Il personaggio più interessante del paradiso perduto

Donald Sutherland in animal house lo scrive chiaramente e a caratteri cubitali sulla lavagna: questo personaggio è satana. Ora, da persona che segue il metal fina dalla fine degli anni ’80, satana mi ha un filo stracciato le gonadi. Credo che, a un certo punto, facesse figo riempire i testi delle canzoni di riferimenti demoniaci, cose truci e macabre, invocazioni varie, esoterismo e tutto: per molti era una finzione, altri ci credevano sul serio. A me ha fatto sempre solo sorridere, tranne in quei casi in cui qualche decerebrato acefalo si è fatto prendere un po’ troppo la mano, vedi il conte in Norvegia. Del resto, come la nazione scandinava ha dimostrato in tempi recentissimi, certi fanatismi sono il vero male, non certo quattro gruppi musicali che blaterano di satanassi vari.

Detto questo, nonostante la mia palese insofferenza, di gruppi che utilizzano certe tematiche continuano ad essercene e io li schiverei anche, però fanno uscire dei signori dischi, dandomi delle soddisfazioni non da poco quando li ascolto, quindi diventa difficile ignorarli. Questo è il caso delle due formazioni di cui vado a disquisire oggi, se non siete annoiati da certe tematiche probabilmente li apprezzerete anche più di me.

Green Lung

Green Lung (fonte bandcamp)

Sono arrivato a loro su segnalazione di un’amica che non faceva altro che parlarne in tutte le salse. Peccato che le indicazioni che mi ha fornito fossero poco centrate con la proposta del gruppo. Sembrava fossero i nuovi Electric Wizard, mi aspettavo qualcosa di pesantissimo, lentissimo, sulfureo e composto sotto l’influenza di chissà quali alterazioni sensoriali. Quando sono arrivato a sentirli la prima volta mi sono sembrati molto scarichi e leggerini. Una robetta da poco, insomma. Però, sull’onda dell’entusiasmo, avevo acquistato l’intera discografia in digitale su bandcamp (il formato fisico ormai è riservato solo ai grandissimi… e comunque non lo escludo in un secondo tempo per loro) e mi seccava da morire non trovarci nulla di speciale. Quindi, di quando in quando, mi sono quasi forzato ad ascoltarli e alla fine mi hanno conquistato. Bastava che cercassi nel posto giusto, invece mi è capitato come quando ti propongono un caffé ed invece ti ritrovi a bere una limonata, che è buona ugualmente ma non è quello che ti aspettavi, anzi non c’entra proprio nulla.

I Green Lung sono fautori di un hard rock anni ’70 dalle sfumature silvestri che a volte si avvale pure di hammond e ammennicoli vari, tutti al posto giusto. Trattano la maniera satanica in modo non distante da certi gruppi deviati dei figli dei fiori che arrivarono a certi culti esoterici pur mantenendosi lontani da Charles Manson. Il cantante ha un timbro molto particolare che tuttavia si incastra nell’ossatura del gruppo alla perfezione, a questo aggiungete un gusto sopraffino per la melodia e un estro chitarristico veramente eclettico e contestualizzato. Ora molti avranno pensato ad una roba tipo Ghost, nemmeno per sogno: sono infinitamente più rocciosi e massicci (soprattutto il primo EP), quindi gettatevi indietro di cinquant’anni e non pensateci più: aprite il vostro cuore e fate posto a un polmone verde: è in uscita in questi giorni il loro nuovo disco e le premesse per un buon lavoro ci sono tutte!

Jointhugger

Jointhugger logo (fonte Bandcamp)

Mi era comunque restato un certo appetito per qualcosa di decisamente più pesante e opprimente. È esattamente questo il caso i Jointhugger (norvegesi, guarda il caso): fanno musica pesantissima, decisamente intensa e a tratti soffocante. Per me sono comunque una boccata d’aria fresca e iodata come una lunga inalazione di… aria di mare. Ok, nulla di troppo nuovo, ma questi norvegesi sanno imprimere la loro personalità a una formula consolidata nella quale si pensava che non ci fosse più spazio per nessuno. Personalmente apprezzo sempre molto un gruppo che riesce a fare una cosa del genere.

Si tratta di un piccolo anfratto, scavato nella roccia millimetro per millimetro, ma i Jointhugger (Amsterdam meets alien?) la loro nicchia se la sono ricavata con delle sane bordate sonore che li collocano forse ancora qualche passo indietro rispetto ai capofila delle nuove leve in campo stoner/doom che sono i Monolord (evidentemente in Scandinavia ci danno dentro alla grande), ma che tuttavia li impogono con forza all’attenzione degli amanti del genere.

Per dire: sono uno dei pochi gruppi dell’ultima ondata in grado di scrivere brani a volte anche lunghissimi senza farmi raggiungere un quasi inevitabile stato catatonico a causa della noia. Questo grazie ad una grande preparazione in fase di scrittura ed esecuzione che rendono i brani estremamente dinamici (non mancano tra le loro cose delle sfuriate quasi inaspettate, tipo l’era Pre-Electric Wizard dei maestri oppure inserti dalle sfumature psichedeliche) che riescono nell’impresa di mantenere viva l’attenzione e in qualche caso fanno addirittura saltare sulla sedia. Attesi alla prova a breve (31/10, che caso!) dopo le prime pubblicazioni del ’20 sono un gruppo che difficilmente fallirà l’obbiettivo, almeno a giudicare dai brani apripista pubblicati sul loro bandcamp e su youtube. Preparatevi al meglio!

Non escludo il ritorno

Califano

Non mi piace Califano, ma quando ho saputo che sulla sua tomba c’era scritto “non escludo il ritorno” ho pensato che la citazione fosse perfetta per tornare dopo mesi di silenzio… che questo significhi qualcosa non lo so. Amo il blog e mi piace scriverci, ma sono terribilmente a corto di: tempo, ispirazione, vista, energia, pazienza e altro.

Quindi i mesi se ne sono scivolati via dall’ultimo post su Marco Mathieu, per quello che ne so io le sue condizioni non sono migliorate. Io non mollo la speranza: ora e sempre tieni duro Marco!

Detto questo sono tornato su queste pagine solo per lasciare la classica classifica di fine anno, ammesso che qualcuno la voglia leggere e che a qualcuno interessi.

10. ALL PIGS MUST DIE: “Hostage animal”

Una sana dose di violenza messa in musica. Io ne ho sempre bisogno, un canale per la rabbia, per la tensione che si accumula, finalmente senza che ogni riff sia telefonato e prevedibile. E Ben Koller, un batterista enorme.

9. IRON MONKEY “9-13”

Un altro gruppo che non scherza. Vent’anni cancellati, un cantante di meno con tutti i dubbi che possono venire e che si allontanano via via con l’ascolto di un disco marcio e roccioso al tempo stesso. Ritornare sulla scena senza tradire il proprio passato non è cosa da tutti.

8. Telekinetic Yeti “Abominable”

Grande esordio per questi americani dagli amplificatori fumanti, una piacevolissima sorpresa e nebbia aromatica che si alza da ovest.

7.Crystal Fairy “Crystal fairy”

Dopo aver amato le Butcherettes di “A raw youth”, potevo perdermi il supergruppo con i Melvins, il tipo degli At the drive in e Teri Gender Bender? No. Il disco è grande, cresce con gli ascolti e surclassa alla grande l’ultimo Melvins fin troppo influenzato dal risibile nuovo bassista che si spera venga issofatto licenziato dal duo. Forse un progetto nato morto, chissenefrega.

Se vi fosse venuto il dubbio ascoltando “A walk with love and death” no non si sono rincoglioniti e sì ritorneranno alla grandissima!

6. Godspeed You! Black Emperor “Luciferian towers”

Il Canada dovrebbe essere fiero di questi suoi figli sovversivi e traboccanti di lirismo e magia (dal vivo poi sono da lacrime a scena aperta). Una conferma incontestabile.

5. Electric Wizard “Wizard bloody wizard”

Dorset will rise again. Dopo innumerevoli cambi di formazione, tour svogliati e quasi casuali nelle tempistiche e nei luoghi, dischi quasi sporadici e quant’ altro, alla fine ce la fanno sempre a tornare. Io ne ho bisogno di Jus Oborn e anche di Liz Buckingham, del loro immaginario satanico settantiano da fumetto porno di infima qualità, delle loro fumate bianche, delle loro SG vintage e degli amplificatori in fiamme. Al diavolo ogni remora, ci vediamo all’inferno: portate le birre, farà caldo!

4. Converge “The dusk in us”

Altro giro altro ritorno. I Converge sono dei grandissimi e quando, tra mille impegni, trovano il tempo di far uscire un disco nuovo è sempre una festa per le orecchie di chi scrive. Assolutamente brutali, certamente intensi, incredibilmente mai banali. La perfezione del concetto di “evoluzione sonora” assieme ai mai troppo lodati Neurosis. E Ben Koller, assieme a Nate Newton, Jacob Bannon e Kurt Ballou. Non serve altro.

3. Edda “Graziosa utopia”

Volevo metterlo come menzione speciale per il disco più ascoltato dell’anno. Invece no, ho deciso di trovargli una posizione nella classifica e basta. Questo è il disco italiano dell’anno, almeno per quanto mi concerne. E non mi importa se non c’entra nulla con gli altri. Le canzoni sono geniali e sorprendenti, i testi irriverenti e a doppio fondo. Lui rimane una spanna sopra la melma e una persona assolutamente grandiosa. Come si fa a non volergli bene?

2. Unsane “Sterilize”

NYC. Il suono dei nervi tesi: urbano, opprimente, denso e viscoso. Se Chris Spencer, Dave Curran e Vincent Signorelli avessero deciso di smettere dopo il pestaggio di Chris non avremmo mai avuto “Visqueen” e “Sterilize”, non avremmo avuto concerti intensi e devastanti come quello del Magnolia lo scorso ottobre. Una telecaster nera dal manico violentato fino a spremerne sangue. Enormi.

1. Chelsea Wolfe “Hiss spun”

La sacerdotessa dell’ inquietudine rilascia il suo disco più intenso. Rimpinzata ad oscurità e tenebre, avanza strisciando verso l’ascoltatore ammutolito dai suoni grevi nell’aria. Non lascia respiro, stringe le spire, smuove la tela, corre in contro al baratro. E lo fa con una grazia inaudita. Io l’adoro.

In calce un ringraziamento a chi passa di qui dopo tutto questo tempo.

Vi regalo due chicche forse mezzo sconosciute:

Di una vi ho già parlato ( e lo ha fatto anche Neuroni): LOMAX

Una incontrata dal vivo al concerto di un gruppo di amici: TOTEM

Avessi un’etichetta li farei firmare io…

Il mestiere più antico del mondo

Felice di aver attirato la Vs. cortese attenzione. Se ora vossignoria vuole seguirmi, disquisirò di un’ altra abitudine vecchia quanto il mondo. Criticare e, per estensione, recensire. Mi si richiede di recensire ancora qualcosa… oh, non è un problema, a me piace, anche senza soldi di mezzo. Mi piace perché ascolto musica da tanto tempo e sparare pareri, confrontarsi e disquisire della musica mi provoca un grandissimo piacere intellettuale, tuttavia credevo che fosse un puro divertissement autoalimentato.

In molti lo ritengono uno spreco di forse, personalmente sono del parere che, se non ci sono interlocutori, chi fa da se fa per tre. Quando poi capita di trovare un’interlocutore lo si apprezza molto di più. Adesso però smetto di alludere e comincio a concludere, almeno spero.

I Pallbearer suonano doom metal con lieve sentore di prog e molto alla vecchia maniera con tanto di voce ultramelodica. Strano a dirsi, io apprezzo. Il problema è che ci vuole tempo per fruire di musica del genere: il suo bello è che viene fuori alla distanza, come se entrasse lentamente nell’organismo, come un cerotto che rilascia nicotina invece che una sigaretta. Si evita di puzzare come un posacenere rancido, come diceva Kim Basinger di Mickey Rourke dopo essere stata costretta a baciarlo per esigenze sceniche. Qui nessuno vi costringe ma non c’è nessun vero motivo per non ascoltare questo disco e godere del suo sulfureo lirismo, del suo muoversi viscoso, del suo dischiudersi progressivo. A meno che non vi manchi il tempo e decidiate di passare la serata fumando una stecca di sigarette senza una boccata di aria pura. Bonne chance.

Gli Entombed A.D. Prestano il fianco a mille critiche, come se fossero una vecchia soap opera. Ed alla fine il paragone, per quanto squallido sia, regge. Il bassista fantasma, Nicke Andersson, Uffe Cederlund e alla fine Alex Hellid. Chi o cosa diavolo sono gli Entombed oggi? quelli che suonano all’opera o quelli che, alla fine, tentano di sopravvivere facendo uscire un altro disco? Del resto Lars Goran Petrov cosa può fare? Andare a lavorare alla Saab o all’ Ikea? Non scherziamo. Quel tipo non ha scelta e lo sapete tutti. Così come a voi non resta che dargli di che vivere.  Detto questo lui vi canzona palesemente mettendo come canzone di apertura in brano che fa a meno del loro leggendario suono di chitarra. Lars, guarda che non ti conviene tirare la corda sai? Che poi mica ho capito: probabilmente non l’hai nemmeno scritta tu. Comunque noi ti si vuole bene e, a tratti, ti fai anche perdonare, te lo concedo. E per ora ti mantengo ancora. Peccato che l’ultimo posto dove ti ho visto (Rossiglione, GE) adesso sia sommerso. Mi spiace, tenete duro, spero che vi arrivino un po’ delle mie tasse, così come spero che a Lars arrivino un po’ delle mie royalties.

Gli Orange Goblin hanno deciso di provare a fare della musica la loro principale fonte di introito. Altra gente da mantenere in nome del rock’n’roll. Loro sono simpatici e meritano qualche sudatissimo spicciolo, se ce lo avete. Hanno dalla loro un’incredibile genuinità di fondo, dei concerti incendiari e sudati e molte, molte lattine di birra svuotate. Manteneteli suvvia, non possono rivendere vuoti a lungo. Il loro disco è forse un po’ troppo derivativo ( “Devil’s whip” in realtà si intitola “Iron fist”) ma loro vanno comunque annoverati nella schiera degli autentici. E tengono famigghia.

Gli Electric Wizard, invece, potrebbero davvero mettere su famiglia. Jus e Liz, considerate l’idea di avere per casa una piccola Mercoledì o un piccolo Pugsley, suvvia! Fin quando scriverete canzoni come “I am nothing” o “Sadio witch” credo che non morirete di fame, anche se fate (com’è vero) un disco ogni quattro maledetti anni e una sporchissima manciata di concerti quando vi pare. Voglia di lavorare saltami addosso eh? Ve lo concedo, certi vapori rendono pigri, tuttavia l’orologio biologico avanza, tenetelo a mente. Capisco che sia bello fissare le valvole incandescenti con un sorriso a mezz’asta ed aria assente, capisco anche la passione per la botanica però, adesso che avete anche un figliol prodigo alla batteria, rompete gli indugi e datevi da fare!

Devo davvero parlare della mia famiglia preferita (i Melvins), davvero non sapete già tutto? In caso di risposta negativa vergognatevi. Papà King e mamma Dale hanno superato in scioltezza le nozze d’argento sapete? E papà si è anche concesso il lusso di un simpatico soliloquio acustico, tanto per restare in tema. Eppure il matrimonio non vacilla e non si prende sul serio, come non prende sul serio voi. E’ la cosa migliore: farsi una bella risata. Alla faccia mia e vostra, i loro sberleffi colgono sempre nel segno. Sagaci ed irriverenti, menefreghisti e ironici, strafottenti e fetenti. Che coppia. Quanto bene si vogliono (e gli voglio). Possono permettersi di richiamare vecchie fiamme e incendiarne di nuove, di suonare in 51 stati in 51 giorni, di mettere alieni sotto spirito e di usare chitarre di alluminio. Serve altro?

The interview

Unimog
Unimog

Quello che potete leggere qui sotto è un’intervista che ho recuperato in una oscurissima webzine che, non si sa come, è riuscita ad intervistare un oscuro rappresentante del bassistico duo. Non è chiaro molto alto al riguardo e mi scuso con i lettori non in grado di leggere la lingua inglese, ma tradurre tutto sarebbe laborioso e, ammettiamolo, non ne ho poi molta voglia: probabilmente ci sono anche degli errori dentro ma quelli non dipendono da me… onestamente non so nemmeno bene chi possa essere interessato ma tant’è…

Unimog is an italian band. We don’t really know much more than that… two people playing “music”. The word is quoted because you can’t really call it that way and even try to describe what they play gets difficult, what we heard was basicly a distorted bass-line and the kind of vocals you can expect to came out of a cave. Low distorted tunes, primordial growls but fascinating in some way. Don’t even ask how we get in touch with them, they aren’t exactly familiar with what you can call interviews and stuff like webzines, just enjoy the chat and hope not to hear them play. Ever.

Q: Would you like to introduce the band? A: Well we have known each other since more or less a lifetime ad at a certain point we just grab our basses and raised the volume. I don’t know if this could be called a proper “band” we just do what we feel like and obviously we don’t care. Most of the time it’s just us jamming for an endless time. And don’t think about complicated stuff, because one starts playing a riff and the other one follows adding what he feels like to the main theme, so our so-called “jams” are nothing serious, we have respect for those who jam the right way (laughs).

Q: What about the band’s name? A: It is a off-road vehicle made by Mercedes-benz. We prefer the 70’s vehicles to be honest, the ones without all that electronic shit, they were so great. Nowadays there’s too much electronic stuff everywhere, even in music, and we’d like to react going the other way with what we play, I don’t really think we will ever sound like much modern bands do. To hell with pro-tools! (laughs) We decided to call ourselves like that because we like to go outdoors where noone usually go, and that vehicle can bring you there, pretty much like when Kyuss used to play in the Death Valley, what we dreamt about was playing in a rather inaccessible place.

Q: And where do you usually play? A: It depends on how high the volume can be! Usually we play in one of our places at a low volume, but when it becomes necessary to make some serious noise we just rush in a workshop. In a workshop? Yeah, we know the right people to do that.

Q: Before you were talking about Kyuss, what artists have influenced you? A: Kyuss were absolutely among those who had a leading role in influence what we do. It’s always a matter of attitude and, of course, of the way they sound. I could say that Sunn 0))) are perhaps the biggest influence, great people and deep, slow and low-tuned  sound. Dark Throne are another if not for the music, for sure for the attitude and for doing what they want and what they feel. Then I can’t forget the Melvins, perhaps the biggest example of indipendence in today’s music… and tons of other bands like Neurosis, Converge, Electric Wizard, Sleep, Winter and, what the hell, the first six Sabbath albums!!! (laughs)

Q: But you don’t sound like any of them, do you? A: No. (laughs) Maybe a bit like Sunn 0))), but it’s a bold statement, man.

Q: What do you think Unimog is all about, then? A: Damned if I knew! (laughs) We are just a couple of friends doing what we like. If I wanted to be pompous I’d say we are about freedom of experssion, darkness, heavy music, but that’s bullshit and I don’t believe it at all. We are just free and we can’t really take any kind of label on what we do. We don’t like to discuss about it, we don’t like to give explanations or anything, that’s it. This is not something made to get a contract or to please people, like it or not. If it is so… why are you answering now? Because you were so kind to ask for an interview and because I felt like it!!! You know, usual things (inclucing people and music) are so damn boring, and I haven’t answered an interview yet!!!

Q: Will you ever record anything? Will you ever play live? A: Uhm… I don’t know, how did you get to hear us? I won’t say that… that’s right, you get the point. As I said before we do what we feel like, we live the moment, you know? If we will be able to record anything satisfying and the moment is right, then it could happen (there might be some bootleg recordings, I don’t really know). And we even played live once. It was a kind of a festival and a friend of ours asked if we’d like to join in. He had to ask several times, really (smiles)… but finally we played and had a good feeling out of it, it was just bass and vocals but i guess we scared the shit out of someone! There was no plan, we just dropped in and play, we preferred the version with “vocals” so there was a bass only. Some said we sounded like an elephant, others, linstening to our rehearsals, said like a dinosaur, we appreciated that! Horns up!

Serpentine Path: “Serpentine Path”

Serpentine Path

Per chiunque fosse preoccupato di ricevere notizie circa il mio lato estremo dal punto di vista musicale, stia tranquillo: benché appaia solo saltuariamente su queste pagine è in forma ed assetato di tenebra.

Se nel passato decennio ci sono stati due gruppi in grado di soddisfare questa sete sono stati esattamente gli Unearthly Trance e gli Electric Wizard. I primi mi atterrarono letteralmente con il loro esordio “Season of Seance, Science of Silence” nel lontano 2003 quando ero ormai convinto che l’eredità di gruppi marci come Winter, Decomposed, i primissimi Paradise Lost e My Dying Bride nessuno sarebbe mai stato in grado di raccoglierla, “Raised By Wolves” mi colse come una mazzata in pieno volto e rimasi tramortito ed abbagliato da cotanta insondabile profondità per un bel pezzo. Gli Electric Wizard avevano punti di riferimento molto più indietro nel tempo ma difficilmente sarà possibile trovare dischi doom di maggior valore di “Come My Fanatics” e “Dopethrone” nello scorso decennio. Adesso i tre americani, dopo aver lasciato ufficialmente le scene, hanno unito le forze con l’ex EW (ora nei Ramesses) Tim Bagshaw per riportare sulfurei miasmi e oscurità impenetrabile nuovamente sulla scena e da protagonisti.

Non si tratta di una mera somma delle parti, piuttosto di un lavoro nel quale entrambi scarnificano il suono delle bands madri: i primi togliendo le divagazioni velocizzate dal vago retaggio hardcore (ebbene sì, ci sono punti di contatto fra i due generi), il secondo spogliandosi dei panni settantiani. Tutto questo per ritornare alle origini del death/doom, un po’ come gli UT degli esordi, dopo un singolo apripista, si lanciano diretti e fieri verso la prova sulla lunga distanza. E non tradiscono. Ryan Lipynsky compatta il suo gruppo ed invita ogni adepto a fissare l’abisso dritto nel cuore e a lasciarsi atterrare da un suono greve e perverso nella sua marcia. Dall’ascolto di questo esordio rilasciato dalla sempre presente Relapse Records non si ricavano  particolari evoluzioni del suono, quasi che la devozione all’oscurità non ammetta deroghe o concessioni di sorta, i brani portano su di sé tutto il peso di suoni grevi e oppressivi che suonano quasi da monito ai non iniziati: non avvicinatevi o ne pagherete il fio!

Eppure, come ogni abisso che si rispetti, possiede un fascino magnetico, un’attrazione ignobile per chi si lascia avvicinare. Come non farsi ammaliare da un simile colloidale concentrato di malsana pesantezza e sinistre litanie che trovano risposta solo in inospitali meandri della mente? Personalmente non ho dubbi e, ora che al quartetto si è unito anche Stephen Flamm dei Winter, il quadro sembra completo per permettere a nuovi monoliti neri di emergere sulla terra o a Cthulhu di risorgere.

Bandcamp

Tempo di concerti

Incrociando tutto l’incrociabile, sabato si romperà un lungo digiuno da concerti che perdura fin dalla data primaverile dei Corrosion Of Conformity a Romagnano Sesia lo scorso 13 aprile. Era tempo: l’estate è trascorsa tra occasioni perdute e promesse non mantenute, su tutte l’ex-MiOdi organizzato su settimana in un locale noto per il suo menefreghismo nei confronti di chi deve tornare a casa presto come il circolo Magnolia di Milano-Linate (hanno molti altri meriti, comunque) e lo Spaziale Festival organizzato da un locale un tempo assolutamente lodevole come lo Spazio 211 di Torno. Ebbene, secondo il sindacabilissimo parere di chi scrive,  il locale sta precipitando paurosamente in termini di concerti: se l’anno scorso c’era un signor concerto come main event (Neurosis, Ufomammut, Rosetta) quest’anno era una tristezza infinita nonostante I Tre Allegri Ragazzi Morti e i Linea 77 (io li davo per sciolti!).

Steuso – Electric Wizard – Torino – 2011 (oggi nella mia camera)

Eppure il posto meritava… e parecchio! Lì ho avuto  la possibilità di vedere Thrones, Ovo, Suffocation, Unsane e Scott Kelly come solista tra gli altri ma, soprattutto, i fantastici Electric Wizard! Mancati più e più volte a causa delle distanze insormontabili (Padova!?) delle loro precedenti date. Alfieri inossidabili del doom metal imparentato con lo stoner più estremo, con gli horror movies degli anni ’70, dotati di una sorta di simpatia per il diavolo dettata forse più dalla loro passione per l’immaginario esoterico- fumettistico- cinematografico che per una reale fede, per tacere di un singolo come “Legalize drugs and murder” che credo la dica lunga anche sulle altre attività didattiche del gruppo tenuto a battesimo da Lee Dorrian e dalla sua Rise Above Records.
Brutti ceffi, senza dubbio, se non fosse per l’angelica presenza della chitarrista Liz Buckingham che rappresenta da sola un’ inaspettata ventata di bellezza in un tal contesto, nonostante abbia avuto la sventurata (per noialtri, ovvio) idea di sposare Jus Osborne cantante e chitarrista del suddetto complesso di energumeni.

Ebbene siamo al 10 marzo dello scorso anno, piove che dio la manda ma, grazie alla prevendita, saltiamo di slancio la coda imprecante di gente all’esterno… forse il locale è un tantino poco capiente per l’evento, il gruppo britannico si vede costretto a rinunciare alle proiezioni che avevano accompagnato le loro precedenti esibizioni, ci sono le colonne che limitano la visibilità e quando il locale si riempie stiamo stretti. Oltretutto nelle prime file, a un certo punto, qualcuno da in escandescenze e si accende qualche tafferuglio… ok, ne abbiamo passate di peggio in condizioni simili.

Le valvole cantano che è una bellezza! Nonostante il vecchio, glorioso, repertorio sia messo un po’ troppo in ombra (ovviamente noi vecchi fan, ci aspettavamo una sorta di compendio di “Come my fanatics” e “Dopethrone” alla faccia della venuta di Liz e delle nuove canzoni!), il mantra valvolare procede con la viscosità di un magma incandescente e letale al di fuori di coni sovraccarichi e valvole roventi, per tacere della strumentazione che farebbe innamorare chiunque abbia a cuore certe sonorità. E’ appena uscito il nuovo “Black Masses” -che, ovviamente, io ed il mio compare ci siamo accaparrati in versione vinilica ultralimitata con poster, toppa e quant’altro-  e quindi è più che normale che il concerto rifletta questo momento storico, e noi, alla fine, ce ne facciamo una ragione. Lasciamo che le canzoni scorrano inesorabili e sature, che la folla ondeggi cullata dalla distorsione e che il gruppo dia il meglio di sé nonostante il “carburante”, sul palco almeno, si limiti a delle squallide moretti in lattina, probabilmente disgustose. Magari il concerto dura un po’ troppo poco, forse hanno fatto di meglio, però la sezione ritmica tiene alla grande e i due coniugi risultano senz’altro un’accoppiata vincente!

Adesso dita incrociate fino a sabato!

Jus Osborne e Tas Danazoglou, 10/03/2011 Spazio 211, Torino

Liz Buckingham, 10/03/2011 Spazio 211, Torino

Shaun Rutter, 10/03/2011 Spazio 211, Torino

I coniugi Osborne, 10/03/2011 Spazio 211, Torino

Pensavate di fare a meno delle mie foto, vero??

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