Donald Sutherland in animal house lo scrive chiaramente e a caratteri cubitali sulla lavagna: questo personaggio è satana. Ora, da persona che segue il metal fina dalla fine degli anni ’80, satana mi ha un filo stracciato le gonadi. Credo che, a un certo punto, facesse figo riempire i testi delle canzoni di riferimenti demoniaci, cose truci e macabre, invocazioni varie, esoterismo e tutto: per molti era una finzione, altri ci credevano sul serio. A me ha fatto sempre solo sorridere, tranne in quei casi in cui qualche decerebrato acefalo si è fatto prendere un po’ troppo la mano, vedi il conte in Norvegia. Del resto, come la nazione scandinava ha dimostrato in tempi recentissimi, certi fanatismi sono il vero male, non certo quattro gruppi musicali che blaterano di satanassi vari.
Detto questo, nonostante la mia palese insofferenza, di gruppi che utilizzano certe tematiche continuano ad essercene e io li schiverei anche, però fanno uscire dei signori dischi, dandomi delle soddisfazioni non da poco quando li ascolto, quindi diventa difficile ignorarli. Questo è il caso delle due formazioni di cui vado a disquisire oggi, se non siete annoiati da certe tematiche probabilmente li apprezzerete anche più di me.
Sono arrivato a loro su segnalazione di un’amica che non faceva altro che parlarne in tutte le salse. Peccato che le indicazioni che mi ha fornito fossero poco centrate con la proposta del gruppo. Sembrava fossero i nuovi Electric Wizard, mi aspettavo qualcosa di pesantissimo, lentissimo, sulfureo e composto sotto l’influenza di chissà quali alterazioni sensoriali. Quando sono arrivato a sentirli la prima volta mi sono sembrati molto scarichi e leggerini. Una robetta da poco, insomma. Però, sull’onda dell’entusiasmo, avevo acquistato l’intera discografia in digitale su bandcamp (il formato fisico ormai è riservato solo ai grandissimi… e comunque non lo escludo in un secondo tempo per loro) e mi seccava da morire non trovarci nulla di speciale. Quindi, di quando in quando, mi sono quasi forzato ad ascoltarli e alla fine mi hanno conquistato. Bastava che cercassi nel posto giusto, invece mi è capitato come quando ti propongono un caffé ed invece ti ritrovi a bere una limonata, che è buona ugualmente ma non è quello che ti aspettavi, anzi non c’entra proprio nulla.
I Green Lung sono fautori di un hard rock anni ’70 dalle sfumature silvestri che a volte si avvale pure di hammond e ammennicoli vari, tutti al posto giusto. Trattano la maniera satanica in modo non distante da certi gruppi deviati dei figli dei fiori che arrivarono a certi culti esoterici pur mantenendosi lontani da Charles Manson. Il cantante ha un timbro molto particolare che tuttavia si incastra nell’ossatura del gruppo alla perfezione, a questo aggiungete un gusto sopraffino per la melodia e un estro chitarristico veramente eclettico e contestualizzato. Ora molti avranno pensato ad una roba tipo Ghost, nemmeno per sogno: sono infinitamente più rocciosi e massicci (soprattutto il primo EP), quindi gettatevi indietro di cinquant’anni e non pensateci più: aprite il vostro cuore e fate posto a un polmone verde: è in uscita in questi giorni il loro nuovo disco e le premesse per un buon lavoro ci sono tutte!
Mi era comunque restato un certo appetito per qualcosa di decisamente più pesante e opprimente. È esattamente questo il caso i Jointhugger (norvegesi, guarda il caso): fanno musica pesantissima, decisamente intensa e a tratti soffocante. Per me sono comunque una boccata d’aria fresca e iodata come una lunga inalazione di… aria di mare. Ok, nulla di troppo nuovo, ma questi norvegesi sanno imprimere la loro personalità a una formula consolidata nella quale si pensava che non ci fosse più spazio per nessuno. Personalmente apprezzo sempre molto un gruppo che riesce a fare una cosa del genere.
Si tratta di un piccolo anfratto, scavato nella roccia millimetro per millimetro, ma i Jointhugger (Amsterdam meets alien?) la loro nicchia se la sono ricavata con delle sane bordate sonore che li collocano forse ancora qualche passo indietro rispetto ai capofila delle nuove leve in campo stoner/doom che sono i Monolord (evidentemente in Scandinavia ci danno dentro alla grande), ma che tuttavia li impogono con forza all’attenzione degli amanti del genere.
Per dire: sono uno dei pochi gruppi dell’ultima ondata in grado di scrivere brani a volte anche lunghissimi senza farmi raggiungere un quasi inevitabile stato catatonico a causa della noia. Questo grazie ad una grande preparazione in fase di scrittura ed esecuzione che rendono i brani estremamente dinamici (non mancano tra le loro cose delle sfuriate quasi inaspettate, tipo l’era Pre-Electric Wizard dei maestri oppure inserti dalle sfumature psichedeliche) che riescono nell’impresa di mantenere viva l’attenzione e in qualche caso fanno addirittura saltare sulla sedia. Attesi alla prova a breve (31/10, che caso!) dopo le prime pubblicazioni del ’20 sono un gruppo che difficilmente fallirà l’obbiettivo, almeno a giudicare dai brani apripista pubblicati sul loro bandcamp e su youtube. Preparatevi al meglio!