Qui

A questo punto datemi pure del marchettaro ma mi tocca parlare ancora della Kono dischi. Dopo i Sabbia che, tra l’altro, hanno pure visti riconosciuti i loro sforzi da Rumore che li ha premiati come disco del mese italiano, è da poco uscito il nuovo lavoro dei Crushed Curcuma, che mette altra carne al fuoco per il collettivo biellese.

Crushed Curcuma

Le coordinate sono formalmente le stesse di quattro anni fa: psichedelia sorretta dall’elettronica di Nicolò Tescari e veicolata attraverso il sax di Mattia Rodighiero, se non fosse che, nel frattempo, gli orizzonti si sono ampliati attraverso l’apporto dei musicisti esterni che si sono prodigati a dilatare la loro visione nel nuovo disco, che per questo risulta più articolato e con una struttura più dettagliata che in passato. Come se con il primo lavoro avessero voluto presentarsi e con il secondo ampliare il discorso, aggiungendo e definendo sfumature.

Il nuovo lavoro nasce da un contesto intimo per poi aprirsi all’esterno attraverso una proposta musicale che è un vero e proprio movimento contemplativo e scenografico. Un disco che andrebbe ascoltato tutto di fila, dove la suddivisione in tracce risulta alla fine quasi un atto formale, spezzando in quattro un discorso che potrebbe tranquillamente filare dall’inizio alla fine. È un gioco di contrasti: l’elettronica parte in maniera quasi marziale dando corpo a un’impalcatura solida sulla quale si muove tutto il resto, un onirico ed arioso percorso dettato dagli altri strumenti. Come una sorta di meditazione guidata all’interno della quale permangono fascinazioni di stampo etnico/tribale orientate verso paesi lontani (mi viene in mente il medio oriente ma ammetto la mia ignoranza) già presenti nel passato e qui ulteriormente ampliate. Solo l’ultima traccia rompe di netto con le precedenti tre, dopo un’esortazione iniziale (“Dai”) e un colpo di tosse parte in modo greve e teso quasi fosse una coda scura, una dipartita dell’ascoltatore che fino a quel momento aveva viaggiato sicuro nella musica. Il viaggio si compie, si torna alla realtà e si arriva ultimi a cena.

“Qui” indica proprio il Nostudiorec. di Cerreto Castello (Biella), luogo simbolo della Kono Dischi e studio di registrazione/sala prove per i musicisti del collettivo. Un luogo tenuto in piedi alla passione, uno spazio condiviso dove coltivare una visione musicale e artistica in un ambito creativo aperto, laddove invece “Tinval” si riferiva alla vecchia sala prove del gruppo ricavata all’interno dei locali di una ex-tintoria.

I luoghi rivestono una volta di più un ruolo significativo nella musica dei Crushed Curcuma, sia nella loro dimensione materiale (lo studio di registrazione) che in quella spirituale (la dimensione extra-corporea indotta dalle loro sonorità), i luoghi come identità e come appartenenza. I luoghi soprattutto come punti di partenza per un viaggio che si prefigge come scopo non tanto il raggiungimento della meta, quanto la bellezza dei panorami incontrati lungo il cammino.

L’Europa gira a 33 e 1/3

Dopo Biella, Torino e Milano, adesso siamo alla volta dell’ Europa, alla scoperta dei negozi di dischi che mi sono rimasti maggiormente nel cuore. Si tratta di Europa del nord, ovvero di quella parte di continente che sento maggiormente affine a me. Scandinavia e isole britanniche soprattutto, posti che, in qualche modo, mi porto nel cuore. Ma bando ai sentimentalismi e partiamo subito.

Cardiff- Spillers.

Vi siete mai chiesti quale sia il più vecchio negozio di dischi del mondo? Potrei essere smentito ma sono abbastanza sicuro che sia Spillers. Più che un negozio, una leggenda che ha rischiato di sparire ma che tutt’ora resiste nel cuore della capitale Gallese. E dire che ci sono capitato per caso, durante un tirocinio in terra d’Albione, mai più mi sarei aspettato di imbattermi nella storia dei negozi di dischi. Invece in Regno Unito c’è una grandissima passione per la musica, del resto, ragionandoci tutte (o quasi) le più grandi band della storia arrivano da lì e ci sarà pure un motivo. Tutti hanno una vasta cultura musicale molto meno settaria e chiusa che da noi ed è bellissimo, sia che trovi l’appassionato di musica classica che il sessantenne che conosce i Neurosis.

Cardiff è una città molto sveglia culturalmente parlando, ha un centro che la sera diventa quasi un centro svaghi per ubriachi e se ci capiti nel momento giusto non è raro che si trasformi in una festa gigante (io ci sono finito per halloween!). Al contrario di altre città decisamente molto meno rassicuranti (su tutte Liverpool: al sabato sera c’era quasi guerriglia per le strade!) è accogliente e a misura d’uomo. Spillers era un negozio quasi dimesso, se ne stava nel suo angolo ad aspettare quasi che io passassi di lì, da fuori sembra un negozio comune, dentro respiri la storia. Specializzato quasi solo in musica alternativa (e meno male) ti fa respirare l’aria dei veri negozi di dischi. Scaffali di legno, riviste, musica di sottofondo, qualcosa di un po’ polveroso qua e là, c’è tutto.

Non ebbi la possibilità di fare la radiografia al posto, però sono lieto di sapere che, con qualche traversia e boicottaggio a Morrisey perle sue ultime derive estremiste, il posto resiste. Anche solo averci agguantato “Abbattoir blues/ The lyre of orpheus” di Nick Cave and the Bad Seeds è sufficiente a tenere vivo il ricordo (tra l’altro è un disco bellissimo).

Borderline – Dublino

Uno almeno un sabato sera nella vita dovrebbe passarlo a Temple Bar, tanto per capire perché gli irlandesi hanno la fama che hanno. Anni fa (oggi purtroppo il negozio è chiuso) durante una scorribanda in quel posto magico dove i fiumi sono fatti di Guinness, la pioggia sa di luppolo e la terra raccoglie bicchieri rotti, mi imbattei nel negozio di cui sopra, meglio: nella saracinesca del negozio decorata con un murale. Alzando lo sguardo vidi l’insegna che prometteva decisamente bene e feci il possibile di ricordarmi dove fosse il matt… ehm il pomeriggio dopo. Tra la statua di Phil Lynott, la strato di Rory Gallagher, il vago sentore di U2 che aleggiano sulla città alla fine lo ritrovai e fui ripagato dello sforzo mnemonico post serata ululante.

Un piccolo negozio di dischi ma strapieno di roba… alcuna anche mai vista prima. Una vera delizia. Peccato che dopo giornate di gozzoviglie i fondi da investire scarseggiassero e dovetti fare una cernita dolorosissima portando a casa, tra l’altro, una edizione in vinile verde di Sons of Kyuss… niente meno!

Tiger – Oslo

Dalle mie parti Norvegia fa rima con Black Metal. Ed è vero, se fate un giro ad Oslo è d’obbligo che vi mettiate a cercare il posto dove sorgeva l’Helvete e vi facciate accompagnare nei sotterranei alla ricerca della famosa scritta “Black Metal”, ma resta poco più di questo. Avrebbe molto più senso aspettare Fenriz fuori dalle poste per stringergli la mano. Detto questo quel mondo si è abbastanza disgregato ma questo non significa che non ci siano altri negozi di dischi meritevoli in città. Tiger è uno di questi, forse il migliore. E non c’è da confondersi con l’omonimo negozio di cianfrusaglie danesi, questo è un signor negozio vecchio stile con scaffali e tutto in regola.

Specializzato soprattutto in musica indipendente è piccolo e accogliente, con un’atmosfera che ti fa sentire a casa e dei prezzi ragionevoli, soprattutto se considerate che siete nella terra dove tutto costa quasi il triplo rispetto all’Italia. Scovai una copia in vinile di “Steady diet of nothing” dei Fugazi, potevo abbandonarla lì?

Music Hunter – Helsinki

Ecco uno dei negozi più forniti che io abbia mai visto, l’unico, tra l’altro che mi abbia permesso di vedere una copia in vinile del White Album autografato dai fantastici quattro di Liverpool (ed era pure in vendita a trattativa privata). Music Hunter rappresenta la Mecca di ogni collezionista, praticamente un paese dei balocchi per chi ami la musica. Dischi stipati ovunque, un posto dove veramente se ti metti a scartabellare puoi passarci le ore senza accorgerti che il tempo ti sfugge di mano. Ne esci quasi stordito con la testa ciondolante e qualcosa tra le mani. All’epoca della mia visita ero in fissa con i Reverend Bizarre, quindi nella loro terra mi aspettavo di trovare delle chicche mai viste in patria, visti anche i loro trascorsi in classifica. Non ci trovai nulla e il gestore mi guardò anche con un grosso punto interrogativo stampato in faccia quando glielo chiesi. Dovetti ripiegare su “Quietus” degli Evoken, Doom Over The World!

Postilla: Helsinki è veramente un posto magico per musica e dischi, spero che sia ancora così ma all’epoca c’erano veramente negozi ovunque. Music Hunter rappresenta un po’ la punta di diamante ma anche altri erano veramente interessanti (se non mi ricordo male ce ne era uno molto bello chiamato Combat Rock incentrato soprattutto sul punk). E poi sentire le auto che sfrecciano con i Black Sabbath appalla non ha prezzo.

Sex Beat Records – Copenhagen

Nella città che contiene un luogo fuori dalla legge e dall’ Europa (Cristiania), la musica di un certo livello viene veicolata da questo negozio che si trova giusto sopra un parrucchiere alternativo. All’inizio non capivo dove si trovasse di preciso, l’insegna c’è ma l’entrata non mi era chiarissima. Poi una volta dentro ci trovo Michael Poulsen dei Volbeat con consorte e cane: mi è subito chiaro che è il posto giusto. Sembra all’improvviso che siamo tornati nei fantastici anni ’60, pavimenti di legno, vinili e devozione per Elvis (il cantante ha tatuato fieramente “Elvis Aaron Presley” sull’avanbraccio con caratteri vagamente in odore di film western. Della Danimarca io mi ricordo soprattutto i DAD (“No fuel left for the pilgrims” e “Riskin’ it all” per me erano più fondamentali dei Guns ‘n’ roses o dei Motley Crue, per dire), Von Trier (e per le imprecazioni dal tetto del Regno del medico svedese!) e la Carlsberg (la birra è molto nella media ma lo stabilimento è un posto da vedere!), però anche quest’esperienza mi lasciò il segno. Ne esco con un disco (vecchio) dei Volbeat e il commesso che mi dice di correre dietro a Michael per farmelo autografare, ha una voce che ammiro sinceramente ma stavolta passo…

I tetti di Copenhagen

Sound pollution – Stoccolma

Stoccolma è un luogo del cuore, Gamla Stan è il cuore del luogo del cuore. In questo scenario fantastico di stradine, vicoli, medioevo e turismo si incastra Sound Pollution, altro storico negozio che ha visto nascere la scena svedese, partendo dal Death metal per arrivare allo Scan rock, il luogo di riferimento per acquistare dischi nella capitale. Due stanze, una tonnellata di dischi, libri e tutto il necessario a farsi una cultura musicale sulla musica pesante. Entro la prima volta con indosso una maglietta degli Unearthly Trance e la prima cosa che mi dicono sono dei complimenti, non puoi sbagliare: quando si parte in questo modo, sei nel posto giusto. Esco un’ora e mezza dopo con in mano una copia di “Swedish death metal” di Daniel Ekeroth che mi servirà da guida turistica nei successivi 15 giorni di magia.

Appena fuori scovo il ristorante vegetariano Hermitage, gestito da due signore hippy con i rispettivi figlioli e ho anche trovato di che sfamarmi il corpo oltre che la mente. Direi che sono a posto. Da lì in poi i pellegrinaggi sono continui e ripetuti, impossibile ricordare tutti i dischi acquistati, a parte uno dei Thergothon che cercavo da tempo immemore: divertente pensare che hanno pure inciso per una etichetta italiana.

Finisco il viaggio in allegria con un bel brano di Funeral Doom Metal… non male eh?

Accade a marzo 2021

Il mese inizia con una notifica di Facebook mi ricorda che il 6 di questo mese ricorre il compleanno di Marco Mathieu, caduto in coma ormai diverso tempo fa a seguito di un ictus che lo colse nel 2017 mentre era in vespa. Il bassista dei Negazione fu il primo musicista a cui scrissi una lettera che forse ancora non ero maggiorenne. Ci sono molto affezionato perché mi rispose a mano (!!!) e fu davvero un grande facendomi anche gli auguri per la scuola. Inoltre poco dopo li vidi in concerto e fu il primo vero concerto visto in solitaria (seppur con il provvidenziale passaggio genitoriale) che finì per cambiarmi la vita. Non ho potuto fare a meno di rivolgergli un pensiero di speranza, seppur velato dal tempo trascorso dal suo incidente che ormai comincia ad essere veramente tanto. Mi resterà sempre nel cuore, la sua musica e i suoi scritti; mi rammarico ancora di non aver avuto l’opportunità di accedere al suo lavoro su Socrates.

Lo spirito continua, Sempre!

Il giorno 8 irrompe la notizia del decesso di Lars Goran Petrov, storica voce degli Entombed.

Lars Goran Petrov (1972-2021) Fonte Wikipedia

Ho dovuto trasgredire alla mia regola autoimposta di non partecipare al carrozzone di cordoglio che di solito si scatena sul web, perché l’estate del 2007 è un ricodo ancora vivido nella memoria. Dopo anni di attesa finalmente posso permettermi un viaggio in nord Europa, e per i quattro anni successivi sarà una costante delle mie estati. Scelgo subito Stoccolma, che diverrà a buon titolo una delle mie città preferite. Appena arrivato mi guardo attorno come un animale randagio, il posto mi sembra da subito troppo bello per essere vero. Fatico ad integrarmi: c’è un sole splendente ma non fa caldo anzi, l’aria è frizzantina e si sta benissimo, la gente sorride, il Baltico è a due passi e mi sembra di non aver bisogno d’altro. Solo i prezzi mi fanno rabbrividire e la prima sera mangio una pizza da asporto fatta dai turchi in un parco cittadino. Torno all’ albergo dicendomi che quella sarà la mia casa per i successivi 15 giorni. Mi basta questo.

Il secondo giorno mi fiondo a Gamla Stan, il centro medioevale della città con l’idea di girarmi tutti i suoi vicoli e vederla tutta. L’ idea naufraga clamorosamente quando vedo l’insegna di Sound Pollution, storico negozio di dischi in centro, patria della musica estrema. Entro con una maglietta degli Unearthly Trance e il commesso mi fa i complimenti: più a casa di così… I dischi alla fine non sono poi così cari (provate a farvi una birra per ridere) alla fine però esco con un libro “Swedish Death Metal” di Daniel Ekeroth, storico libro sulla scena svedese con Entombed, Grave, Dismember e Unleashed in primissima linea. Sarà la lettura che accompagnerà l’intera vacanza con tanto di sopralluoghi nei posti citati nel libro: Il punto di ritrovo alla stazione centrale, il cimitero di Skogskyrkogården (patrimonio dell’ Unesco e protagonista della storica foto interna di “Left Hand Path”), qualche locale citato (anche se i nostri non potevano ancora entrarci in quanto sotto ai 21 anni), i Sunlight Studios etc… A quel punto mi sento veramente a casa, Sebbene in giro non ci sia il minimo sentore di Death Metal, respiro la stessa aria dei protagonisti e ne sono felice. Posso girarmela tutta la città e scoprire che è bellissima, trovare il più accogliente ristorante vegetariano di Stoccolma (l’Hermitage a due passi dal Sound pollution, spero ci sia ancora: erano tutti gentilissimi), girare per i musei (Il veliero Vasa, il museo civico, quello di storia naturale… ho saltato quello degli Abba), visitare la torre comunale.

Questo per dire che la scena svedese fu davvero qualcosa di unico ed importante, qualcosa in grado di smuovere le persone ed aprire nuovi orizzonti. Il tape trading allora era davvero qualcosa di avventuroso e romantico, magari facevi chilometri per incontrare una persona sentita solo per lettera partendo armato solo di passione e fiducia, oppure contattavi uno studio di registrazione perché ti aveva catturato quel suono e partivi all’avventura perché volevi registrare lì e finivi per tornare in quel posto in vacanza perché avevi stretto delle amicizie lassù. Gli Entombed ebbero una parte fondamentale in tutto questo e LG Petrov era una parte fondamentale degli Entombed, l’unico a non mollare fino alla fine, fatta salva una parentesi di scazzo con il mastermind Nicke Andersson a causa (pare) di una ragazza all’ epoca di “Clandestine”. Un personaggio schietto e reale che dava il 100% ed oltre sul palco, un puro concentrato di attitudine e metal, che ho avuto l’onore di vedere in azione al Master of death metal e a Rossiglione nel festival organizzato sa Trevor dei Sadist all’epoca. Una perdita tristissima e incommensurabile per chiunque abbia amato quella scena e anche quel paese meraviglioso che è la Svezia.

Al sound pollution sono tornato altre volte, in una occasione acquistai anche Serpent saints con relativa magletta omaggio che resiste tutt’oggi dal 2007!

Boredom has come to town

Ad una certa età non saper ciò che si vuole è grave, se non proprio pericoloso. A volte sembra di essersi rammolliti. La città dove vivo l’ho odiata profondamente quando ero un adolescente, adesso mi ci sento a casa, vorrà pur dire qualcosa. Di preciso non saprei. Il punto è che quando sei adolescente necessiti di informazioni ed internet non c’è sempre stato, anche se sembrebbe di sì.

Vivere in un bastardo posto è dura quando ancora non sai bene chi sei. Quando hai fame di conosenza e di esperienza, quando vuoi metterti continuamente alla prova, per capire chi sei e come ti rapporti con l’esterno. Sembra che manchi l’aria ed anche la possibilità di esprimersi, sembra che non ci sia spazio per le tue idee soprattutto se rifiuti di accettare il fatto che la maggiorparte della gente non la pensa come te. E’ un maledetto labirinto. E ti senti asfissiare.

La nostra mi appariva come la città della noia. La città dei vicoli senza uscita. Nonostante tutto c’è sempre stato un calamitone sulle nostre teste che ci ha impedito di andarcene. Personalmente ho sempre pensato che Morrisey cantasse anche di noialtri in “Everyday is like sunday” e poi sognato di fughe fantastiche a Camden Town, Gamla Stan, Staré Město… e chissà dove altro.

Eppure sono rimasto a stringere i denti, disperarmi e provare cose a me stesso. Non è stata proprio vigliaccheria, ma nemmeno si può dire che io abbia fatto poi così tanto per andarmene. Per un qualche motivo, a un certo punto, ha smesso di pesarmi, ho smesso di andare dritto contro un muro. Non ci avrei scommesso un centesimo e ce ne è voluto di tempo. Ma è successo.

Inconsciamente ho mandato tutto al diavolo. Ha smesso di importarmi. Ho deciso di fare altro.

E quel che faccio adesso è semplicemente provare a vivere. Ebbene ho la presunzione di credere di sapere in parte chi sono e quel che voglio. Dopo di che molte delle cose che mi facevano struggere e soffrire hanno smesso di farlo (o lo fanno molto meno), dopo di che ho smesso di dover provare qualcosa a me stesso ogni due secondi. Respiro profondamente, cerco il coraggio e bramo l’esperienza.

Prendi ogni decisione nel giro di sette respiri. Tratta le questioni importanti con leggerezza, dà importanza alle questioni leggere.

Risaie.

Facevo a serpentina tra i riquadri di terreno seminati a riso. Era buio pesto ed ero stanco, c’erano riflessi e lampi dei fari delle auto che non riuscivano a vincere sull’oscurità. Un sentimento greve che mi auscultava il petto, ah gelido stetoscopio: un cuore che batte nel buio non necessita di essere amplificato per essere sentito. E’ un tamburo che si agita, poi si calma e poi s’agita ancora! Credeteci, il nulla circostante è sufficiente come cassa di risonanza, non abbisogna d’altro: davvero gli basta battere, battere e poi battere e non smettere. Non gli serve vedere la luce per sapere che esiste.

Se un’immagine è immortale che lo sia per sempre dunque. Se il buio delle pupille s’è fermato, che si fermi innanzi ad un altro buio, sia pure con un’anima dietro. Lo specchio della mia anima si arrossa spesso di sangue. E’ fastidioso ma non fa così tanto male, questione di abitudini, sbagliate quanto volete. Ci sono specchi d’acqua tutto intorno ma solo un pensiero banale fa pensare che siano piantagioni. Un bambino ci vorrebbe nuotare dentro, incurante delle bisce e dei veleni. Un bambino ci starebbe giorni e giorni e sarebbe un bel teatro per le sue bracciate spensierate, una bella fucina per i suoi sogni incontaminati.

A volte penso che la paura sia solo di questo mondo. A volte penso che tu la possa  vincere. E questo pensiero mi fa sorridere. E mi fa pensare che mentre percorro strade solitarie ed oscure, sotto la pioggia e circondato dall’acqua, c’è sempre una luce che non si spegne mai.

Passione inconfessata

E’ una cosa della quale mi ero dimenticato. Sono colpevole di aver dimenticato una delle mie passioni più solitarie e intime di quando ero bambino. Aprire un atlante e trovarsi davanti un mondo nuovo. Che poi corrisponde anche al mondo. Da piccolo adoravo quelle pagine, seguire il bordo frastagliato di una costa e chiedersi chi mai poteva vivere proprio lì, che genere di panorama poteva presentarsi davanti ai suoi occhi e se davvero i suoi pensieri erano diversi dai miei, essendo stato influenzato da un ambiente totalmente differente, avendo vissuto in un’ altra parte della carta.

La cosa più incredibile erano i dettagli: quanto fossero precisi e quanto ancora potevano esplodere davanti agli occhi di chi si fosse trovato improvvisamente in quel posto, come se la forza di volontà ti rendesse in grado di far coincidere realtà e fantasia, come se davvero potessi soddisfare immediatamente la tua curiosità di bambino. Io mi soffermavo sulle città, soprattutto su quelle di cui non avevo mai sentito parlare, quelle leggendarie e quelle esotiche a loro modo. Ed ecco allora Arcangelo, che mi sembrava situata in un posto dove dovesse esserci il nulla più assoluto, da qualche parte in Russia, con un nome che evocava figure discese dal cielo. Thule, col suo piccolo cerchiolino vuoto a nord della Groenlandia, ultimo leggendario baluardo umano prima di un maestoso regno di ghiaccio. Ulaan-Bataar persa nelle steppe sconfinate e misteriose, in una nazione dove il deserto è sinonimo di freddo. Singapore che restava indefinita nel suo rimescolarsi, oppure ancora il cratere di Mexico City, il sole di Nassau, le chiuse di Panama, le impronunciabili città della Kamchatka, che, per me non esisteva solo sul risiko.

Per mia deformazione mentale, poi confermata dal tempo, mi concentravo tantissimo a nord: avevo l’idea che le condizioni climatiche estreme rendessero in qualche modo le persone più solitarie, ma anche istintivamente solidali e leali. Coltivavo l’impressione che quella minaccia fatta di buio e ghiaccio, potesse essere mitigata dalla luce delle aurore boreali e della luna. Che la neve potesse imprigionare una bellezza ermetica e che il buio racchiudesse non tanto la possibilità di non vedere, quanto quella di vedere tutte le cose. Era il bello di non dover per forza dover essere razionale e dire “fa troppo freddo là”. Ci pensavano gli altri il cui sport preferito, quando avevo l’ardire di accennare questa mia passione innaturale, era quello di farmi rimettere i piedi per terra dicendomi che la vita lassù sarebbe stata impossibile, che il clima mi avrebbe ucciso e sarei morto di solitudine e di ipotermia. Per me il gioco sarebbe valso la candela allora, e qualche volta, anche adesso quindi, forse, non sono del tutto senza speranza.

Dopo sono arrivate le città invisibili di Calvino e, recentemente, L’atlante delle isole remote di Judith Schalansky.

Isola degli Orsi
Isola degli Orsi

E alla fine cosa siamo senza passione?!

Con questo interrogativo dall’esito scontato il compare giustifica l’insano gesto. Che si traduce in una disperata, strenua trasferta a Milano, per vedere quattro giapponesi più una suonare come dei Black Sabbath pesanti e strafatti. Roba per noialtri insomma. Roba senza la quale non potremmo non dico vivere ma avere una certa dignità innanzi a noi stessi. Ha ha.

Il punto è che ha ragione, ascolto musica da una vita e non mi ha mai abbandonato, è sempre stata fedele e presente. E probabilmente il concerto è l’espressione massima di tutto questo. Lo è sicuramente per i Church Of Misery, e per spezzare un digiuno che oramai sapeva di uno stantio imborghesire, abbiamo scelto loro. Non è stata una scelta casuale: oramai siamo alla terza volta che ne gustiamo le performance. La prima volta, quella della rivelazione, fu nella bassa trevigiana dove un manipolo di uomini locali li aveva chiamati a suonare al loro centro ricreativo, con anche i Minsk e una selezione di gentaglia locale, per dar vita ad un mini festival ruspante e fraterno, una cosa che difficilmente scorderemo, come pure la puntata in terra del prosecco (e della grappa) del giorno susseguente.

La seconda volta non riuscimmo a vederli come si deve al confusionario, quanto lodevole nelle intenzioni, MiOdi di qualche anno fa. Stavolta la cosa è diversa. Spesso eventi contingenti ci portano a lasciare in un angolo le nostre passioni, quello che più ci piace fare. Però queste non possono soccombere in eterno.

“That is not dead which can eternal lie,  And with strange aeons even death may die.”

Questo lo sapete tutti, mi auguro. E infatti risorge, la passione risorge. E lo fa in in tripudio di valvole affumicate! Se abbiamo scelto i CoM, lo abbiamo fatto perché dal vivo sono spettacolari. Se su disco la loro miscela di groove sabbathiano (e settantiano) e serial killers (ognuno ha le sue ossessioni) fa sfrigolare gli amplificatori a dovere, anche senza brillare in originalità, dal vivo la presenza fisica, elettrica e vibrante dei nostri diventa incontenibile. Straripante.

Questi quattro giapponesi riaccendono tutto ed il fuoco divampa in un attimo e cammina con noi. All’entrata ci accaparriamo le ultime due copie in vinile di “The second coming” con mr. Bundy in copertina, con buona pace di tutti gli altri intervenuti. La ragazza nipponica ci resta di stucco quando specifichiamo che ne vogliamo due, cosa del resto ovvia per noi. Si prosegue tra un amaro (mai notato che il dozzinale montenegro sembra chinotto alcolico?!) e quattro chiacchiere, per ammazzare il tempo aspettando che il gruppo di supporto finisca.

Poi finalmente, in netto anticipo per i pessimi standard del Magnolia, iniziano ed è come se il tempo intercorso dal primo concerto non fosse mai passato, certo: cantante e chitarrista sono cambiati, ma lo spirito è sempre quello. E pare che ogni nota concorra a ricordarci chi siamo, cosa ascoltiamo, un po’ tutte le avventure vissute assieme. Una passione che si riafferma, che non si arrende e non si estingue. Siamo noi e la musica: i piatti, le corde, i cavi, i coni, le pelli e le valvole.

Church of Misery live @ Magnolia 04/02/2014
Church of Misery live @ Magnolia 04/02/2014

Church of Misery live @ Magnolia 04/02/2014
Church of Misery live @ Magnolia 04/02/2014

Church of Misery live @ Magnolia 04/02/2014
Church of Misery live @ Magnolia 04/02/2014

Going Through Changes

E’ l’alba appena fuori Milano, anzi è prima dell’alba. Le figure si muovono come spettri senza volto e senza umanità nella bruma del primo mattino. E io sbaglio tragicamente strada: una volta in più, la città non fa per me, nemmeno quando c’è poco traffico. Non reggo quel gomitolo impersonale di strade, quel continuo e caotico ingarbugliarsi di vite e di linee. Linee come strade, rotaie, navigli, fili elettrici, tubature. La tensione sale dall’ asfalto, diretta. Arriva come un clacson a ciel sereno. E mi scatena la tempesta. Mi tende i nervi.

Mi infilo a forza per le strade, tirandomi dietro gli strali. Mi incuneo alla fine di un semaforo giallo, magari un occhio elettrico mi sta spiando a scopo estorsivo. Non puoi mai saperlo. Ma continuo ad essere teso, non posso ascoltare nulla che sia teso come me.

Mi sono portato Mark Lanegan apposta, la sua nuova raccolta è uscita da poco. “Mocking birds” mi avvolge come una morbida ventata di malto, appena irruvidita da un sentore di torba. Quando alzo gli occhi mi accorgo che la luce sta cambiando. Quando mi guardo dentro mi accorgo che io sto cambiando.

Un po’ di tempo c’era su internet un giochino secondo il quale la prima parola che scorgevi in un’insieme di lettere avrebbe rappresentato il tuo nuovo anno. Magari a volte ci prendono, la mia era “experience”. Certo, se il mondo fosse un posto perfetto, subito dopo avrei vinto un viaggio all’indietro nel tempo a vedere l’unica, vera e leggendaria “Experience” quella con la “E” maiuscola, quella ai cui concerti le chitarre suonavano come treni e poi prendevano fuoco.

Ovviamente l’esperienza in questione è molto più terra terra ma, per riprendere le fila, è una cosa che ho voglia di fare, una cosa per me abbastanza nuova, che, ovviamente, per gli altri è normale. Tutto ciò non significa che abbandonerò le cose in cui credo, tenterò di farle coesistere, a modo mio. Finora l’esperimento è sempre più o meno fallito, ma stavolta le premesse sono molto migliori.

Certe cose dentro di me non sono fatte per essere cambiate: ci ho messo una vita a capire chi sono e cosa voglio, non sarà quest’esperienza a farmi buttare le altre alle ortiche, non sarà questa a farmi dimenticare chi sono. Ho amato gli ideali, ho sacrificato tanto per essi ma mi sono accorto che alla fine soffocano. Ti fanno mancare l’aria. Hanno spire da boa constrictor e stringono. Loro resteranno lì a ricordarmi a quale asintoto io debba tendere, ma mi lasceranno respirare stavolta.

Watch out ya rock’n’rollers

Incontri Estivi

Pier Vittorio Tondelli, Altri Libertini, Feltrinelli 1980
Pier Vittorio Tondelli, Altri Libertini, Feltrinelli 1980

Dopo aver rimandato mille volte a causa di chissà quali paventati impegni, quest’estate ho fatto la conoscenza di “Altri Libertini” di Pier Vittorio Tondelli. Amo i libri censurati ed amo chi li censura perché mi ricorda che la libertà di espressione è una conquista. Finché ci sarà censura ci sarà anche chi si batte contro di essa e questa è un’ottima cosa, tempra il carattere, fortifica lo spirito ed inorgoglisce l’arte. Di solito si tratta di persone interessanti che sanno quale valore abbia la lotta e quanto bello sia esprimersi senza dover pensare a quanto questo possa urtare i benpensanti. Ci vogliono anche loro: è un ruolo fondamentale perché altrimenti non saremmo schifati abbastanza dallo squallore del loro essere limitati e si finirebbe in un paludoso quieto vivere che è anche peggio della censura.

Non ci fa paura, anzi ci stimola a non desistere e, se siamo fortunati, ci fa anche pubblicità gratuita.

Buona parte dei benpensanti arriva dalla provincia, che è un luogo magico. Non a caso “Altri Libertini” venne messo sotto sequestro (risibile, considerato che il libro era ormai alla terza edizione) dalla procura dell’Aquila, che pure dovrebbe essere città universitaria ed aperta culturalmente parlando. La provincia, dicevamo, un luogo dove la cultura più fastidiosa viene tenuta fuori dalla porta. Un luogo dove non arrivavano certi dischi prima degli anni novanta. Un luogo dove il denaro, la razza e il conformismo sono ancora dei valori, se dio vuole. Un luogo dove per lungo tempo non si è fatto altro che lavorare e tacere, forse pregare.

Ritrovarsi fuori dal caotico rimescolamento metropolitano e godersi la quiete  ha il suo prezzo ed è questo. Io e l’altra metà del bassistico duo l’abbiamo chiamato “calamitone” e Biella ce l’ha e piuttosto potente. E’ quella forza che ti attira nuovamente alla tua piccola e ristretta cittadina, quando tenti di andare ad un concerto e lei sfodera nebbia e neve per fermarti, è quel torpore dell’anima che ti fa pensare che, in fondo, non è tanto male rimanere a casa a roderti il fegato, è quel sinistro richiamo all’indolenza, al quieto vivere, al silenzio-assenso, è quel quieto tramare dei tuoi concittadini quando si accorgono che stai facendo del tuo meglio per sottrarti al magnetismo seducente e comodo della mediocrità e cercano di trascinarti nuovamente verso il loro baricentro paludoso. Ce l’ha anche Correggio, Tondelli l’aveva già descritto trent’anni prima di noi. E’ tutto in “Autobahn” l’ultimo racconto del libro, il resto sta al lettore curioso scoprirlo.

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Il più grande juke-box della terra

Il mio neurone addetto all'attivazione del Juke-Box
Il mio neurone addetto all’attivazione del Juke-Box

Ed il viaggio fu. Salto sulla moto con un’irruenza non comune pronto ad aggredire la strada, non curante del fatto che io sia su uno scooter e non su una speed triple. Siamo io, la moto e l’asfalto. E i cartelli stradali. Nell’era digitale è ancora possibile fare un viaggio seguendo solo i cartelli. Di solito fanno pena ma, nel mio caso, effettivamente l’unica volta che ho sbagliato strada sono finito davanti ad un outlet di una notissima marca di cioccolato svizzero e ci può anche stare.

Qualcuno potrà domandarsi come faccia uno che ascolta e respira musica continuamente senza lo straccio di un’autoradio. Semplice, io sono il più grande juke-box della terra. La mia mente ha un database infinito per la musica che mi ha permesso più e più volte di non impazzire anche quando, tempo fa, il mio ex-lavoro si era trasformato in una sorta di stalag: cantavo nel laboratorio, cantavo in produzione, cantavo nel grigio dei magazzini. Cantare migliora le cose, sempre. Ed anche quando non puoi cantare avere una canzone in testa è una promessa di libertà, una ribellione alla realtà, io l’ho sempre vissuta così. Per quanto possano picchiare duro, ho una potente alleata al fianco. Una compagna che mi sostiene e mi rende libero: artisti con cui confrontarmi, idee da sviluppare, libertà da conquistare. Musica.

Music is your only friend… until the end!

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=jLAr-WlxMZY]

Quindi se vedete un pazzo che gira in scooter canticchiando praticamente qualsiasi cosa, probabilmente sono io.

Poiché poi funziona random, di solito sono canzoni che mi piacciono, ma non è raro che saltino fuori sigle dei cartoni animate, jingle di vecchie pubblicità e canzoni improponibili assortite, mica ho voglia di censurarmi… e chi mi sente? E, comunque, chissenefrega?

Il problema è che se, peccando di spudorata immodestia, posso pensare a me stesso come una sorta di uomo libro della musica (citando “Farenheit 451”) quando sono tornato, mi sono recato, in compagnia di amici, ad una delle più note feste di paese locali assistendo alla seguente chicca (attenzione, i più sensibili non dovrebbero schiacciare il tasto play, non dite che non vi avevo avvertito)

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=yCfAEGUR0kY]

Ora il mio terrore è che si riproponga nel mio juke box mentale quando meno me l’aspetto, con il rischio di disastrosi incidenti stradali… aiuto!!!

a band a day.

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