Il Blues dei libri venduti

Non vi è mai capitato di vendere dei libri ad un negozio di libri usati? Che sia una triste esperienza ne convengo assolutamente, un po’ perché separarsi da certi volumi è uno strazio, soprattutto perché poi quello che ne ricevi in cambio vale poco di più di un sorriso e di una pacca sulle spalle. Libri pagati a prezzo pieno per i quali si riceve in cambio meno di un euro e spesso sottoforma di buoni spendibili solo nel suddetto negozio. Devo dire che la prima cosa me la sono scampata: i libri che ho rivenduto sono sempre stati libri che ho detestato per un motivo o per un altro: vendere dei volumi a cui sei affezionato per l’irrisorio corrispettivo non avrebbe senso. Sulla seconda non ci si può fare molto, vorresti urlare al cielo la truffa ma il cielo stesso non ti ascolterebbe quindi ti tocca accettare la tristezza e tirare avanti, anche perché magari ancora ti maledici per aver comprato certi sprechi di carta e ti dici che in fondo, dopo aver buttato ore sempre preziose a leggerli, ora ti meriti anche il castigo finale.

Insomma mi capita di fare questo gesto sconsiderato e, a fronte di due scatoloni di volume consistente pieni di libri, ho ricevuto in cambio quattro miseri volumi, uno dei quali vede Nick Hornby parlare dei suoi brani di musica preferiti. Ora l’autore inglese che io ho apprezzato per come parla delle manie dei musicofili in “alta fedeltà” gode di una certa stima da queste parti e quindi, anche se molti dei brani descritti o non li conosco o mi fanno sentire a disagio, porto a casa il disco dicendomi che, in fondo, potrebbe aprirmi la mente o portare a mia conoscenza, pescando nel mucchio, qualcosa di valido.

Tutto bene (più o meno) finché arrivo al capitoletto che parla dei Led Zeppelin e di “Heartbreaker” in particolare. No Mr. Hornby, non ci siamo proprio. L’autore si interroga sul perché a un certo punto si sia appassionato a un genere “pesante” e soprattutto sul perché, a un certo punto, tale genere, nonostante ne riconosca l’appeal istintivo, abbia smesso di avere senso di essere ascoltato. L’autore dice di aver voluto nascondersi dietro quelle sonorità così pesanti ma che è un atteggiamento poco maturo, perché la persona matura è in grado di capire che nell’effimero, nel massificato e nel, passatemi il termine, “superficiale” sta il fascino della musica popolare. Dice che una persona matura non ha bisogno di chitarre roboanti e batterie rumorose. Niente bassi pulsanti e voci spavalde. Il punto è: anche fosse, e non credo, chissenefrega di essere ascoltatori maturi. Il mondo delle persone mature è noioso e triste. Prendete un disco dei Led Zeppelin e ditemi se, in tutta coscienza, riuscite a rilevare delle sensazioni del genere anche solo per mezzo secondo.

Ok, magari vi concedo qualcosa a fine carriera, ma ci sta. A un certo punto verso la fine dei ’70 saltarono fuori un sacco di diavolerie elettroniche e tutti quanti si misero a sperimentare anche cose senza troppo senso… ma almeno fino a “Presence” sono stati formalmente quasi inattaccabili. E come loro altri mostri sacri come Black Sabbath, Deep Purple, Uriah Heep e molti altri.

Una cosa del genere la fecero notare anche a Lemmy, il quale rispose che non voleva che dei vecchi ascoltassero la sua musica, che poi faceva il paio col fatto che se pensi di essere troppo vecchio per il rock’n’roll, probabilmente lo sei. Aggiungeteci il fatto che maturi è come dire diversamente giovani e il bandolo della matassa è sotto i vostri occhi.

Il punto è che sono anni che chiunque si arroga il diritto di sparare sentenze sulla musica pesante, dall’alto di una presunta maturità o, peggio, supremazia musicale. Sarebbe ora di finirla con questi atteggiamenti discriminatori. Anche perché, oltre al non voler crescere (che comunque è del tutto opinabile), c’è molto altro. Probabilmente in molti si aspettano che io mi spertichi in lodi nei confronti della musica che amo, mi sembra ridondante farlo e vorrei evitare.

Però pensandoci bene… per essere maturo devo riconoscere al pop una dignità? A un genere ruffiano e compiacente per antonomasia? A un genere che ricerca il favore del pubblico ad ogni costo e che misura il proprio valore unicamente (o quasi) in base ai dati di vendita o in base a quel che tira in questo momento storico? A un genere che parla quasi unicamente di cose frivole e di sentimenti banalizzati? Per essere maturo devo accettare il fatto che modificare il proprio stile per renderlo accessibile sia non solo lecito ma un atteggiamento da condierare vincente? Allora perché dovrei desiderare esserlo?

Una volta ero estremamente più chiuso e forse davvero risultavo ottuso… Ma oggi ascolto molta altra musica rispetto alla musica pesante. Per me la discriminante sono diventati contenuti: aver qualcosa da dire non è una cosa banale né dal punto di vista strettamente musicale e né dal punto di vista dei testi e dei temi trattati.

…Canzoni senza fatti e soluzioni…

Poi è chiaro che il metal e tutti i suoi derivati e generi in qualche modo limitrofi, sono casa mia, sono ciò che conosco meglio e ciò di cui posso parlare con effettiva cognizione di causa, ma non sono (più?) così limitato da non trovare del bello nella musica classica, nel blues, nel jazz, nel rap, nel reggae, nel goth, nella new wave, financo nel pop dove oggettivamente è molto più difficile farlo. Sinceramente però ne ho abbastanza di sentirmi colpevolizzato perché la musica che ascolto è indigesta a qualcuno, ne ho abbastanza di sentirmi dare del retrogrado perché boicotto lo streaming selvaggio che sta uccidendo la musica, ne ho abbastanza di concerti a cifre assurde e bagarinaggi legalizzati per vedere spettacoli elitari e della gente che compra i biglietti per certi spettacoli. Se la musica sta morendo è per colpa degli ascoltatori maturi che fanno tutto questo.

Per assurdo avevo assegnato a Hornby il compito di alleggerire le mie letture quando sentivo di esserci andato troppo pesante con un libro (per tematiche, stile di scrittura o altro) arraffavo un suo scritto e tornavo a sentirmi più leggero. Il giochetto è durato fino a “Non buttiamoci giù” del 2005 che proprio non mi è piaciuto. Da allora non avevo mai più preso un suo libro in mano…

Dimmi con che Beatle vai…

Una volta qualcuno mi narrò di un famoso test psico-musico-attitudinale che consisteva nello scegliere (forzatamente, aggiungerei io) uno dei quattro beatle per capire cosa nascondesse la tua personalità… ebbene, ho esteso il gioco anche ad altri gruppi storici ed ecco i risultati:

The Beatles:Il gioco comincia qui e son già dolori… ma come si fa a scegliere tra uno di questi quattro favolosi uomini? Per esclusione… il primo a partire è Ringo Starr, simpatico ma si è aggiunto per ultimo ed adora gli anelli da uomo che io detesto. Poi in molti hanno sempre avuto da ridere sulle sue doti da batterista, e qualche dubbio ce l’ho anche io, anche se l’ho comunque sempre ritenuto all’altezza. Poi se ne va Paul Mc Cartney forse perchè sono invidioso del fatto che fosse l’idolo delle ragazzine, più probabilmente perché mi è sempre sembrato un po’ il più buonista del lotto e poi, diciamocelo, non amo alla follia quello che ha fatto nel post fab-four, fatta salva qualche dovuta eccezione. A malincuore poi lascia la competizione George Harrison, mi auguro che ci saranno altre occasioni per dimostrare il mio apprezzamento nei confronti delle acque chete, di quelli che se ne stanno piuttosto in disparte pur uscendosene fuori con diamanti assoluti come “Something” o ” While my guitar gently weeps” che adoro, però quando hai un Lennon davanti è dura per tutti. Infatti vince John Lennon una durissima competizione: nonostante non ami particolarmente la fine che ha fatto fare al gruppo ed anche il fatto che si sia unito ad un’artista assolutamente sopravvalutata come Yoko Ono. Niente può offuscare la statura artistica di un uomo che ha avuto il coraggio di risollevarsi da una situazione personale tragica che avrebbe abbattuto chiunque per dimostrarsi assolutamente inarrivabile e tutt’ora ineguagliato. Le sue idee, la sua musica, la sua ironia ed il suo modo di essere dimostrano che difficilmente si potrà mai fare di meglio suonando semplice (?) rock’n’roll. Se sembra uno stereotipo, avercene stereotipi così!

John Lennon
John Lennon

Led Zeppelin: Robert Plant no, mi spiace, è bravo, ha una gran voce è perfetto per il gruppo ma a me piacciono le voci ben più grevi e calde, John Bonham è un vero animale dietro ai tamburi, beve come una spugna è burbero quanto basta ma no, nemmeno lui, Jimmy Page è la vera superstar del gruppo ma insomma, le hanno tessute un po’ troppo le sue lodi, non vi pare? Ebbene il mio preferito è John Paul Jones che incarna in pieno le mie due figure preferite (salvo doverose eccezioni) in seno a un gruppo: il bassista e quello che se ne sta in disparte, senza tante spiegazioni ulteriori.

John Paul Jones
John Paul Jones

Pink Floyd: Difficile, difficile, difficile. Syd Barrett direi che si è scelto da solo. Nick Mason e Richard Wright mi stanno bene, ma forse dicono un po’ pochino… Restano Gilmour e Waters. E come diavolo si fa a scelgliere tra questi due? Il tocco sulla chitarra e la voce di Gilmour sono leggendari, d’altra parte Waters è il bassista e la mente del gruppo… uhm… no dai uno che si inventa un concept come “The Wall” non posso non votarlo… vada per Roger Waters!

Roger Waters
Roger Waters

Queen: Beh qui c’è la prima donna delle prime donne… Freddie rimarrà sempre nei cuori di milioni di fan (e un pochetto anche nel mio), eppure sarei tentato di dire Brian May. Roger Taylor è quello che sta meglio vestito da donna e John Deacon suona forse il giro di basso più famoso della storia in “under pressure” (se la gioca con “money” dei succitati). Anche qui materiale a iosa!

Brian May
Brian May

Rolling Stones: Peccato per l’esclusione prematura di Brian Jones, vista l’indole folle avrebbe dato delle soddisfazioni. Ron Wood è l'”ultimo” arrivato, Charlie Watts sta davvero un po’ troppo in disparte e Bill Wyman ha raggiunto (più degli altri) il limite di età massimo. Al solito Mick Jagger è fin troppo bruciato dai riflettori, quindi scelgo quello bruciato da altro: Keith Richards sempre sia lodato!

Keith Richards
Keith Richards

The Who: Keith Moon!!! Prima doppia cassa del rock’n’roll e tantissimi saluti… non fosse che… manca qualcuno…

Keith Moon
Keith Moon

Black Sabbath: Mission impossible. Ve lo aspettavate, no?! E’ l’unico gruppo che mi fa sospettare di soffrire di quadrofenia (per restare in tema con il gruppo sopra…) ovvero di una personalità quadrupla, visto che in ogni membro del gruppo ritrovo almeno un particolare che non mi permette di scegliere eleggendo uno di loro sopra agli altri. Tony è il genio: mai visto nessuno tirare fuori così tanta magia da due note messe in croce, con la caparbietà che si conviene a un chitarrista che perde per strada alcune falangi. Ozzy, ovviamente, la sregolatezza che ha la fortuna/sfortuna di avere una moglie manageressa (come direbbe Dan Peterson) che lo tiene in riga/sfrutta altrimenti chissà dove sarebbe (o NON sarebbe) adesso, pazzo ed indiavolato come quel suo tono di voce inconfondibile e al quale deve tutto. Terence “Geezer” è l’ intelletuale, quello che si diletta di esoterismo (sia pure cartoonesco a tratti), ma che al contempo studia, scrive i testi e non mangia carne. Quello che non mostra subito la sua grandezza, ma senza il quale i brani dei sabs non sarebbero gli stessi, quello che cesella passaggi bassistici che vengono fuori alla distanza per il loro essere ispirati. Bill è il burbero che mena i tamburi come se fossero dei teppisti che gli hanno mancato di rispetto, quello che alla fine si nega, quello che non ne vuole sapere. Me lo ricordo tutto panza e dread nel video del tour del 1978, mentre davvero distrugge il suo povero kit…

Black Sabbath
Black Sabbath

Ps: Dopo attenta riflessione vorrei fare un errata corrige, vorrei augurare, a tutti quelli cui ho augurato felicità per questo anno nuovo, ed anche a quelli che passino di qui, soddisfazione per l’anno nuovo. Le due cose sono ben distinte, la soddisfazione implica che, anche se non si è felici adesso, i patimenti che stiamo sopportando ora siano l’aspera da dover attraversare per arrivare all’ astra. La felicità in fondo può anche essere un bicchiere di vino con un paninol’acqua che scende dietro le tende. Io, signori e signore miei, vi auguro le stelle. Buon anno.

Sole alle spalle

Un riflesso accecante sullo schermo del PC, C’è il sole tra le nuvole ma io sono recluso in casa con una voce che potrebbe sembrare quasi quella di Mark Lanegan, senza averne la grazia e con un retrogusto di i***san in gola. Son messo bene, non c’è che dire amici. Serve una colonna sonora e arriva l’amico Cash, libero dalle catene. Mi serve del supporto musicale, mi serve di ritrovare la salute quanto prima che  passare le vacanze malato mi sa tanto di nuvoletta Fantozzi e non mi sembra il caso. I‘m gonna break my rusty cage and run… appena il simpatico mal di gola/ raffreddore/ tracheite/ peste bubbonica mi molla un attimo.

E intanto l’anno finisce e mi sembra un eterno ritorno. A tragico listone di fine anno. Quest’anno c’è un escluso di lusso: i Black Sabbath. Loro non li posso mettere, sono al di sopra di ogni critica, listone, solito giochino dei cultori musicali. Loro non mi piacciono, gli voglio proprio bene, un po’ come ai Melvins, ai Vista chino, ai Tool, ai Neurosis ed ai Converge, anche se a loro dippiù. ubi maior minor cessat e cessat sul serio. In un anno nel quale tutti sono tornati come dei nodi al pettine che si sciolgono. Loro hanno sciolto il più grosso: potevano rovinare tutto e, se escludiamo l’ esclusione di Bill Ward (che è spiaciuta a tutti, dai…), non l’hanno fatto. Grazie, davvero, non ci ho mai creduto sul serio che avreste buttato tutto nel cesso.

Detto questo, devo dire che l’ovazione massima vai ai Clutch quest’anno e alla barba di Neil Fallon. Mannaggia, era dannatamente semplice ma nessuno faceva più un bel disco di rock’n’roll da secoli.Veramente un disco con gli attributi. Muscolare, compatto, senza fronzoli. Quello che vedi è quello che avrai, che poi è quello che hai sempre amato “What’s this about limits? Sorry I don’t know one!”

E poi, l’eterno ritorno: un disco che non ho ascoltato quanto avrei voluto, ma che rimane molto ispirato è quello di Nick Cave, prometto di rimediare quanto prima. You know who we are. Con Vista Chino e Carcass c’è stata una bellissima rimpatriata con gente che non si vedeva in giro da secoli ma che ti è sempre, ma sempre, rimasta nel cuore: si è fatto festa assieme, e si continuerà a farne, ne sono quasi sicuro. E poi ci sono i Sub Rosa, una piacevolissima scoperta, e i Melvins che, tra una presa in giro ed un’altra hanno piazzato nel loro ultimo lavoro una delle mie canzoni preferite di sempre. Difficile da spiegare, coincidenze. Tempo fa ho scovato una fotografia di Buzz che assomigliava, crederci o no, a Robert Smith dei Cure, poi sento questa canzone, il cui incipit mi fa pensare subito a “Just like heaven”, e penso “ne stanno combinando un’altra. In effetti han combinato questa:

ed io l’adoro…

Ah la novità per il 2014 è che mi sto mettendo ad ascoltare seriamente dopo millenni i Led Zeppelin, il che è tutto dire. Salvo ripensamenti inquetanti, per quest’anno è tutto, con buona pace del dannato riflesso…

Ancora tu, ma non dovevamo non vederci più?

Il 26 giugno 2011 doveva essere un giorno storico. Ammetto di aver esultato quasi con le lacrime agli occhi. Sembrava che vasco rossi, mio nemico storico musicalmente parlando, si ritirasse dalle scene, nientemeno! Una cosa nella quale non avevo nemmeno mai sperato, che potesse finalmente sparire dalle scene e dalle mie orecchie una volta e per sempre. Sono stati anni decisamente bui quando non si faceva altro che percepire in giro le sue melodie scontate ed i suoi testi demenziali, i suoi suoni raccapriccianti e la sua attitudine dozzinale.

Personalmente avevo anche giocato (ma nemmeno poi tanto) alla fanta-industria musicale, arrivando a ritenere che, un bel giorno, i “cervelli” che presiedono gli alti livelli del mercato discografico si fossero svegliate con un pensiero in testa: “In Italia manca ancora qualcuno che collassi sul palco”! prendono questo giovane di Zocca e lo mandano alla più bacchettona e tradizionalista delle kermesse musicali italiane con il compito preciso di non reggersi in piedi. Successo garantito. Troppo trasgressivo, troppo irriverente: peccato che i cantanti che crollano sul palco fossero una cosa assolutamente già vista e da un sacco di tempo. Ovviamente però l’Italia se ne era accorta solo in parte, poi che comodità un supposto rocker che canta nella lingua nazionale: perché sbattersi a tradurre un testo dei Rolling Stones, dei Led Zeppelin o di Bob Dylan?

E allora avanti, la via italiana al rock è servita, testi di una pochezza disarmante e produzioni pessime incluse. Intanto il pubblico impazzisce e la popolarità del suddetto cresce a dismisura, ormai sue le radio, suoi i palchi ed anche un po’ la televisione: c’è chi gira addirittura un agghiacciante film sulla gente che popola i suoi concerti, per tacere del tentativo di santificazione perpetrato grazie al film di Paris presentato addirittura alla mostra del cinema di Venezia, un po’ di vergogna, no? In questa provinciale nazioncina oramai chi dice rock dice vasco e, se dici di ascoltare rock, fatalmente il primo nome che ti verrà fatto sarà il suo e ti sentirai sprofondare nel disagio lentamente ed inesorabilmente, penserai con tristezza a Elvis o ai Beatles, finendo, inevitabilmente, per chiederti cos’hai fatto di male. Avendo paura di rivelare a te stesso che, in realtà, conosci perfettamente la risposta.

Essere nato qui. Nel paese dove hai sempre e comunque la sensazione di essere la provincia di qualche altro posto come diceva Freak Antoni. C’è un fattore però che non avevo considerato, finora… ovvero il fatto che il ritorno di vasco potrebbe non essere il peggiore dei ritorni.

L’eterno ritorno NON donare a loro o Signore.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=_W0OSV5bFm4]

Una delle sue peggiori nefandezze. Cari Radiohead, ma avevate sinceramente bisogno di far cassa coi diritti d’autore???

A proposito: oggi compie gli anni (65) Vincent Furnier, alias Alice Cooper, questa è una vera rockstar che non si è ancora mai dimessa:

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=amwgsBZQ1w4]

Il mondo impazziva dietro a rose e pistole…

Tons Of Cake
Tons Of Cake

E’ l’inizio degli anni novanta ed il mondo impazzisce per un gruppo chiamato Guns N Roses. Onestamente non sono mai riuscito a capire il perché. Va detto che, senza nascondersi dietro un dito, quando uscì “Appetite For Destruction” nel 1989 ero uno fra i primi a sapere chi fossero ed ad essermi procurato l’edizione in vinile, quella con il mostro che attenta a una ragazza in copertina, che leggenda (metropolitana?), vuole disegnata dal padre di Slash. Va detto anche che quando, qualche anno dopo, qualche mio compagno di scuola mi venne a chiedere di un fantastico gruppo americano del quale avevano sentito una canzone: “Sweet Dynamite” (“Sweet Child O Mine”) il disco riposava già nelle mie teche da un pezzo e feci un’onesta fatica a capire che si trattava dello stesso gruppo.

Però, nonostante la bella figliuola seminuda nella copertina interna, già “Lies” mi sembrava deludente, quando uscì “Use Your Illusion” erano già storia. Penso anche che, in gesto di spregio, vendetti il vinile di cui sopra ad una qualche bancarella e non l’avessi mai fatto. In molti vedono questo gruppo come l’ultimo gruppo di vere rockstar esistito: per me significano poco o nulla. Se parliamo del volume d’affari lo sono stati senz’altro, della vita sregolata, dell’alcool (però girava voce che, invece di Jack -whisky pessimo, secondo me-, ci fosse del the nelle bottiglie), della droga, dei dissidi e delle leggende di vario tipo forse è vero, se parliamo della produzione artistica il discorso potrebbe finire immediatamente.

Un disco decente e poi tanta, tantissima fuffa. Di tipo musicale, ma anche di tutti gli altri tipi. “Lies” era un disco assemblato per l’occasione. “Use Your Illusion” una palla colossale e megalitica, noiosa, boriosa e tronfia che poteva anche essere ridotta agevolmente a un disco da mezz’oretta: avrebbe fatto più bella figura, considerando certe ballate tremende come “Don’t Cry” e “November Rain” capaci di centrare, con precisione sopraffina, un nauseabondo coacervo di luoghi comuni sui sentimenti capaci di fare più vittime di un overdose di zuccheri. Di “Spaghetti Incident?” non voglio nemmeno parlare (ok, il brano di Manson). Mentre “Chinese Democracy” si commenta da solo: sembra il delirio di onnipotenza di un pazzo a cui le troppe possibilità offerte da successo e soldi abbiano decisamente dato alla testa, oltre ad aver fatto fuori i suoi compagni, ha pure cambiato strumentisti come un gentiluomo fa con la biancheria: un pessimo suicidio barocco.

Quando penso a loro, mi sembrano una sorta di “The Great Rock’n’roll Swindle Part 2” salvo che almeno i Sex Pistols ebbero il buon gusto di smettere quasi subito quando lo scherzo si fece pesante: poi sono tornati da anziani, ma quello ormai lo fanno tutti. Se penso alle vere Rockstar il primo nome che mi viene in mente sono i Led Zeppelin e pensando al gruppo albionico credo sia evidente il motivo per il quale i Guns non potranno mai essere elevati al rango di rockstar propriamente detto. Vogliamo proprio paragonare il valore artistico delle due compagini? Forse il volume d’affari ha mai fatto la grandezza di un gruppo? Mi auguro di no.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=bF5gBT06FQ0]

This is Rock’N’Roll!

Celebration day!

Evidentemente o il vostro ha delle doti (nascostissime) da Nostradamus o qualcosa aleggiava già nell’aria… perché pare che Italia Uno trasmetterà, alle 22 e 45 di lunedì 10 Dicembre, il concerto dei Led Zeppelin, denominato “Celebration Day”, che il gruppo (riunito) ha tenuto a Londra nel 2007. Per inguaribili nostalgici, ovviamente!

4 Dicembre 1980

Led Zeppelin
Led Zeppelin

“Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico ed il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere – in piena armonia tra noi ed il nostro manager – che non possiamo più continuare come eravamo.”

I Led Zeppelin diffusero questo comunicato stampa 32 anni fa ponendo fine alla loro carriera dopo la morte del loro amico e compagno John Henry Bonham.

Spero non appaia irrispettoso postare oggi la loro canzone “In My Time Of Dying”: questa composizione in origine è un gospel dal titolo “Jesus Make Up My Dying Bed” e la prima registrazione del brano risale al 1926 ed è ad opera del reverndo J.C. Burnett ma non fu mai pubblicata.

I Led Zeppelin ne incisero una versione fiume di circa 11 minuti, e la inclusero in “Physical Graffiti” del 1975. Personalmente ritengo che abbia il più bel suono di chitarra slide che io abbia mai sentito e fu una folgorazione perché era un pezzo che avevo ascoltato e, chissà per quale motivo, dimenticato… senonché, quando ho ripreso in mano il CD, è stata una vera e propria nuova scoperta, con tanto di battito cardiaco accelerato e esaltazione subitanea ai massimi livelli. Bellissima!

Questo è il mio tributo ad una grande band.

Il senso della vita

C’è stato un attimo durante questa settimana, nel quale mi sono sentinto quasi a posto. Non che i soliti problemi si siano risolti, semplicemente per una qualche congiuntura astrale pesavano molto meno, impossibile capirne il perchè ma sono riuscito a districarmi tra paranoie e ricordi, a farli apparire molto meno gravosi e angoscianti. Di solito le prime due cose che saltano quando mi faccio assalire dalla negatività sono sonno e letture. Finalmente la colonna sonora precedente al sonno a base di Led Zeppelin pareva funzionare, ero fermo da un paio di settimane su Cocaine Nights di J.G. Ballard un po’ perchè è un giallo ed un po’ perchè starmene da solo a leggere può favorire l’insorgere dell’angoscia, anzi, per quel che mi riguarda, lo fa quasi sempre.

Poi, come è giusto che sia, durante un simpatico giro motociclistico, tutta la feccia è tornata a galla. Molte delle cose che mi sto adoperando per accettare e superare sono tornate indietro di colpo,  sian stati i libri o il mio provincialismo…

Gli unici due pensieri (attenzione: da qui in avanti la scurrilità potrebbe emergere nel post, vogliate considerarla una licenza poetica o leggere altrove: non è possibile esimermi dall’utilizzare certi termini, in questo contesto) in grado di farmi sorridere sono stati la risposta via mail mandatami in risposta alle mie lamentele durante un soggiorno gallese da un compagno di mille avventure, la suddetta mail recitava semplicemente:

“Nella vita l’importante è rompersi i coglioni”

Non diceva null’altro ed io pensai che, ammesso che dicesse il vero, potevo quasi considerarmi un personaggio importante.

Il secondo pensiero invece l’ho rivolto ad un personaggio che vide la luce quasi quarant’anni fa a San Martino di Trecate, si tratta di un fantautore con il raro dono della sintesi che ha saputo riassumere in 3 minuti e 21 secondi il senso della vita, addirittura meglio dei Monty Python… mi permetto di svelare l’arcano con un semplice link da youtube:

Bron-Yr-Aur

Bron Yr Aur. Un nome in impronunciabile gaelico, una delle lingue più ostiche a cui uno possa pensare, una delle più antiche d’Europa, assieme al basco, difficile anche solo immaginarne una pronuncia corretta. Bron Yr Aur significa, probabilmente, collina d’oro, nel caso è però il nome di un cottage nel sud del parco Snowdonia in Galles che fu usato come casa per le vacanze dalla famiglia Plant prima, come base strategica dai Led Zeppelin poi, soprattutto per scrivere canzoni, molte delle quali finirono poi su “Led Zeppelin III”.

Avrei dovuto ascoltarli da adolescente i Led Zeppelin, invece ho tenuto molti dei loro dischi in naftalina sapendo che il momento per ascoltarli sarebbe poi arrivato. Come le notti insonni. E adesso che mi coglie la mancanza di sonno lascio espandere il loro suono nell’aria mentre attorno tutti dormono strangolati dall’afa. La leggendaria Les Paul di Jimmy Page ha un groove assolutamente magnetico, profonda e selvaggia la batteria di John Bonham e la voce di Plant ha smesso di risultarmi fastidiosa, per il suo inseguire gli acuti. Funziona. Però John Paul Jones rimane il componente che preferisco. Come al solito il talento occultato, il personaggio schivo eppure dal grandissimo talento, organista, bassista e, niente meno, direttore d’orchestra.

Ho sempre amato l’idea di chiudere la porta in faccia al mondo intero. Ho sempre amato l’idea di avere un rifugio, un posto impossibile da invadere, dove sono messe alla porta le brutture e le ingiustizie, dove tentare di tenere alla larga le paranoie. Di notte occorrerebbe allontanare ogni tristezza, dimenticare ogni malinconia, uccidere ogni paura e lasciarsi pervadere dal buio e dalla musica, ipnotizzati dal cielo spoglio del sole. Allontanare ogni cosa e ascoltare la propria interiorità, ma non quella infestata di fantasmi come capita di solito. Resistere all’assedio del mondo esterno, gioire delle cose belle, della musica, della libertà, che smette di essere un’utopia solo nei nostri pensieri… in quel modo raggiungere la collina d’oro. Isolati nelle proprie stanze, travalicare tempo e spazio, realtà e sogno… l’amore coagula sulle pareti, la poesia si comprime tra pavimento e soffitto, dalle finestre solo luce lunare e fulgida bellezza. Bron Yr Aur attende ogni sera.

Another time, another place

Ci sono posti lontani nello spazio e nel tempo nei quali avremmo voluto vivere ma, a causa dell’ anagrafe, non ci è stato possibile visitare o conoscere… personalmente ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto vivere principalmente in questi tre posti…

Praga, seconda metà del 1500: Da sempre affascinato dalla capitale boema, soprattutto durante il regno di Rodolfo II D’Asburgo. Praga è un luogo meraviglioso anche oggi, ma allora doveva essere assolutamente grandiosa, con una rinascita artistica, culturale, esoterica veramente affascinante. Poter calcare le stesse strade di Arcimboldo e vedere all’opera gli alchimisti, quando ancora molto della chimica aveva a che fare con la magia, registrare da vicino i cambiamenti di una città che di venta di giorno in giorno sempre più la capitale della bellezza e della cultura, non ha veramente prezzo.

Vienna, inizio del 1900: Un’epoca difficile, dura, inquieta, dove lo spettro della guerra rimane sempre nascosto dietro l’angolo, la paura è palpabile. E la decadenza che segurà la guerra, la fine di un impero millenario… soprattutto però la secessione viennese, il culto della bellezza che anima anime fiammeggianti di passione come quelle di Gustav Klimt o Egon Shiele, il fermento delle nuove idee, la voglia ed il coraggio di infrangere il perbenismo e la morale, contrapponendo semplicemente l’abbagliante bellezza di un corpo femminile, come le famose naiadi che mostrano le terga ai critici in “Pesci d’oro”. Un’atmosfera unica e ricca d’ispirazione, arte e svavillante meraviglia.

Londra, 1969: Il quinquennio ’68/’73 viene da molti identificato come fondamentale per la musica, per l’orgoglio giovanile per il rinnovamento culturale. Tuttavia, per quanto ne riconosca l’importanza e la valenza “Storica” non credo che mi sarebbe piaciuto così tanto nè prendere parte al maggio sesantottino a Parigi nè partecipare alla Summer of love a San Francisco, il mio posto sarebbe stato indubitabilmente Londra. Con gruppi come Pink Floyd, Led Zeppelin o anche la Jimi Hendrix Experience, protagonisti di uscite discografiche assolutamente memorabili, nonchè di concerti in città, mentre il famoso “concerto sul tetto” dei Beatles stava per avvenire e gli Stones prima o poi sarebbero pure tornati a farsi vedere. Senza contare il fatto più rilevante a livello personale: il 13 febbraio del 1970 usciva “Black Sabbath” amici miei… ed il 18 settembre “Paranoid”! Forse non sarei mai arrivato al 1971…

Oggi invece, se dovessi scegliermi una dimora credo proprio che sarebbe Stoccolma, la capitale svedese.

a band a day.

www.daily.band

Doom Charts

A one-stop shop for the best new heavy albums in the world

Nine Circles

We, The Blog

Sugli Anelli di Saturno

Camminare attorno al tuo pianeta

Shoegaze Blog

Punk per gente introversa

Less Talk.More Rock

ON THE SCENE SINCE 1994

miss mephistopheles

Satan Is A Lady

Head-Banger Reviews

Daily Reviews for the Global Domination of Metal and Rock Music

Un Italiano in Svezia

Le avventure di un emigrato

Drive In Magazine

International Arts Magazine

rockvlto

be rock be cvlt

Il Raglio del Mulo

Raccolta disordinata di interviste

neuroni

non so chi abbia bisogno di leggerlo

10.000 Dischi

I dischi sono tutti belli, basta saper coglierne gli aspetti positivi

Blast Off

How heavy metal reached the peak of its stupidity with me

Psychonly - ascolti, letture, visioni

Psychonly (... but not only psych)

Sull'amaca blog

Un posto per stare, leggere, ascoltare, guardare, viaggiare, ricordare e forse sognare.

Note In Lettere

Note in lettere, per l'appunto.

Blog Thrower

Peluria ovunque, ma non sulla lingua

Layla & The Music Oddity

Not only a music blog

.:alekosoul:.

Just another wanderer on the road to nowhere

Stregherie

“Quando siamo calmi e pieni di saggezza, ci accorgiamo che solo le cose nobili e grandi hanno un’esistenza assoluta e duratura, mentre le piccole paure e i piccoli pensieri sono solo l’ombra della realtà.” (H. D. Thoreau)

dirimpa.wordpress.com/

pensieri sparsi di una coccinella felice

Polimiosite: nome in codice RM0020.

La polimiosite è una malattia muscolare rara ancora poco conosciuta. Aiutami a informare e sostenere chi ne è affetto!!!

BASTONATE

Still Uncompromising Blog

metalshock.wordpress.com/

Brothers of metal together again

Words and Music

Michael Anthony's official blog and book site

Fumettologicamente

Frammenti di un discorso sul Fumetto. Un blog di Matteo Stefanelli

Appreciation of Trevor Dunn

Appreciation of Trevor Roy Dunn, composer, bass and double bass player extraordinaire.

Briciolanellatte Weblog

Navigare con attenzione, il Blog si sbriciola facilmente

laglorificazionedelleprugne

perché scrivere è anche questo

ages of rock

Recensioni e pensieri sulla Musica Rock di tutti i tempi

Fuochi Anarchici

Fuoco fatuo, che arde senza tregua. Inutile tentare di estinguermi o di alimentarmi, torno sempre me stessa.

fardrock.wordpress.com/

Ovvero: La casa piena di dischi - Webzine di canzonette e affini scritta da Joyello Triolo