Trent’anni di Rumore

La copertina del trentennale (fonte: rumoremag.com)

In questi giorni una delle poche riviste di musica sopravvissute celebra i propri trent’anni. Trent’anni: una di quelle cose che ti fanno riflettere per forza sul tempo trascorso. Non voglio scrivere uno di quei post vittimisti sul fatto che mi fa sentire vecchio, perché vecchio io non mi ci sento, però vale la pena ricordare. Ricordare che sentii per la prima volta nominare il giornale vicino alla stazione di Porta Nuova a Torino, da un ragazzo dal nome francese di Torre Pellice che faceva il politecnico come me. Io l’avevo notato perché aveva un’ amica bellissima della quale sapevo solo il nome ed il fatto che avesse i capelli rossi, di quelli in grado di brillare in mezzo ad un’aula di trecento persone. Ovviamente non ci scambiai mai nemmeno una parola e anche di quel ragazzo persi presto le tracce. Il giornale però lo presi, in più e più occasioni.

Mi ricordo anche che quel ragazzo, accennando a Rumore, mi nominò per la prima volta PJ Harvey, mi disse che suonava una “specie di Nirvana più indie e con la voce femminile”, fa sorridere a pensarci adesso, anche perché lo stesso Cobain disse in più di un’occasione di apprezzare molto “Dry”. In particolare una volta pubblicarono un’ illustrazione della sua canzone “Fountain” che mi perseguitò per tantissimo tempo, dando quasi forma ai miei pensieri più autodistruttivi, in un periodo veramente buio che non accennava a passare mai.  

Una canzone lacerante e bellissima che non smette di riaprire ferite

Spesso mi ci trovavo in disaccordo, non riuscivo a leggerlo nemmeno tutto (va detto che c’è sempre una gran quantità di contenuti), sapeva un po’ di critica a tutto tondo, era un po’ troppo generalista e saputello per i miei gusti. Però sicuramente era sempre fonte di riflessione, mi fece scoprire cose che non avrei mai sospettato di essere in grado di ascoltare (i Nine inch nails, per dirne una…) e la copertina dedicata a Kurt Cobain nel mese in cui morì la tagliai via e me la appesi in camera. Ci restò per degli anni. Leggere Rumore era un po’ come ampliare gli orizzonti, spesso troppo limitati da una sedicente fedeltà al proprio genere musicale preferito. Mi facevano anche arrabbiare parecchio, tipo quando glorificavano musica pessima tipo i fratelli chimici o quelli con punk nel nome ma che di punk non avevano proprio nulla, oppure quando si permettevano di criticare Electric Ladyland. Recensivano sempre dischi del mio genere musicale preferito, ma sono spesso gruppi che nessun altro tratta. Non ho mai capito perché ma era, a suo modo, affascinante come pure il fatto che ci scrivesse il bravissimo Claudio Sorge (e ancora lo fa…), che seguivo anche in radio nel suo spazio “Rumore 3: essi vivono” all’interno di Planet Rock, nientemeno che sulla rete nazionale.

Nella fase iniziale era coinvolto anche il mai troppo ricordato Marco Mathieu, che viene giustamente citato nel numero del trentennale, insieme con molte altre storie che sicuramente si possono accumulare seguendo il mondo della musica e le sue evoluzioni dal punto di vista editoriale. Interviste saltate, concerti in condizioni impossibili, litigi con i promoter, errori di ogni tipo, copertine uguali ad altre riviste, recensioni negative di dischi diventati poi epocali (mi ricordo una recensione di “Grace” di Jeff Buckley decisamente tiepidina per il gran disco che è o la stroncatura di “Ok Computer”), gruppi esaltati e poi rivelatisi fuochi di paglia… in trent’ anni ci sta tutto ed è giusto celebrarlo. Soprattutto è bello che ancora esista e resista.

Ultimamente acquisto una copia ogni tanto, quando vedo cose interessanti, ma stavo valutando l’idea di abbonarmi, tanto per andare controcorrente e per ricordare a me stesso che, oltre al formato fisico della musica, anche quello della rivista continua proprio ad avere tutt’un altro fascino.

Torino e i negozi di dischi

Ma che bella città!

Se abiti in Piemonte, prima o poi da Torino ci devi passare. Io ci arrivai con la musica, prima che fisicamente, nel senso che uno dei primi gruppi cui rivolsi l’attenzione furono i Negazione che a Torino ci sono nati e cresciuti. Non riuscendo a trovare i loro dischi, raccattai l’indirizzo di Marco Mathieu (forza Marco!) credo su HM e gli scrissi. Con mia grande meraviglia mi rispose di suo pugno e mi disse di imboscare i soldi in una lettera che i dischi me li avrebbe spediti lui. Ci rimasi di sasso, nella mia ingenuità gli scrissi anche due parole sulla mia vita privata e lui mi fece pure gli auguri per la scuola. Dopo un bel po’ di tempo i dischi arrivarono e fu subito amore per “Lo spirito continua”. Emblematicamente la canzone in cui mi rispecchiavo di più era “Niente” quella scritta da un giovane Roberto Farano che prende il tram da mirafiori e passa in rassegna tutto il panorama della città senza trovare niente su cui posare lo sguardo, niente che fa per lui. Io ero uguale, non mi rispecchiavo in nulla, mi sembrava che niente facesse per me e, molto spesso, è così ancora oggi.

Torino non era e non è certo Milano. Il suo carattere austero, la sua aura industriale e dura come un metallo temprato si percepiscono da subito. Ma col tempo si ammorbidisce e mostra il suo lato migliore, ha un carattere diffidente richiede tempo per entrare nelle sue logiche ma poi ti fa sentire a casa. Non ha il cuore in mano, ma ce l’ha. Non ha la madonnina bensì una stella sulla punta della mole, probabilmente è anche meglio.

Quando ci arrivai da universitario, per me era un mondo nuovo. Il mio sguardo, al contrario di quello di Tax, si perdeva dappertutto, le mie energie si disperdevano in mille direzioni, quasi mai in direzione del Politecnico. Non che avessi trovato la mia dimensione, su quella ho molti dubbi tutt’ora, ma avevo molte più strade da esplorare. Come quando andavo di nascosto alle lezioni di Vattimo a Palazzo nuovo (una volta mi interrogò pure), oppure quando uscivamo la sera guardandoci sempre le spalle a vicenda da bravi provinciali con la strizza incorporata, o magari tentavo la fortuna a titanici concerti come quelli dei Cure nel ’92 al palasport, dei Metallica al Delle Alpi o degli U2 durante il tour di Zooropa (quella sera chiamarono pure Agnelli al telefono). Molto più inevitabile fu gettarsi a capofitto nei negozi di dischi di allora nella ex-capitale d’Italia e, visto che è un settore pesantemente in crisi al quale tengo molto, con questo post continua la rassegna dei negozi di dischi che furono, perché quei luoghi meritano di essere ricordati.

Posto senza nome nel sottopasso di porta nuova: La memoria mi tradisce in quanto non sono più in grado di ricordarmi il nome del posto ma fatalmente, essendo vicino alla stazione, era il primo posto che ti saltava agli occhi. Era ottimo soprattutto perché aveva tantissime offerte riguardanti i dischi storici, chessò i dischi dei Black Sabbath in CD li ho presi lì e a dei prezzi stracciati. Era un buggigattolo ma strapieno di roba in offerta con anche dei cofanetti e delle edizioni ultra-economiche, una sezione poster e le vetrine (che erano la vera rovina del passante) lungo tutto il sottopasso: alla fine ti aspettava il negozio, come un ragno attende la preda nascosto alla fine della ragnatela.

Bancarelle varie: Questa è una bella e caratteristica modalità tutta torinese di vendere libri e dischi usati. Se ne trovavano in diversi posti. Mi ricordo soprattutto nei portici vicino a palazzo nuovo (queste credo ci siano ancora), in quelli vicino alla stazione di porta nuova e porta susa, proprio vicino a quest’ultima c’era la “Bancarella del Gorilla” forse quella più fornita del lotto e con gli articoli in condizioni migliori. Oggi molto di quello spirito si ritrova in Materiale Resistente negozio multimediale sempre in via Po.

Pagan Moon: Il nome potrebbe già dire tutto, vedi Sound Cave a Milano, Helvete a Oslo e via discorrendo. Se non ricordo male era sito in via San Massimo e gestito da un ragazzo costantemente rasato a zero. C’era anche una piccola etichetta indipendente correlata: tutto ovviamente incentrato sull’occulto e sul Black Metal, il ragazzo veniva anche al Babylonia con una bancarella in occasione dei concerti a lui musicalmente più affini, con buon assortimento anche di roba decisamente underground, anche se nulla di paragonabile all’omologo milanese per assortimento, si difendeva abbastanza.

Vero vinile: Impossibile ricordarsi la zona dov’era ubicato ma era leggermente decentrato. Specializzato in hardcore punk, ci si trovavano dei bei vinili tra cui anche dei pezzi da collezione. Atmosfera di sincero cameratismo. Non so se sia ancora attivo.

Zona vendita del CS El Paso: Per chi non lo sapesse l’ El Paso è il centro sociale n.1 di Torino almeno per quanto concerne il punk. È un ex- asilo ed è anche il più fantasioso artisticamente parlando tra murales e sculture post- industriali, negli anni si sono succeduti tantissimi concerti ed eventi culturali. C’era una sezione particolare con CD e Libri autoprodotti, tutta roba che difficilmente si trova in giro e rigorosamente fuori dai circuiti ufficiali.

Maschio:  Storico negozio in piazza castello, chiuso da anni, di dischi e strumenti musicali, sembrava un po’ analogo alla Ricordi di Milano, salvo che non apparteneva a nessuna catena era un negozio a se stante ed è stato uno dei primi negozi nei quali ho messo piede trovandoci “Collection 1” dei Misfits, gruppo che non ero mai riuscito a reperire a Biella. Da quel momento partì il risparmio volto al completamento della discografia, mi vennero gli occhi a cuoricino immediati…

Videomusic: Altro negozio storico di via Po che ha segnato il passo ormai da qualche anno. Specializzato in merchandising, ci si trovavano tranquillamente anche dischi, CD, VHS, DVD. Era bellissimo perché aveva della cianfrusaglia veramente originale e stravagante, oltre alle classiche magliette, toppe etc. Ci feci un salto la prima volta con un amico che frequentava filosofia, restammo inebriati dall’incenso e finimmo i soldi che avrebbero dovuto bastarci per una settimana. Penso avessero un tipo di incenso particolarmente interessante.

Rock and Folk: La storia dei negozi di dischi di Torino passa necessariamente da Via Bogino, perpendicolare di via Po. Niente da fare, rock and folk nonostante gli anni rimane il capostipite dei negozi di dischi di Torino, con le sue caratteristiche buste con dentro le fotocopie delle copertine dei CD. I dischi più impensabili li ho trovati qui nel corso del tempo. Ottimamente forniti, forse per evitare la crisi hanno cominciato a tenere anche action figures e cianfrusaglie varie, ma se passate da Torino e cercate un disco è il primo posto da visitare.

Il faccione di Frank Zappa da sempre capeggia nell’insegna di Rock and folk

Cosa starà facendo?

Non chiedetemi per quale motivo ma Roberto “Tax” Farano ha sempre suscitato in me e nel mio compare di avventura e concerti un fascino particolare. Certo era il chitarrista dei Negazione, aveva un volto che abbiamo sempre considerato particolarissimo, girava il mondo in furgoni scalcagnati, era vissuto in una Torino aspra, quella a cavallo tra i settanta e gli ottanta… ma non era solo questo. Avevamo preso anche a storpiarne il nome (ci perdoni) in qualcosa di onomatopeico che suonava circa come “tazfarrein” o “tazzefarrein” (pronunciato rigorosamente al rallentatore) e spesso c’era un ritornello che si ripresentava: “chissà cosa starà facendo tazfarrein?”. Non che volessimo fare gli stalker o altro, semplicemente in certi momenti finivamo col chiederci dove potesse essere e cosa stesse facendo, così senza motivo: saltava fuori la domanda e basta.

A forza di chiedercelo un paio di volte la nostra curiosità è stata soddisfatta: abbiamo avuto l’onore di incontrarlo in maniera del tutto fortuita. La prima volta all’ auditorium RAI di Torino per il concerto del tour di “Lament” degli Einstürzende Neubauten: non potevamo credere che ci fosse passato davanti e soprattutto non potevamo non salutarlo. L’Oltranzista pretese di lavarsi le mani prima di andare a stringergliele! Fu una cosa che ci fece un enorme piacere e sperammo di non averlo infastidito più di tanto.  La seconda volta ad un concerto di MGZ all’ Hirosgima Mon Amour. MGZ è un nostro eroe da sempre e come non ricordare in questa sede delle hit fantastiche come “Muovete le manine”, “Sempre più veloce”, “Sopravvivo senza un motivo” o “La belva del condominio”? Ma a parte questo ero ben consapevole che fosse in contatto con tazfarrein visto che al mio primo concerto in assoluto dei Negazione (e della vita) al “2” di Cigliano sul palco c’era anche lui che protestava vistosamente perché qualcuno gli aveva rubato la coda. oltre al fatto che, naturalmente, sono collaboratori di lunga data.

Ebbene, a distanza di pochi mesi, rieccolo li, al bancone dell’ Hiroshima, questa volta ci vede lui e ci saluta e noi restiamo quasi di sasso. Avevamo smosso delle energie cosmiche con il mostro tormentone? Resterà un mistero ma qualcosa ci fa sperare di avere dei poteri sovrannaturali.

Tutto questo per dire che Area Pirata ha ristampato “Voglio di più”, secondo lavoro degli Angeli. Chiedersi “chi sono gli Angeli” è come chiedersi “Cosa starà facendo tazfarrein” dopo i Negazione e la collaborazione con i Fluxus (assieme all’altro transfuga Marco Mathieu a cui va sempre un pensiero di speranza e forza) che aveva prodotto il bellissimo “Non Esistere” cosa poteva mai fare? Creare un nuovo gruppo e questi sono gli Angeli.

Nati dalla collaborazione con Massimino Ferrusi (e Marco Conti al basso), diedero alle stampe il primo album intitolato come il nome del gruppo e cantato in massima parte in inglese. Il tocco del nostro è sempre pienamente presente, il suo suono di chitarra si impone subito all’attenzione, ma le sfumature sono più varie che in passato e Farano sfodera una bella voce abrasiva in contrasto con lo stile urlato di Zazzo Sassola che aveva caratterizzato i Negazione e anche con il timbro particolare di Franz Goria nei Fluxus. Ne risulta una miscela interessante che non rinnega le proprie origini HC ma aggiunge delle componenti in più che troveranno una forma compiuta nel secondo lavoro, quello oggetto di ristampa.

Rilasciato all’ inizio del ’99 dopo aver chiamato Luca Marzello in qualità di bassista, ritorna al cantato in italiano ed inizialmente lascia un minimo spaesati: i testi sembrano ingenui e fin troppo naif e quasi incastrati a forza nelle metriche delle canzoni. Dopo alcuni ascolti però, una volta abituati alla madrelingua, il disco mostra appieno il suo valore.  E allora la soddisfazione prende corpo nell’ascoltare l’impatto iniziale della canzone che dà il titolo al disco, l’assalto esplosivo di “Vivo”, la melodia di “Con le mie scuse”, lo sconfinamento nel metal dell’unica traccia cantata in inglese “Breakfast in hell”. A distanza di 22 anni ritorna un disco assolutamente da riscoprire. Chi c’era lo sa già, gli altri si facciano sotto e gli rendano giustizia come merita! Noi ci chiederemo ancora “chissà cosa starà facendo tazzefarrein?” Ma adesso ne sappiamo un po’ di più e, soprattutto, qualsiasi cosa stia facendo gli si vuole bene!

Per noi chiedersi cosa starà facendo tazfarrein è un po’ come chiedersi dove vanno le anatre in inverno a Central Park quando il lago ghiaccia.

Accade a marzo 2021

Il mese inizia con una notifica di Facebook mi ricorda che il 6 di questo mese ricorre il compleanno di Marco Mathieu, caduto in coma ormai diverso tempo fa a seguito di un ictus che lo colse nel 2017 mentre era in vespa. Il bassista dei Negazione fu il primo musicista a cui scrissi una lettera che forse ancora non ero maggiorenne. Ci sono molto affezionato perché mi rispose a mano (!!!) e fu davvero un grande facendomi anche gli auguri per la scuola. Inoltre poco dopo li vidi in concerto e fu il primo vero concerto visto in solitaria (seppur con il provvidenziale passaggio genitoriale) che finì per cambiarmi la vita. Non ho potuto fare a meno di rivolgergli un pensiero di speranza, seppur velato dal tempo trascorso dal suo incidente che ormai comincia ad essere veramente tanto. Mi resterà sempre nel cuore, la sua musica e i suoi scritti; mi rammarico ancora di non aver avuto l’opportunità di accedere al suo lavoro su Socrates.

Lo spirito continua, Sempre!

Il giorno 8 irrompe la notizia del decesso di Lars Goran Petrov, storica voce degli Entombed.

Lars Goran Petrov (1972-2021) Fonte Wikipedia

Ho dovuto trasgredire alla mia regola autoimposta di non partecipare al carrozzone di cordoglio che di solito si scatena sul web, perché l’estate del 2007 è un ricodo ancora vivido nella memoria. Dopo anni di attesa finalmente posso permettermi un viaggio in nord Europa, e per i quattro anni successivi sarà una costante delle mie estati. Scelgo subito Stoccolma, che diverrà a buon titolo una delle mie città preferite. Appena arrivato mi guardo attorno come un animale randagio, il posto mi sembra da subito troppo bello per essere vero. Fatico ad integrarmi: c’è un sole splendente ma non fa caldo anzi, l’aria è frizzantina e si sta benissimo, la gente sorride, il Baltico è a due passi e mi sembra di non aver bisogno d’altro. Solo i prezzi mi fanno rabbrividire e la prima sera mangio una pizza da asporto fatta dai turchi in un parco cittadino. Torno all’ albergo dicendomi che quella sarà la mia casa per i successivi 15 giorni. Mi basta questo.

Il secondo giorno mi fiondo a Gamla Stan, il centro medioevale della città con l’idea di girarmi tutti i suoi vicoli e vederla tutta. L’ idea naufraga clamorosamente quando vedo l’insegna di Sound Pollution, storico negozio di dischi in centro, patria della musica estrema. Entro con una maglietta degli Unearthly Trance e il commesso mi fa i complimenti: più a casa di così… I dischi alla fine non sono poi così cari (provate a farvi una birra per ridere) alla fine però esco con un libro “Swedish Death Metal” di Daniel Ekeroth, storico libro sulla scena svedese con Entombed, Grave, Dismember e Unleashed in primissima linea. Sarà la lettura che accompagnerà l’intera vacanza con tanto di sopralluoghi nei posti citati nel libro: Il punto di ritrovo alla stazione centrale, il cimitero di Skogskyrkogården (patrimonio dell’ Unesco e protagonista della storica foto interna di “Left Hand Path”), qualche locale citato (anche se i nostri non potevano ancora entrarci in quanto sotto ai 21 anni), i Sunlight Studios etc… A quel punto mi sento veramente a casa, Sebbene in giro non ci sia il minimo sentore di Death Metal, respiro la stessa aria dei protagonisti e ne sono felice. Posso girarmela tutta la città e scoprire che è bellissima, trovare il più accogliente ristorante vegetariano di Stoccolma (l’Hermitage a due passi dal Sound pollution, spero ci sia ancora: erano tutti gentilissimi), girare per i musei (Il veliero Vasa, il museo civico, quello di storia naturale… ho saltato quello degli Abba), visitare la torre comunale.

Questo per dire che la scena svedese fu davvero qualcosa di unico ed importante, qualcosa in grado di smuovere le persone ed aprire nuovi orizzonti. Il tape trading allora era davvero qualcosa di avventuroso e romantico, magari facevi chilometri per incontrare una persona sentita solo per lettera partendo armato solo di passione e fiducia, oppure contattavi uno studio di registrazione perché ti aveva catturato quel suono e partivi all’avventura perché volevi registrare lì e finivi per tornare in quel posto in vacanza perché avevi stretto delle amicizie lassù. Gli Entombed ebbero una parte fondamentale in tutto questo e LG Petrov era una parte fondamentale degli Entombed, l’unico a non mollare fino alla fine, fatta salva una parentesi di scazzo con il mastermind Nicke Andersson a causa (pare) di una ragazza all’ epoca di “Clandestine”. Un personaggio schietto e reale che dava il 100% ed oltre sul palco, un puro concentrato di attitudine e metal, che ho avuto l’onore di vedere in azione al Master of death metal e a Rossiglione nel festival organizzato sa Trevor dei Sadist all’epoca. Una perdita tristissima e incommensurabile per chiunque abbia amato quella scena e anche quel paese meraviglioso che è la Svezia.

Al sound pollution sono tornato altre volte, in una occasione acquistai anche Serpent saints con relativa magletta omaggio che resiste tutt’oggi dal 2007!

Non escludo il ritorno

Califano

Non mi piace Califano, ma quando ho saputo che sulla sua tomba c’era scritto “non escludo il ritorno” ho pensato che la citazione fosse perfetta per tornare dopo mesi di silenzio… che questo significhi qualcosa non lo so. Amo il blog e mi piace scriverci, ma sono terribilmente a corto di: tempo, ispirazione, vista, energia, pazienza e altro.

Quindi i mesi se ne sono scivolati via dall’ultimo post su Marco Mathieu, per quello che ne so io le sue condizioni non sono migliorate. Io non mollo la speranza: ora e sempre tieni duro Marco!

Detto questo sono tornato su queste pagine solo per lasciare la classica classifica di fine anno, ammesso che qualcuno la voglia leggere e che a qualcuno interessi.

10. ALL PIGS MUST DIE: “Hostage animal”

Una sana dose di violenza messa in musica. Io ne ho sempre bisogno, un canale per la rabbia, per la tensione che si accumula, finalmente senza che ogni riff sia telefonato e prevedibile. E Ben Koller, un batterista enorme.

9. IRON MONKEY “9-13”

Un altro gruppo che non scherza. Vent’anni cancellati, un cantante di meno con tutti i dubbi che possono venire e che si allontanano via via con l’ascolto di un disco marcio e roccioso al tempo stesso. Ritornare sulla scena senza tradire il proprio passato non è cosa da tutti.

8. Telekinetic Yeti “Abominable”

Grande esordio per questi americani dagli amplificatori fumanti, una piacevolissima sorpresa e nebbia aromatica che si alza da ovest.

7.Crystal Fairy “Crystal fairy”

Dopo aver amato le Butcherettes di “A raw youth”, potevo perdermi il supergruppo con i Melvins, il tipo degli At the drive in e Teri Gender Bender? No. Il disco è grande, cresce con gli ascolti e surclassa alla grande l’ultimo Melvins fin troppo influenzato dal risibile nuovo bassista che si spera venga issofatto licenziato dal duo. Forse un progetto nato morto, chissenefrega.

Se vi fosse venuto il dubbio ascoltando “A walk with love and death” no non si sono rincoglioniti e sì ritorneranno alla grandissima!

6. Godspeed You! Black Emperor “Luciferian towers”

Il Canada dovrebbe essere fiero di questi suoi figli sovversivi e traboccanti di lirismo e magia (dal vivo poi sono da lacrime a scena aperta). Una conferma incontestabile.

5. Electric Wizard “Wizard bloody wizard”

Dorset will rise again. Dopo innumerevoli cambi di formazione, tour svogliati e quasi casuali nelle tempistiche e nei luoghi, dischi quasi sporadici e quant’ altro, alla fine ce la fanno sempre a tornare. Io ne ho bisogno di Jus Oborn e anche di Liz Buckingham, del loro immaginario satanico settantiano da fumetto porno di infima qualità, delle loro fumate bianche, delle loro SG vintage e degli amplificatori in fiamme. Al diavolo ogni remora, ci vediamo all’inferno: portate le birre, farà caldo!

4. Converge “The dusk in us”

Altro giro altro ritorno. I Converge sono dei grandissimi e quando, tra mille impegni, trovano il tempo di far uscire un disco nuovo è sempre una festa per le orecchie di chi scrive. Assolutamente brutali, certamente intensi, incredibilmente mai banali. La perfezione del concetto di “evoluzione sonora” assieme ai mai troppo lodati Neurosis. E Ben Koller, assieme a Nate Newton, Jacob Bannon e Kurt Ballou. Non serve altro.

3. Edda “Graziosa utopia”

Volevo metterlo come menzione speciale per il disco più ascoltato dell’anno. Invece no, ho deciso di trovargli una posizione nella classifica e basta. Questo è il disco italiano dell’anno, almeno per quanto mi concerne. E non mi importa se non c’entra nulla con gli altri. Le canzoni sono geniali e sorprendenti, i testi irriverenti e a doppio fondo. Lui rimane una spanna sopra la melma e una persona assolutamente grandiosa. Come si fa a non volergli bene?

2. Unsane “Sterilize”

NYC. Il suono dei nervi tesi: urbano, opprimente, denso e viscoso. Se Chris Spencer, Dave Curran e Vincent Signorelli avessero deciso di smettere dopo il pestaggio di Chris non avremmo mai avuto “Visqueen” e “Sterilize”, non avremmo avuto concerti intensi e devastanti come quello del Magnolia lo scorso ottobre. Una telecaster nera dal manico violentato fino a spremerne sangue. Enormi.

1. Chelsea Wolfe “Hiss spun”

La sacerdotessa dell’ inquietudine rilascia il suo disco più intenso. Rimpinzata ad oscurità e tenebre, avanza strisciando verso l’ascoltatore ammutolito dai suoni grevi nell’aria. Non lascia respiro, stringe le spire, smuove la tela, corre in contro al baratro. E lo fa con una grazia inaudita. Io l’adoro.

In calce un ringraziamento a chi passa di qui dopo tutto questo tempo.

Vi regalo due chicche forse mezzo sconosciute:

Di una vi ho già parlato ( e lo ha fatto anche Neuroni): LOMAX

Una incontrata dal vivo al concerto di un gruppo di amici: TOTEM

Avessi un’etichetta li farei firmare io…

16 Luglio 2017

Più di un mese e mezzo. E ancora non ci credo. Seriamente, la notizia dell’incidente stradale occorso a Marco Mathieu quel giorno mi arriva dopo aver visto messaggi e foto sue ovunque su Facebook. Doveva essere successo qualcosa ma mi prese una frenesia tale che continuavo a pigiare sullo schermo senza che fossi in grado di capire bene cosa fosse successo. E poi ho capito: lo storico bassista dei Negazione era stato vittima di un grave incidente stradale che lo aveva ridotto in coma.

Non riuscivo a crederci. Un fulmine a ciel sereno. Fino al giorno prima leggevi dei suoi libri, delle sue partite a calcio degli articoli del film su Socrates… pochi mesi prima c’era stato addirittura stato il lancio del box antologico dei Negazione in vinile, voluto dall’etichetta indipendente toscana Contempo: sembrava più attivo e vivo che mai. Ora questo. Tutt’oggi le sue condizioni non sembrano essere molto evolute, dalle poche parole intercettate qua e la,  tutto ciò che si può fare è mandare a lui ed ai suoi cari tutta la positività possibile. E sperare che le sue condizioni finalmente migliorino, che lui si svegli e finalmente sorrida per tutti coloro che gli vogliono bene. In primis la sua famiglia ed i suoi affetti (compresi i “fratellini” Tax e Zazzo) e poi anche, in disparte, per tutti quelli che sono cresciuti grazie alla sua musica. Tra questi, con la dovuta modestia, mi ci metto anche io.

Ho già espresso molte volte la riconoscenza e l’affetto che mi lega al gruppo Torinese. Ho già detto che furono il primo gruppo che vidi “consapevolmente” a 16 anni con mia madre che mi accompagnò in macchina, che le orecchie mi fischiarono tre giorni, che quel concerto ed il loro modo di essere mi cambiarono la vita. In meglio. Non ho abbastanza parole per esprimere la mia gratitudine: quando non riuscivo a trovare i loro dischi (la fine degli anni ’80 era un periodo duro in provincia) gli scrissi una lettera e mi rispose come se fossi un amico, mi fece anche gli auguri per la scuola. Ero quasi sconvolto dalla sua disponibilità e gentilezza. Gli mandai dei soldi imboscati nella carta carbone e pochi giorni dopo i loro dischi irruppero nella mia vita. Ci misi un po’ a recepirli e ho ancora davanti un po’ di tempo per ascoltarli.

Spero che anche a Marco di tempo ne rimanga ancora tanto davanti e che lotti per la sua vita con tutto se stesso. Se serve dirlo i miei pensieri ed il mio cuore sono con lui.

FORZA MARCO!

NEGAZIONE17

Il giorno del sole!

Negazione- Il giorno del sole

E’ uscito ufficialmente il 30 giugno ma io ne sono entrato in possesso solamente oggi. A circa 20 anni dal loro scioglimento i Negazione sono ritornati sul luogo del delitto per raccontare un’esperienza meravigliosa, la storia di un’amicizia che racchiude mille altre amicizie, la storia di un gruppo che ha segnato indelebilmente la scena Hardcore italiana, ed è senz’altro riduttivo dire così poichè si sono mossi attivamente su molti fronti europei: Olanda, Germania, ex-Jugoslavia, Spagna, Francia, Inghilterra e chissà dove altro…  anche in termini musicali. Per me, che li ho conosciuti dopo il loro periodo qui raccontato, rimangono il simbolo del fatto che qualcosa di ispirato, passionale e diverso può effettivamente uscire anche dall’Italia.

Parlarne senza sentire dei brividi per me è quasi impossibile: intrattenni un rapporto epistolare con un paio di loro, mi tennero a battesimo in quanto a concerti, le loro canzoni sono state una colonna ideale della mia adolescenza (“Niente”, il cui testo venne pensato da Roberto Farano mentre andava in centro da mirafiori era una sorta di inno) e… beh come avrete intuito hanno rappresentato davvero tantissimo per me, ed i brividi di cui sopra mi impediscono di parlarne con distacco: i Negazione non sono un mero argomento di discussione, un gruppo o una serie di dischi, rappresentano un periodo, un modo di aprire gli occhi su un mondo del quale cinque minuti prima si ignorava anche solo l’esistenza ma che poi non ti abbandonerà più finchè vivi.

Leggendo il libercolo allegato mi è passato davanti tutto questo e molto altro, ho conosciuto molto della loro storia che, essendo arrivato in ritardo, non potevo conoscere e quello che già faceva parte delle mie conoscenze l’ho ripassato con un sorriso tra le labbra. Tra le altre cose “Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi”… ho tentato per anni di dare un senso a questa canzone (il cui giro di basso -Rickenbacker- poi non mi abbandona per ore dopo che l’ho sentito) per scoprire che si trattava della semplice trascrizione di un sogno (credo si tratti di una cosa unica per un gruppo HC) e saperlo mi ha praticamente fatto lo stesso effetto di aver cercato per anni una spiegazione ai film di Lynch (“Mullholland drive” su tutti) per scoprire che alla fine vanno accettati per quello che sono: poesie oniriche.

A più di un anno dalla scomparsa del loro batterista Fabrizio Fiegl (che rimane sempre nella memoria) una dedica era doverosa ed un ricordo con la mano sul cuore anche da parte mia che, purtroppo, non l’ho mai visto esibirsi…

La Vittoria Della Sconfitta

 

Non sprecare parole e sorrisi per me

Io conosco già la fine del libro

Non mi serve addolcire il dolore

Perchè io ho perso

Ho già scelto la sconfitta

La vittoria della sconfitta

Quante volte ancora mi mostrerete

Che questo posto non è il mio

In ogni istante ad ogni occhiata

In ogni pensiero a ogni azione

Sempre

Fino a quando creperò

Davanti a qualche vostro palazzo

In ginocchio, con il corpo distrutto

Ma con la mente attiva

Perchè l’odio rimane

Quando mi chiedete perchè

Mi fate ancora più schifo

Io odio la vostra ipocrisia

Io voglio e non chiedo perchè

Conosco già la risposta

Troppe volte il bello diventa brutto

Troppe volte soffro

Troppe volte

Non sprecare parole e sorrisi per me…

testo: Fabrizio Fiegl, musica: Roberto “Tax” Farano e Negazione

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Fuochi Anarchici

Fuoco fatuo, che arde senza tregua. Inutile tentare di estinguermi o di alimentarmi, torno sempre me stessa.

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Ovvero: La casa piena di dischi - Webzine di canzonette e affini scritta da Joyello Triolo