Melvins
Il punto della situazione sui Melvins ed il nuovo dei Tomahawk
Capitolo 1: Melvins (1983)
Ammetto di essere giunto alla nuova pubblicazione di casa Osborne/Crover estremamente prevenuto. Gli va dato atto di essere uno dei gruppi che continua a lavorare più sodo dell’intero panorama, gli va dato ancora atto di essere rimasti per anni in cima alla lista dei personaggi indipendenti ed indecifrabili, con una cifra artistica invidiabile, almeno fino alla dipartita della “sezione ritmica aggiunta” dei Big Business. Poi il caos: la formazione, che comunque non è mai stata stabile, diventa caotica con un andirivieni di personaggi che si susseguono al basso e la pubblicazione continua e ostinata di almeno un disco all’anno più i progetti solisti. Obbiettivamente mantenere un elevato standard qualitativo in queste condizioni sarebbe difficile per chiunque, a maggior ragione se hai tra i 25 e i 30 anni di carriera alle spalle. Oltre a questo aggiungete l’arrivo di un bassista (il pagliaccio Ronald ehm… Steven McDonald) che proveniendo da uno dei gruppi più mosci di sempre (i Redd Kross, già dal nome uno ci potrebbe arrivare, ma suonano come una versione asfittica degli Who, che è tutto dire) ne influenza negativamente la vena fino a portare a quello che, per chi scrive, è il loro peggior album di sempre ovvero l’infame “A walk with love and death” che per quanto mi riguarda ha la sinistra caratteristica di far suonare i Melvins come un gruppo rock “convenzionale” cosa che è una bestemmia in termini.

Qua e là ci sono anche state cose divertenti e pregevoli: il simpatico “Tres Cabrones”, il cazzutissimo progetto “Crystal fairy” (assolutamente da recuperare!), “Hold it in”… e qualche canzone qua e là da tutto il resto. I progetti solistici in vero risultati piuttosto deludenti del duo (fatto salvo che il primo di King, del 2014 se mi ricordo correttamente, invece era assai godibile) e, come al solito, un’intensa attività live fin quando è stato possibile li hanno portati fin qui. L’ultima Fatica “Pinkus Abortion Technician” era un lavoro eterogeneo, solidamente radicato negli anni ’90, un disco che riprendeva in mano molte delle atmosfere musicali che si era soliti respirare allora, non era del tutto disprezzabile. Però ancora sembrava piuttosto fragile: parlando dei Melvins quello che si è soliti ricordare, al netto di stranezze e divagazioni che pure sono una parte importante della loro produzione musicale, sono i riff massicci e pesanti di Buzz (per chi scrive uno dei migliori riff master dopo il supremo Iommi), la potenza ritmica di Dale, assolutamente eclettica nel suo essere pachidermica. Ecco questo era fatalmente venuto a mancare. Oggi, come al tempo dei Cabrones, recuperano Mike Dillard dalla loro formazione storica e provano a ripartire. E ci riescono molto più che in passato. Finalmente dei brani possenti e trascinanti, finalmente un lavoro continuo e che fila con pochi cedimenti (“Hot Fish”?) , finalmente il vocione di Buzz che sale in cattedra a trascinare il gruppo con verve ritrovata e fresca, all’altezza del loro blasone. Dale prende in mano il basso e lascia la batteria al loro compagno storico e la differenza quasi non si sente. Personalmente avevo bisogno di un disco come questo, avevo bisogno di rinfrancarmi con uno dei miei gruppi preferiti. Finalmente segato, in maniera spero definitiva, il ramo marcio McDonald riecco i Melvins con l’attitudine da sberleffo che li ha sempre caratterizzati, si vedano l’omaggio ai Beach Boys di “I fuck around” e “1 Fuck you”, ma soprattutto riff che ti colpiscono come un autotreno a 100 all’ora vedi “Negative no no”, “Boy Mike” o “Hund”.
In conclusione: È meglio della trilogia Atlantic? Nemmeno per sogno, meglio di quella Ipecac? Nemmeno si avvicina. È alla loro altezza? Finalmente sì!
Capitolo 2: Tomahawk
Mike Patton, Kevin Rutmanis, John Stainer e Duane Denison. I nomi potrebbero bastare ma spesso la somma di grandi cifre produce un’addizione dagli scarsi risultati. Non è questo il caso: almeno per i primi due lavori (e soprattutto per l’oscuro “Mit Gas”) possiamo sicuramente parlare di lavori riusciti ed efficaci. Per quanto concerne gli altri due (“Anonimous” e “Odd Fellows”) la curva pareva in fase discendente seppur non in caduta libera; alla fine la classe ed il mestiere dei singoli riesce nell’intento di farli galleggiare anche se appaiono un po’ spenti rispetto alla prima parte della carriera. C’è da dire che quando Patton trova un contesto in un gruppo (come è successo con i Mr. Bungle l’anno scorso) effettivamente funziona meglio. L’attitudine con i piedi per terra di un classico gruppo a quattro elementi gli impedisce di pisciare fuori dal vaso, come in altri contesti forse un po’ forzati (vedi quando gorgheggia inseguendo Luciano Berio). I suoi fan ormai sono abituati a tutto, vedi anche quando si mette a rifare, rivaleggiando con gli originali in modo assolutamente sorprendente, i classiconi della musica italiana anni ’60 con il progetto Mondo Cane o quando collabora con compositori norvegesi come con Kaada, quindi qui si gioca sul facile.
Il nuovo lavoro, riprende la classica atmosfera allucinata e sbilenca propria dei Tomahawk, seppur in maniera più rocciosa e solida che nell’immediato passato. Il primo estratto da “Tonic immobility”, “Predators and scavengers” funziona alla grande ed è un’ottima iniezione di fiducia nel nuovo materiale. I nostri sembrano tornati in piena forma, forse più concreti che in passato.
E alla fine il disco scivola via piacevole con anche degli episodi che si muovono su territori meno canonici come la triade “Eureka” (forse un rifermento alla città di origine di Patton?), “Sidewinder” dove per un attimo riappare il crooner e “Recoil” o, ancora, “Doomsday fatigue”. In definitiva un buon rientro, sicuramente scorrevole e coinvolgente.
2018
Immancabile appuntamento con la playlist di fine anno e quest’anno me la risolvo così:
10. Einstürzende Neubauten: Grundstück (ok è una riedizione ma è comunque un evento!)
9. Melvins: Pinkus abortion technician
8. Cani Sciorrì: Parte I
7. Storm(o): Ere
6. Fluxus: Non si sa dove mettersi
5. Voivod: The wake
4. High On Fire: Electric messiah
3. Messa: Feast for water
2. Clutch: Book of bad decisions
1. Sleep: The sciences
Concerto dell’anno: Sleep a Milano
Ciofeca dell’anno: Corrosion of Conformity (giuro che non riesco ad ascoltarlo!)
Jail has the wrong kind of bars!
“Volete sapere perché sono uno str***o?”
“Questa è una piccola storia… allora, io non ho mai saputo NULLA dei Faith No More, si beh “you want it all, but you can’t blah blah blah” “we care a lot blah blah”, non molto più di questo in realtà. Però avevo sentito i Mr.Bungle e Mike Patton mi aveva invitato a suonare nei FantÔmas, sicchè un giorno ci ritroviamo assieme nel backstage ad aspettare di salire sul palco io e gli altri FantÔmas.
Ascoltiamo la musica di sottofondo, parte “War Pigs” e io… (comincia a fare facce disgustate) io non riesco a trattenermi dal dire “chi… chi ca**o… chi ca**o ha fatto la più mer***a versione di “War Pigs” che io abbia mai sentito???”
(a questo punto qualcuno -a voi indovinare- dall’audience esorta: “Suona War Pigs”! E lui risponde “Su dai, una cover per serata è sufficiente”! aveva appena eseguito, infatti, “The ballad of Dwight Fry” di Alice Cooper dicendo che se non ci fosse piaciuto Alice il concerto finiva lì)
Trevor Dunn sussurra a denti stretti “…stai zitto idiota!” ma Mike resta calmo…
Tempo dopo ci ritroviamo a suonare di supporto ai Mr. Bungle e ogni sera è un disastro! Ci odiano per il solo fatto di essere lì. Una sera in particolare ci ritroviamo a suonare al (qualcosa) Circus, con il palco circolare. C’è gente che ci odia da tutte le parti e, badate, non li abbiamo insultati provocati o altro. Ci odiano e basta: volano bottiglie insulti e tutto quanto.
E’ vero massacro, ma finiamo la scaletta e andiamo nel backstage. Mike, arrabbiato nero, requisisce la scaletta ai Mr. Bungle e gli consegna un foglietto con scritto: LORO LA PAGHERANNO! Io penso: “rimarrò qui in giro, voglio proprio vedere cosa succede!”
I Mr. Bungle salgono sul palco e sommergono tutti con rumore bianco e urla ad un volume devastante. I fan si guardano stupiti; dopo 20 minuti di devastazione sonora hanno una faccia a metà fra lo sconvolto ed il sofferente eppure resistono, si ripetono: “non so perché lo sta facendo ma è Mike, devo resistere!”. A quel punto Mike si cala i pantaloni si infila Qualcosa (non ho capito COSA) nel c**o e poi lo c**a in faccia al pubblico.
Io ho pensato… “Oddio!!! Lo sta facendo per me, per difendere ME! Io ho detto quella cosa orribile dei Faith No More e lui mi difende c*****o in faccia al pubblico!!!”.
Questo è il motivo per il quale io sono uno ST****O e Mike è uno dei miei eroi!”
Storiella raccontata (e raccolta liberamente dal sottoscritto) da Roger “King Buzzo” Osborne durante il suo concerto acustico al Carroponte di Sesto San Giovanni il 09/09/2014. Per la cronaca: il concerto è stato fantastico!!!
Corrosion Of Conformity: “Megalodon”
Esiste qualcosa di “più metal” di produrre automobili? Bisognerebbe chiedere alla Toyota che tramite la sua Scion Audio/Visual, ha già fatto uscire (download gratuito) un EP dei gloriosi Melvins (“The Bulls And The Bees”) e, in questi giorni, ha provveduto a far uscire un EP sempre a downloading gratuito dei veterani COC che avevo avuto l’occasione di vedere in formazione trio la scorsa primavera alla Rock’n’roll Arena a Romagnano Sesia (NO). L’EP il questione si chiama “Megalodon” è musicalmente piacevole per chi abbia apprezzato anche la formazione senza Pepper Keenan, nessuna rivoluzione nel suono di sorta, sono i Corrosion che abbiamo apprezzato su disco (l’ultimo omonimo) e che conosciamo bene da tempo.
Personalmente credo che i COC abbiano più che dimostrato il loro eclettismo musicale partendo da un disco intransigentemente HC come “Eye For An Eye” per poi far entrare elementi decisamente più metal, quando i due generi si guardavano quantomeno in cagnesco, per passare ad una forma di Thrash personale (“Blind”), fino ad essere folgorati sulla via di Damasco dal Verbo dei ‘Sabbath nel loro periodo di massima popolarità nei ’90 (l’indimenticato “Deliverance”). Non li si può certo tacciare di immobilismo sonoro come si potrebbe fare con gli AC/DC! Quindi adesso non mi sembra il caso di sindacare sul loro immobilismo temporaneo: la loro ultima ultima incarnazione incorpora l’ urgenza di dischi come “Animosity” con il suono molto più settantiano che li contraddistingueva negli anni novanta, e poi alla fin fine a caval donato… non si guarda in bocca, non vi pare???
L’indirizzo al quale bisogna presentarsi è questo qui… se riuscite a capire come funziona, io ho dato loro la mia mail ma non è ancora arrivato nulla… magari sono troppo impaziente io, comunque, mentre pazientate potrete sempre guardare un video: