451 gradi Farenheit è la temperatura alla quale la carta si incendia. Se non vi dice nulla credo che non abbiate mai letto il libro di Ray Bradbury e mi chiedo come mai. Se non l’ avete fatto probabilmente vi manca uno spunto per ragionare circa l’essere offensivi nei confronti degli altri, magari nemmeno vi sentite a disagio nei confronti dell’imperante necessità di non offendere nessuno, almeno in apparenza.
Probabilmente vivete bene in quest’epoca di gente che pretende che tu ti muova sul ghiaccio sottile nella speranza che nessuno si offenda mai per quello che dici. Il principio è giusto, le conseguenze tremende. Nel libro, oramai nemmeno più tanto di fantascienza di Bradbury, i libri vengono messi all’indice e poi bruciati per paura che possano offendere qualcuno… persone di colore, omosessuali, devoti di una religione a caso, infine una qualsiasi categoria di persone. Adesso un campanello vi risuona in testa o ancora no?
Ci si muove esattamente come la buonanima di Carla Fracci, in punta di piedi, cercando di non gravare troppo sul terreno perché altrimenti potrebbe creparsi. Quindi si mettono all’indice film come “Via col vento” (che andrebbe semmai oscurato perché è un mattone tremendo, ma questa è un’altra storia), addirittura la Disney ha più di un dubbio su molti suoi cartoni animati: cose del genere che, a un certo punto, mi sono rifiutato di sentire ancora. E poi arriva Bill Hicks e fa il punto della situazione:
“This idea of “I’m offended”. I got news for you I’m offended by a lot of things too. Where do I send my list? Life is offensive. You know what I mean? Get in touch with your outer adult and grow up, move on.”
Vuoi vedere che la colpa non è della ballerina che si muove pesantemente, quanto piuttosto del terreno che è troppo fragile? Non sarà che non stiamo dando alle persone gli strumenti per non offendersi per le parole degli altri? Offendersi a volte significa non capire il contesto. Le persone di colore in “Via col vento” sono trattate nel modo in cui erano trattate all’epoca dell’ ambientazione del romanzo, io piuttosto mi scaglierei contro il tentativo di normalizzazione squallido di chi mette la testa sotto la sabbia proibendone la visione. Molte conquiste civili sono state fatte partendo da un’ offesa, molta controcultura si basa su cose oltraggiose, offensive, scorrette. La libertà di parola non funziona a senso unico, a meno che non si sfoci in un reato. Ma i reati li giudica la magistratura, non le emittenti televisive, i giornali o chiunque altro.
Tutto questo preambolo iniziale per introdurre le cose che ritengo figlie del politicamente corretto che mi fanno maggiormente reagire:
- Non ti piace qualcosa? Non ne parlare. La madre di tutti i mali. C..redici che non lo faccio! Il solo fatto che non mi piaccia/ non mi stia bene qualcosa non mi autorizza a parlarne? Una bella consuetudine da social network sempre più radicata. Mai visto nulla di più sbagliato, paradossalmente proprio delle cose che non sopportiamo dovremmo parlare di più per cercare di cambiarle attraverso critiche costruttive che nessuno accetta più per tanto spesso si sfocia nel turpiloquio direttamente. È sicuramente sbagliato, ma è un atteggiamento figlio dell’assurdità del disquisire negato. IO NE PARLO ECCOME! E mi permetto pure di usare l’ironia e lo sberleffo con chi me lo vieta. Da qui a bruciare i libri ci si arriva in 3.2.1…
- La censura tipo PMRC. No grazie. A parte che l’esperienza Tipper Gore insegna: ha avuto più che altro l’effetto di fare pubblicità e far vendere le magliette con il famoso adesivo. È un problema vecchio come il mondo: le persone (e anche i gruppi musicali) possono parlare delle tematiche che vogliono. Si suppone che le persone siano dotate di cervello pensante tale da operare in coscienza opera di discernimento. Se non hanno tali capacità o è perché sono troppo piccoli o è perché non sono in grado (e in questo caso sta alla società di tutelarli) o non hanno gli strumenti (e in questo caso sta sempre alla società forniglieli). Scaricare la colpa sugli altri è sempre comodo.
- Non mi ci scaglio contro ma nemmeno tutta questa attenzione ai generi maschili/femminili, gli * messi al posto delle vocali mi suscita particolare simpatia. Sono solo parole. Quello che conta sono i fatti, prima di cambiare la lingua non sarebbe male cambiare le persone. Poi lo so che le parole sono importanti ma, anche qui, il contesto è che la lingua italiana ha sempre avuto i generi e certi sostantivi o sono maschili o sono femminili e io non ci vedo nulla di male in questo. Comunque sia a Vera Gheno le si vuole bene, sia chiaro.
Hanno tentato di offendermi un buon numero di volte in vita mia: per il mio corpo (body shaming adesso si chiama così?), per le mie idee (il bello di non affiliarsi mai…), per essere vegetariano (adesso fa figo, dovevate provare nel 1994), per la musica che ascolto, per i capelli che avevo e per l a mia capoccia pelata di adesso… con ogni argomentazione possibile, insomma. Spesso, soprattutto all’inizio, ci sono riusciti, mi hanno fatto male, mi hanno gettato nella depressione, anche persone vicine. Poi ho trovato la forza, ho smesso di dare peso alle offese: è un percorso duro, accidentato ed è giusto tutelare chi non riesce a farlo in solitaria, però non bisogna nemmeno arrivare a certi eccessi nei quali il contesto non conta più nulla, si spegne il cervello e non se ne tiene più conto sparando indebitamente a zero. La società moderna ci dà apparentemente il diritto di offenderci per qualsiasi cosa, io rinuncio a questo diritto. Occorre essere più forti delle parole.
Pippone finito.