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Black Sabbath Reunion
Black Sabbath Reunion

Pensavate di esservene liberati con uno striminzito post diviso a metà con quel pretenzioso di Mr. Malick, vero? In tal caso si vede che avete sottovalutato pesantemente il gruppo, pardon la leggenda, di cui sto per parlare. Chi altro potrebbe essere se non… i Black Sabbath, esatto. Nella testa continuano a martellarmi i Daft Punk (grazie alla radio, io li trovo rivoltanti), gli Alice In Chains (bolliti), i Mudhoney (dispersi) e i Queens Of The Stone Age (confusi) ma a me rimangono in testa solo loro.

Sono usciti con un disco nuovo, lo sanno anche i sassi, e sul medesimo se ne sono scritte di tutti i colori. Onestamente poco me ne cape. Uno dei primi ad essere molto più che dubbioso sul loro ritorno ce l’avete davanti e non intendo nascondermi dietro un dito. Pensavo che sarebbe stato un disastro totale, ma disastro totale non è stato, anzi.

Ho sentito dire che, se le stesse cose le avessero suonate degli sconosciuti, non se li sarebbe filati nessuno. Che sia vero non lo so, non è quello il punto: queste 8 (+3) canzoni non le hanno scritte degli sconosciuti e funzionano. Sono sicuro, dopo averlo riascoltato con attenzione, che non hanno insultato il loro glorioso passato. Non sono degli sconosciuti, ma gente che ha fatto la storia di un genere e non hanno ormai più nulla da dimostrare, di sicuro non hanno nulla da dimostrare a individui che la pensano in questo modo.

Ho sentito che questo disco è stato suonato da moribondi… è vero. le disgrazie di salute di Mr. Iommi sono note ed Ozzy non sta tanto meglio. Mi spiace, ma non è rilevante la cosa, piuttosto sottolinearlo è di pessimo gusto. Di certo il discorso economico sotto c’è ma, una volta tanto, potremmo evitare di menarcela con questa cosa? Non volete dargli dei soldi? Non fatelo! Qualcuno che vi masterizzi il disco non dovrebbe essere difficile da trovare. Però dategli una possibilità se li amate.

Black Sabbath 13
Black Sabbath 13

Perché se è vero che il suono non è il massimo, il disco sta in piedi. E, contrariamente a quello che avevo scritto, il lavoro di Mr. Rubin non è nemmeno tanto male: a conferma che ascoltare le cose tramite il PC è decisamente una pessima idea. La chitarra continua ad essere molto lontana da quello che mi sarebbe piaciuto sentire eppure non si può dire che sia obbiettivamente pessima come pensavo ascoltando i brani che circolavano in rete: sullo stereo suona molto meglio. A sensazione, chi ne esce vincitore è Butler: il suo basso ha anch’esso un suono moderno, ma spinge e sostiene le composizioni in maniera egregia, trascina veramente via l’ascoltatore. Brad Wilk svolge (forse frenato anche dal timore reverenziale) un compitino appena sufficiente a dimostrazione di come l’assenza di Ward sia un fattore che non si può ignorare. Anche il cantato di Ozzy supera di molto le aspettative. I riff ci sono e, a mio parere, sono anche di qualità: al diavolo le remore… sarò suggestionabile ed anche di parte, ma un disco non mi si piazzava così in testa da tantissimo tempo e, per me, significa ancora qualcosa.

Quasi una citazione da spaghetti western*

A nord le occhiaie sono un po’ meno fonde, ma gli occhi bruciano da morire, ad ovest nulla da segnalare, ad est due abrasioni profonde sulla mano e a sud tre vesciche in via di guarigione.

Black Sabbath 13
Black Sabbath 13

I Black Sabbath stanno per fare uscire il primo disco dopo anni con Ozzy Osbourne ma senza l’amicone Bill Ward (sigh) e la notizia, anche se è di ieri, è che hanno annunciato l’annullamento della data italiana dovuto a non meglio precisati motivi logistici che facilmente saranno da ascrivere alla ben nota organizzazione di cui l’Italia tutta si fa onore e vanto. Aiuto. Comunque non avevo nemmeno preso il biglietto: un po’ perché, fortuna mia, li vidi già nel 1998, un po’ perché giudico abbastanza immorale spendere 60 e passa euro per un concerto, sia pure di leggende viventi, e soprattutto perché, nonostante abbia acquistato ben due copie del disco in questione (“13”, in vinile ed in CD de luxe), sono pienamente consapevole del fatto che in cabina di regia ci sia la contabile che il povero John Osbourne si ritrova come moglie.

Già una cosa come “The Osbournes” dovrebbe bastare a farla condannare all’unanimità, ma ovviamente la giustizia non è di questo mondo.

Nonostante questo, quello che ho sentito mi piace: Iommi, seppur fisicamente provato, ha ancora un database di riff nel cervello ineguagliabile, Geezer sostiene la sua inventiva alla grande, Wilk fa il suo mestiere e Rubin ha il merito di rendere il biascichio di Ozzy ascoltabile. Tuttavia il grosso demerito del suddetto produttore è di dare un suono decisamente trooooooppo pulito al tutto, soprattutto la chitarra di Iommi che avrei voluto bella spessa, terrosa e, soprattutto, fieramente analogica e valvolare invece sembra uscita dal peggiore dei pro tools digitali. Amen.

"The Tree Of Life" Terence Malick
“The Tree Of Life” Terence Malick

Domenica, dopo averne sentito parlare e riparlare, ho visto “L’albero della vita” di Terence Malick, nuovo idolo della critica cinematografica. Bah… noioso, consolatorio, autocelebrativo ed autoindulgente, un po’ una palla per essere concreti.Tutte queste immagini pulitine ed educate, tutto questo sfoggio musicale, tutti questi scontri fra macro e micro cosmo e tutto questo tedio domenicale, per citare i CCCP. Ho sentito parlare di paragoni ingombranti con “2001 odissea nello spazio” ma il povero Terence non si avvicina nemmeno ad un fotogramma di cotanto film. Innanzitutto la perfetta simbiosi tra musica ed immagini ottenuta dall’ immortale Kubrick, in Malick risulta scialba e poco organica, le immagini risultano tutte molto rifinite e raffinate nella qualità ma per questo risultano fin troppo algide e asettiche, il regista non sembra volersi sporcare le mani con le tematiche che affronta mentre Kubrick ne ha il controllo assoluto, senti quasi il suo respiro dietro alle immagini. E soprattutto, pur dirigendo un film pesante per scenografia e temi affrontati, Kubrick riesce a non annoiarmi nemmeno un secondo e lo stesso non si può proprio dire per il regista de “L’albero della vita”. Inoltre, visto che è una cosa che non sopporto devo proprio dirla, tutta quella falsa consolazione che il film cerca spasmodicamente per tutta la sua durata mi fa vomitare.

Che bello sparare sentenze*.

Il cattivo
Il cattivo

Brad Wilk e i Black Sabbath

Black Sabbath, Brad Wilk
Black Sabbath, Brad Wilk

Si parla da tempo di un nuovo disco delle leggende delle leggende, ovverosia i Black Sabbath.  Il disco si intitolerà “13” ed uscirà il prossimo giugno, prodotto da Rick Rubin che, si spera, non prosegua lungo la sua recente scarsa vena come produttore. Sono cosa nota i problemi di salute di Tony Iommi (per la risoluzione dei quali tutto il mondo della musica pesante dovrebbe incanalare energie positive nella sua direzione) ed anche i problemi contrattuali per i quali Bill Ward non sarà assieme ai tre compagni per questa nuova avventura. Nemmeno Vinnie Appice (il sostituto storico) e nemmeno Tommy Clufetos che attualmente suona con Ozzy e ha suonato con i Sabbath nel tour tenuto quest’estate.

Il sostituto prescelto è Brad Wilk di Rage Against The Machine ed Audioslave, pare suggerito al gruppo dallo stesso Rubin, che in passato ha lavorato con il gruppo di Morello & Co.

La verità è che non so cosa pensare: cosa pensare del batterista, del casino con Ward, del nuovo disco, del produttore, del gruppo di tutto quello che questa operazione comporta: una volta si diceva gioca coi fanti ma lascia stare i santi. Ebbene loro sono i miei santi. Lo sono da tantissimo tempo e non so cosa pensare di tutto quello che sta succedendo, sono i momenti nei quali un fan viene messo a dura prova, nei sentimenti. Quindi decido di chiudere il post con un severo “no comment”, tanto il disco finirò per ascoltarlo, lo so. L’unica cosa è che il sig. Iommi stia bene. Davvero.

20 anni? A me sembra ieri!

RATM XX Anniversary Cover

La questione è questa ed è semplice: i Rage Against The Machine fanno uscire oggi una versione rimasterizzata ed espansa del loro disco d’esordio, la versione in questione è ascoltabile, previa registrazione, qui. Un’operazione piuttosto comune e ruffiana di questi tempi, del resto i RATM sono da sempre nel mirino di certi duri-e-puri che sostengono l’impossibilità di poter genuinamente esprimere ribellione incidendo per una major come la Epic, uno dei primi a farglielo notare fu Mike Muir dei Sucidal Tendencies, ma alla fine dei conti fu solo uno dei tanti. Cosa pensarne? Non lo so onestamente, il dibattito è, potenzialmente, senza fine. Io mi limito ai fatti ed i fatti sono che ben pochi dischi al pari di questo (e che non siano HC) hanno saputo canalizzare il sentimento di una sana ribellione sociale, almeno per me. La prima traccia si intitola “Bombtrack” e potrebbe essere tranquillamente il titolo del disco, che, di fatto, è un enorme catalizzatore di rabbia e sembra fatto apposta per farla esplodere con una deflagrazione dirompente. Ebbene sì questo disco funziona e funziona anche a vent’anni dalla prima pubblicazione!

Il resto sono chiacchiere. Anche il fatto di vedere sdoganato il rap in un contesto di musica pesante non mi dispiace affatto, se il risultato merita come in questo caso. Comunque quella era l’epoca del crossover totale, quindi quale periodo migliore? A Los Angeles inoltre la ribellione è assolutamente nell’aria: dopo l’ ignominiosa assoluzione degli autori del pestaggio di Rodney King, esploderà definitivamente il 29 Aprile 1992, un avvenimento che la dice lunga sul sentimento che infervorava gli animi. Un sentimento del quale onestamente sento molto la mancanza oggi.

Rage Against The Machine

A testimonianza di quanto sopra i 16 fuck you del singolo “Killing In The Name”, le apparizioni “nudiste” contro la censura del comitato PMRC di quella simpaticona di Tipper Gore (chissà perché tutti si ricordano sempre e solo del marito), la scalata di Tim C ai Music Award, le campagne per Mamia e la libertà di stampa e di opinione. Successivamente verranno il retrogusto amaro (ma non amarissimo) del secondo lavoro “Evil Empire”, che si è fatto attendere per un tempo allora lunghissimo (4 anni!), per poi possedere ben poco della carica dell’esordio, comunque il gruppo si riprende abbastanza bene nel 1999 con “The Battle Of Los Angeles”, durante il tour del quale ebbi la possibilità di vederli, come testimonia una cassetta registrata nell’occasione nella quale mi si sente urlare come un ossesso!

Successivamente la storia recita che ci sarà solo il tempo per una compilation di cover (“Renegades”) prima che il cantante segua i suoi progetti (tutti più o meno inconcludenti) ed il resto del gruppo si unisca a Chris Cornell dei Soundgarden per formare i, non ispiratissimi, Audioslave. Ovviamente si sono riformati di recente, facendo dei concerti e nulla più, questo a testimoniare che, escludendo il primo lavoro, produrre del nuovo materiale è, per loro, un’impresa quantomai ardua.

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