you were talking about Kyuss, what artists have influenced you? A: Kyuss were absolutely among those who had a leading role in influence what we do. It’s always a matter of attitude and, of course, of the way they sound. I could say that Sunn 0))) are perhaps the biggest influence, great people and deep, slow and low-tuned  sound. Dark Throne are another if not for the music, for sure for the attitude and for doing what they want and what they feel. Then I can’t forget the Melvins, perhaps the biggest example of indipendence in today’s music… and tons of other bands like Neurosis, Converge, Electric Wizard, Sleep, Winter and, what the hell, the first six Sabbath albums!!! (laughs)

Q: But you don’t sound like any of them, do you? A: No. (laughs) Maybe a bit like Sunn 0))), but it’s a bold statement, man.

Q: What do you think Unimog is all about, then? A: Damned if I knew! (laughs) We are just a couple of friends doing what we like. If I wanted to be pompous I’d say we are about freedom of experssion, darkness, heavy music, but that’s bullshit and I don’t believe it at all. We are just free and we can’t really take any kind of label on what we do. We don’t like to discuss about it, we don’t like to give explanations or anything, that’s it. This is not something made to get a contract or to please people, like it or not. If it is so… why are you answering now? Because you were so kind to ask for an interview and because I felt like it!!! You know, usual things (inclucing people and music) are so damn boring, and I haven’t answered an interview yet!!!

Q: Will you ever record anything? Will you ever play live? A: Uhm… I don’t know, how did you get to hear us? I won’t say that… that’s right, you get the point. As I said before we do what we feel like, we live the moment, you know? If we will be able to record anything satisfying and the moment is right, then it could happen (there might be some bootleg recordings, I don’t really know). And we even played live once. It was a kind of a festival and a friend of ours asked if we’d like to join in. He had to ask several times, really (smiles)… but finally we played and had a good feeling out of it, it was just bass and vocals but i guess we scared the shit out of someone! There was no plan, we just dropped in and play, we preferred the version with “vocals” so there was a bass only. Some said we sounded like an elephant, others, linstening to our rehearsals, said like a dinosaur, we appreciated that! Horns up!

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