L’ultimo profeta!

Dovendo scrivere un post su  Mauro Guazzotti, in arte MGZ, non so davvero da dove cominciare. La prima immagine che ho di lui è in un’improbabile costumino rosso attillato da pseudo lottatore che saltella ovunque durante il leggendario concerto dei Negazione al 2 di Cigliano lamentandosi di qualcuno che gli aveva staccato la coda e voleva tenersela come cimelio. Durante un concerto hardcore (il primo conecrto della tua vita scelto autonomamente, tra l’altro) vedi questo tizio peloso ma calvo, coi capelli laterali lunghi saltare fuori dal nulla, misurando a balzelli il palco e facendo delle smorfie improbabili. Sicuramente un’immagine che lasciò il segno… solo che non avevo la minima idea di chi fosse.

Occorrerà aspettare qualche anno perché torni a farsi viso sul palco del Babylonia anche se non collegai le cose e mancai l’appuntamento. E poi, a forza di frequentazioni, articoli su riviste, amici vari il Profeta mi apparve. Più o meno all’epoca dell’uscita di “Cambio vita”, imprescindibile primo capitolo discografico del nostro. Non assomigliava a nulla di quanto avessi visto fino a quel momento. La musica mi era resa sopportabile solo dalla chitarra di Roberto “Tax” Farano o di Dome La Muerte, per il resto era elettronica piuttosto tamarra e mi schifava abbastanza. Solo che aveva dei test geniali e, alla fine, riuscii a contestualizzare anche quella.

La sua proposta era teatro, cabaret, musica: punk, elettronica… solo apparentemente demenziale. Personale, sognante e visionario come solo un personaggio assolutamente fuori dal mondo può essere. Su di lui girano leggende e dicerie, oscuri esordi nell’ambiente punk fatti di performance sullo sfondo di diafane lastre a raggi x. Chissà cosa c’è di vero. Io Mi ricordo leggendari concerti, questo sì. Sempre seguito da gruppi di persone, all’epoca furono “Le Signore” in seguito le “Buru buru girls” e poi chissà che altro, sul palco è uno spettacolo multicolore con travestimenti, balli e saltimbanchi. Coriandoli, bolle di sapone, stelle filanti, trucco e bandiere sventolanti in quello che potrebbe sembrare un circo deviato o una festa per bambini cresciuti con qualche turba, ma non di quelle moleste.

Alcuni dei concerti di MGZ resteranno nella storia, purtroppo non ho grandi rifermenti temporali, le date si confondono nella memoria, eppure la prima volta dopo tantissimo tempo dopo che ne avevamo perso le tracce fu una storica serata al CSA “Il Gabrio” di Torino. Un vero e proprio evento che fece sì che ci muovessimo in quattro dalla provincia con due bottiglie di CocaCola truccata col rum del discount. Sapeva di acquaragia e ne bevetti mezzo sorso per poi lasciarlo ai compagni di viaggio. Ovviamente uno finì per disegnarmi una “fiamma delle hot wheels” di vomito sulla portiera mentre parcheggiavo una volta giunti a destinazione: aspettare di scendere no eh?! Il concerto fu divertentissimo e dissacrante… peccato che due settimane dopo chiusero il centro sociale a causa di un’infestazione da vibrione che si pensava estinto in Italia. Ad ogni modo sopravvivemmo.

Un’altra volta finimmo nel nulla cuneese a una specie di festa di paese alla quale il signore solo sa come mai decisero di farlo suonare. Avvicinato da un compare ebbe a commentare “Lascia stare… è un posto allucinante!”, comunque poi salì sul palco e fu anche una grande festa, credo che comunque in parecchi affrontarono la trasferta, del resto un profeta è pur sempre un profeta.

Ci fu poi la data, l’ultima volta che lo vedemmo, all’Hiroshima mon amour a pochi giorni di distanza da un altro storico concerto degli Einstürzende Neubauten all’ auditorium RAI (nientemeno) dove incontrammo Tax Farano. Roberto era presente anche a quella serata e ci salutammo, noi assolutamente increduli, due volte in un mese.

Ed eccolo, fotografato da me, all’ Hiroshima Mon Amour nel 2014

In ogni occasione fu una grande occasione di divertimento, anche nel suo caso una performance che va assolutamente vista e vissuta.

Il suo nuovo album “Vale tutto” è uscito da poco e porta una ventata di spensieratezza in questi tempi difficili. Sogniamo tutti in coro Burulandia dove tutti sono luminosi, telepatici, innamorati e immensamente liberi e felici!

Torino e i negozi di dischi

Ma che bella città!

Se abiti in Piemonte, prima o poi da Torino ci devi passare. Io ci arrivai con la musica, prima che fisicamente, nel senso che uno dei primi gruppi cui rivolsi l’attenzione furono i Negazione che a Torino ci sono nati e cresciuti. Non riuscendo a trovare i loro dischi, raccattai l’indirizzo di Marco Mathieu (forza Marco!) credo su HM e gli scrissi. Con mia grande meraviglia mi rispose di suo pugno e mi disse di imboscare i soldi in una lettera che i dischi me li avrebbe spediti lui. Ci rimasi di sasso, nella mia ingenuità gli scrissi anche due parole sulla mia vita privata e lui mi fece pure gli auguri per la scuola. Dopo un bel po’ di tempo i dischi arrivarono e fu subito amore per “Lo spirito continua”. Emblematicamente la canzone in cui mi rispecchiavo di più era “Niente” quella scritta da un giovane Roberto Farano che prende il tram da mirafiori e passa in rassegna tutto il panorama della città senza trovare niente su cui posare lo sguardo, niente che fa per lui. Io ero uguale, non mi rispecchiavo in nulla, mi sembrava che niente facesse per me e, molto spesso, è così ancora oggi.

Torino non era e non è certo Milano. Il suo carattere austero, la sua aura industriale e dura come un metallo temprato si percepiscono da subito. Ma col tempo si ammorbidisce e mostra il suo lato migliore, ha un carattere diffidente richiede tempo per entrare nelle sue logiche ma poi ti fa sentire a casa. Non ha il cuore in mano, ma ce l’ha. Non ha la madonnina bensì una stella sulla punta della mole, probabilmente è anche meglio.

Quando ci arrivai da universitario, per me era un mondo nuovo. Il mio sguardo, al contrario di quello di Tax, si perdeva dappertutto, le mie energie si disperdevano in mille direzioni, quasi mai in direzione del Politecnico. Non che avessi trovato la mia dimensione, su quella ho molti dubbi tutt’ora, ma avevo molte più strade da esplorare. Come quando andavo di nascosto alle lezioni di Vattimo a Palazzo nuovo (una volta mi interrogò pure), oppure quando uscivamo la sera guardandoci sempre le spalle a vicenda da bravi provinciali con la strizza incorporata, o magari tentavo la fortuna a titanici concerti come quelli dei Cure nel ’92 al palasport, dei Metallica al Delle Alpi o degli U2 durante il tour di Zooropa (quella sera chiamarono pure Agnelli al telefono). Molto più inevitabile fu gettarsi a capofitto nei negozi di dischi di allora nella ex-capitale d’Italia e, visto che è un settore pesantemente in crisi al quale tengo molto, con questo post continua la rassegna dei negozi di dischi che furono, perché quei luoghi meritano di essere ricordati.

Posto senza nome nel sottopasso di porta nuova: La memoria mi tradisce in quanto non sono più in grado di ricordarmi il nome del posto ma fatalmente, essendo vicino alla stazione, era il primo posto che ti saltava agli occhi. Era ottimo soprattutto perché aveva tantissime offerte riguardanti i dischi storici, chessò i dischi dei Black Sabbath in CD li ho presi lì e a dei prezzi stracciati. Era un buggigattolo ma strapieno di roba in offerta con anche dei cofanetti e delle edizioni ultra-economiche, una sezione poster e le vetrine (che erano la vera rovina del passante) lungo tutto il sottopasso: alla fine ti aspettava il negozio, come un ragno attende la preda nascosto alla fine della ragnatela.

Bancarelle varie: Questa è una bella e caratteristica modalità tutta torinese di vendere libri e dischi usati. Se ne trovavano in diversi posti. Mi ricordo soprattutto nei portici vicino a palazzo nuovo (queste credo ci siano ancora), in quelli vicino alla stazione di porta nuova e porta susa, proprio vicino a quest’ultima c’era la “Bancarella del Gorilla” forse quella più fornita del lotto e con gli articoli in condizioni migliori. Oggi molto di quello spirito si ritrova in Materiale Resistente negozio multimediale sempre in via Po.

Pagan Moon: Il nome potrebbe già dire tutto, vedi Sound Cave a Milano, Helvete a Oslo e via discorrendo. Se non ricordo male era sito in via San Massimo e gestito da un ragazzo costantemente rasato a zero. C’era anche una piccola etichetta indipendente correlata: tutto ovviamente incentrato sull’occulto e sul Black Metal, il ragazzo veniva anche al Babylonia con una bancarella in occasione dei concerti a lui musicalmente più affini, con buon assortimento anche di roba decisamente underground, anche se nulla di paragonabile all’omologo milanese per assortimento, si difendeva abbastanza.

Vero vinile: Impossibile ricordarsi la zona dov’era ubicato ma era leggermente decentrato. Specializzato in hardcore punk, ci si trovavano dei bei vinili tra cui anche dei pezzi da collezione. Atmosfera di sincero cameratismo. Non so se sia ancora attivo.

Zona vendita del CS El Paso: Per chi non lo sapesse l’ El Paso è il centro sociale n.1 di Torino almeno per quanto concerne il punk. È un ex- asilo ed è anche il più fantasioso artisticamente parlando tra murales e sculture post- industriali, negli anni si sono succeduti tantissimi concerti ed eventi culturali. C’era una sezione particolare con CD e Libri autoprodotti, tutta roba che difficilmente si trova in giro e rigorosamente fuori dai circuiti ufficiali.

Maschio:  Storico negozio in piazza castello, chiuso da anni, di dischi e strumenti musicali, sembrava un po’ analogo alla Ricordi di Milano, salvo che non apparteneva a nessuna catena era un negozio a se stante ed è stato uno dei primi negozi nei quali ho messo piede trovandoci “Collection 1” dei Misfits, gruppo che non ero mai riuscito a reperire a Biella. Da quel momento partì il risparmio volto al completamento della discografia, mi vennero gli occhi a cuoricino immediati…

Videomusic: Altro negozio storico di via Po che ha segnato il passo ormai da qualche anno. Specializzato in merchandising, ci si trovavano tranquillamente anche dischi, CD, VHS, DVD. Era bellissimo perché aveva della cianfrusaglia veramente originale e stravagante, oltre alle classiche magliette, toppe etc. Ci feci un salto la prima volta con un amico che frequentava filosofia, restammo inebriati dall’incenso e finimmo i soldi che avrebbero dovuto bastarci per una settimana. Penso avessero un tipo di incenso particolarmente interessante.

Rock and Folk: La storia dei negozi di dischi di Torino passa necessariamente da Via Bogino, perpendicolare di via Po. Niente da fare, rock and folk nonostante gli anni rimane il capostipite dei negozi di dischi di Torino, con le sue caratteristiche buste con dentro le fotocopie delle copertine dei CD. I dischi più impensabili li ho trovati qui nel corso del tempo. Ottimamente forniti, forse per evitare la crisi hanno cominciato a tenere anche action figures e cianfrusaglie varie, ma se passate da Torino e cercate un disco è il primo posto da visitare.

Il faccione di Frank Zappa da sempre capeggia nell’insegna di Rock and folk

Cosa starà facendo?

Non chiedetemi per quale motivo ma Roberto “Tax” Farano ha sempre suscitato in me e nel mio compare di avventura e concerti un fascino particolare. Certo era il chitarrista dei Negazione, aveva un volto che abbiamo sempre considerato particolarissimo, girava il mondo in furgoni scalcagnati, era vissuto in una Torino aspra, quella a cavallo tra i settanta e gli ottanta… ma non era solo questo. Avevamo preso anche a storpiarne il nome (ci perdoni) in qualcosa di onomatopeico che suonava circa come “tazfarrein” o “tazzefarrein” (pronunciato rigorosamente al rallentatore) e spesso c’era un ritornello che si ripresentava: “chissà cosa starà facendo tazfarrein?”. Non che volessimo fare gli stalker o altro, semplicemente in certi momenti finivamo col chiederci dove potesse essere e cosa stesse facendo, così senza motivo: saltava fuori la domanda e basta.

A forza di chiedercelo un paio di volte la nostra curiosità è stata soddisfatta: abbiamo avuto l’onore di incontrarlo in maniera del tutto fortuita. La prima volta all’ auditorium RAI di Torino per il concerto del tour di “Lament” degli Einstürzende Neubauten: non potevamo credere che ci fosse passato davanti e soprattutto non potevamo non salutarlo. L’Oltranzista pretese di lavarsi le mani prima di andare a stringergliele! Fu una cosa che ci fece un enorme piacere e sperammo di non averlo infastidito più di tanto.  La seconda volta ad un concerto di MGZ all’ Hirosgima Mon Amour. MGZ è un nostro eroe da sempre e come non ricordare in questa sede delle hit fantastiche come “Muovete le manine”, “Sempre più veloce”, “Sopravvivo senza un motivo” o “La belva del condominio”? Ma a parte questo ero ben consapevole che fosse in contatto con tazfarrein visto che al mio primo concerto in assoluto dei Negazione (e della vita) al “2” di Cigliano sul palco c’era anche lui che protestava vistosamente perché qualcuno gli aveva rubato la coda. oltre al fatto che, naturalmente, sono collaboratori di lunga data.

Ebbene, a distanza di pochi mesi, rieccolo li, al bancone dell’ Hiroshima, questa volta ci vede lui e ci saluta e noi restiamo quasi di sasso. Avevamo smosso delle energie cosmiche con il mostro tormentone? Resterà un mistero ma qualcosa ci fa sperare di avere dei poteri sovrannaturali.

Tutto questo per dire che Area Pirata ha ristampato “Voglio di più”, secondo lavoro degli Angeli. Chiedersi “chi sono gli Angeli” è come chiedersi “Cosa starà facendo tazfarrein” dopo i Negazione e la collaborazione con i Fluxus (assieme all’altro transfuga Marco Mathieu a cui va sempre un pensiero di speranza e forza) che aveva prodotto il bellissimo “Non Esistere” cosa poteva mai fare? Creare un nuovo gruppo e questi sono gli Angeli.

Nati dalla collaborazione con Massimino Ferrusi (e Marco Conti al basso), diedero alle stampe il primo album intitolato come il nome del gruppo e cantato in massima parte in inglese. Il tocco del nostro è sempre pienamente presente, il suo suono di chitarra si impone subito all’attenzione, ma le sfumature sono più varie che in passato e Farano sfodera una bella voce abrasiva in contrasto con lo stile urlato di Zazzo Sassola che aveva caratterizzato i Negazione e anche con il timbro particolare di Franz Goria nei Fluxus. Ne risulta una miscela interessante che non rinnega le proprie origini HC ma aggiunge delle componenti in più che troveranno una forma compiuta nel secondo lavoro, quello oggetto di ristampa.

Rilasciato all’ inizio del ’99 dopo aver chiamato Luca Marzello in qualità di bassista, ritorna al cantato in italiano ed inizialmente lascia un minimo spaesati: i testi sembrano ingenui e fin troppo naif e quasi incastrati a forza nelle metriche delle canzoni. Dopo alcuni ascolti però, una volta abituati alla madrelingua, il disco mostra appieno il suo valore.  E allora la soddisfazione prende corpo nell’ascoltare l’impatto iniziale della canzone che dà il titolo al disco, l’assalto esplosivo di “Vivo”, la melodia di “Con le mie scuse”, lo sconfinamento nel metal dell’unica traccia cantata in inglese “Breakfast in hell”. A distanza di 22 anni ritorna un disco assolutamente da riscoprire. Chi c’era lo sa già, gli altri si facciano sotto e gli rendano giustizia come merita! Noi ci chiederemo ancora “chissà cosa starà facendo tazzefarrein?” Ma adesso ne sappiamo un po’ di più e, soprattutto, qualsiasi cosa stia facendo gli si vuole bene!

Per noi chiedersi cosa starà facendo tazfarrein è un po’ come chiedersi dove vanno le anatre in inverno a Central Park quando il lago ghiaccia.

Accade a marzo 2021

Il mese inizia con una notifica di Facebook mi ricorda che il 6 di questo mese ricorre il compleanno di Marco Mathieu, caduto in coma ormai diverso tempo fa a seguito di un ictus che lo colse nel 2017 mentre era in vespa. Il bassista dei Negazione fu il primo musicista a cui scrissi una lettera che forse ancora non ero maggiorenne. Ci sono molto affezionato perché mi rispose a mano (!!!) e fu davvero un grande facendomi anche gli auguri per la scuola. Inoltre poco dopo li vidi in concerto e fu il primo vero concerto visto in solitaria (seppur con il provvidenziale passaggio genitoriale) che finì per cambiarmi la vita. Non ho potuto fare a meno di rivolgergli un pensiero di speranza, seppur velato dal tempo trascorso dal suo incidente che ormai comincia ad essere veramente tanto. Mi resterà sempre nel cuore, la sua musica e i suoi scritti; mi rammarico ancora di non aver avuto l’opportunità di accedere al suo lavoro su Socrates.

Lo spirito continua, Sempre!

Il giorno 8 irrompe la notizia del decesso di Lars Goran Petrov, storica voce degli Entombed.

Lars Goran Petrov (1972-2021) Fonte Wikipedia

Ho dovuto trasgredire alla mia regola autoimposta di non partecipare al carrozzone di cordoglio che di solito si scatena sul web, perché l’estate del 2007 è un ricodo ancora vivido nella memoria. Dopo anni di attesa finalmente posso permettermi un viaggio in nord Europa, e per i quattro anni successivi sarà una costante delle mie estati. Scelgo subito Stoccolma, che diverrà a buon titolo una delle mie città preferite. Appena arrivato mi guardo attorno come un animale randagio, il posto mi sembra da subito troppo bello per essere vero. Fatico ad integrarmi: c’è un sole splendente ma non fa caldo anzi, l’aria è frizzantina e si sta benissimo, la gente sorride, il Baltico è a due passi e mi sembra di non aver bisogno d’altro. Solo i prezzi mi fanno rabbrividire e la prima sera mangio una pizza da asporto fatta dai turchi in un parco cittadino. Torno all’ albergo dicendomi che quella sarà la mia casa per i successivi 15 giorni. Mi basta questo.

Il secondo giorno mi fiondo a Gamla Stan, il centro medioevale della città con l’idea di girarmi tutti i suoi vicoli e vederla tutta. L’ idea naufraga clamorosamente quando vedo l’insegna di Sound Pollution, storico negozio di dischi in centro, patria della musica estrema. Entro con una maglietta degli Unearthly Trance e il commesso mi fa i complimenti: più a casa di così… I dischi alla fine non sono poi così cari (provate a farvi una birra per ridere) alla fine però esco con un libro “Swedish Death Metal” di Daniel Ekeroth, storico libro sulla scena svedese con Entombed, Grave, Dismember e Unleashed in primissima linea. Sarà la lettura che accompagnerà l’intera vacanza con tanto di sopralluoghi nei posti citati nel libro: Il punto di ritrovo alla stazione centrale, il cimitero di Skogskyrkogården (patrimonio dell’ Unesco e protagonista della storica foto interna di “Left Hand Path”), qualche locale citato (anche se i nostri non potevano ancora entrarci in quanto sotto ai 21 anni), i Sunlight Studios etc… A quel punto mi sento veramente a casa, Sebbene in giro non ci sia il minimo sentore di Death Metal, respiro la stessa aria dei protagonisti e ne sono felice. Posso girarmela tutta la città e scoprire che è bellissima, trovare il più accogliente ristorante vegetariano di Stoccolma (l’Hermitage a due passi dal Sound pollution, spero ci sia ancora: erano tutti gentilissimi), girare per i musei (Il veliero Vasa, il museo civico, quello di storia naturale… ho saltato quello degli Abba), visitare la torre comunale.

Questo per dire che la scena svedese fu davvero qualcosa di unico ed importante, qualcosa in grado di smuovere le persone ed aprire nuovi orizzonti. Il tape trading allora era davvero qualcosa di avventuroso e romantico, magari facevi chilometri per incontrare una persona sentita solo per lettera partendo armato solo di passione e fiducia, oppure contattavi uno studio di registrazione perché ti aveva catturato quel suono e partivi all’avventura perché volevi registrare lì e finivi per tornare in quel posto in vacanza perché avevi stretto delle amicizie lassù. Gli Entombed ebbero una parte fondamentale in tutto questo e LG Petrov era una parte fondamentale degli Entombed, l’unico a non mollare fino alla fine, fatta salva una parentesi di scazzo con il mastermind Nicke Andersson a causa (pare) di una ragazza all’ epoca di “Clandestine”. Un personaggio schietto e reale che dava il 100% ed oltre sul palco, un puro concentrato di attitudine e metal, che ho avuto l’onore di vedere in azione al Master of death metal e a Rossiglione nel festival organizzato sa Trevor dei Sadist all’epoca. Una perdita tristissima e incommensurabile per chiunque abbia amato quella scena e anche quel paese meraviglioso che è la Svezia.

Al sound pollution sono tornato altre volte, in una occasione acquistai anche Serpent saints con relativa magletta omaggio che resiste tutt’oggi dal 2007!

16 Luglio 2017

Più di un mese e mezzo. E ancora non ci credo. Seriamente, la notizia dell’incidente stradale occorso a Marco Mathieu quel giorno mi arriva dopo aver visto messaggi e foto sue ovunque su Facebook. Doveva essere successo qualcosa ma mi prese una frenesia tale che continuavo a pigiare sullo schermo senza che fossi in grado di capire bene cosa fosse successo. E poi ho capito: lo storico bassista dei Negazione era stato vittima di un grave incidente stradale che lo aveva ridotto in coma.

Non riuscivo a crederci. Un fulmine a ciel sereno. Fino al giorno prima leggevi dei suoi libri, delle sue partite a calcio degli articoli del film su Socrates… pochi mesi prima c’era stato addirittura stato il lancio del box antologico dei Negazione in vinile, voluto dall’etichetta indipendente toscana Contempo: sembrava più attivo e vivo che mai. Ora questo. Tutt’oggi le sue condizioni non sembrano essere molto evolute, dalle poche parole intercettate qua e la,  tutto ciò che si può fare è mandare a lui ed ai suoi cari tutta la positività possibile. E sperare che le sue condizioni finalmente migliorino, che lui si svegli e finalmente sorrida per tutti coloro che gli vogliono bene. In primis la sua famiglia ed i suoi affetti (compresi i “fratellini” Tax e Zazzo) e poi anche, in disparte, per tutti quelli che sono cresciuti grazie alla sua musica. Tra questi, con la dovuta modestia, mi ci metto anche io.

Ho già espresso molte volte la riconoscenza e l’affetto che mi lega al gruppo Torinese. Ho già detto che furono il primo gruppo che vidi “consapevolmente” a 16 anni con mia madre che mi accompagnò in macchina, che le orecchie mi fischiarono tre giorni, che quel concerto ed il loro modo di essere mi cambiarono la vita. In meglio. Non ho abbastanza parole per esprimere la mia gratitudine: quando non riuscivo a trovare i loro dischi (la fine degli anni ’80 era un periodo duro in provincia) gli scrissi una lettera e mi rispose come se fossi un amico, mi fece anche gli auguri per la scuola. Ero quasi sconvolto dalla sua disponibilità e gentilezza. Gli mandai dei soldi imboscati nella carta carbone e pochi giorni dopo i loro dischi irruppero nella mia vita. Ci misi un po’ a recepirli e ho ancora davanti un po’ di tempo per ascoltarli.

Spero che anche a Marco di tempo ne rimanga ancora tanto davanti e che lotti per la sua vita con tutto se stesso. Se serve dirlo i miei pensieri ed il mio cuore sono con lui.

FORZA MARCO!

NEGAZIONE17

Boredom has come to town

Ad una certa età non saper ciò che si vuole è grave, se non proprio pericoloso. A volte sembra di essersi rammolliti. La città dove vivo l’ho odiata profondamente quando ero un adolescente, adesso mi ci sento a casa, vorrà pur dire qualcosa. Di preciso non saprei. Il punto è che quando sei adolescente necessiti di informazioni ed internet non c’è sempre stato, anche se sembrebbe di sì.

Vivere in un bastardo posto è dura quando ancora non sai bene chi sei. Quando hai fame di conosenza e di esperienza, quando vuoi metterti continuamente alla prova, per capire chi sei e come ti rapporti con l’esterno. Sembra che manchi l’aria ed anche la possibilità di esprimersi, sembra che non ci sia spazio per le tue idee soprattutto se rifiuti di accettare il fatto che la maggiorparte della gente non la pensa come te. E’ un maledetto labirinto. E ti senti asfissiare.

La nostra mi appariva come la città della noia. La città dei vicoli senza uscita. Nonostante tutto c’è sempre stato un calamitone sulle nostre teste che ci ha impedito di andarcene. Personalmente ho sempre pensato che Morrisey cantasse anche di noialtri in “Everyday is like sunday” e poi sognato di fughe fantastiche a Camden Town, Gamla Stan, Staré Město… e chissà dove altro.

Eppure sono rimasto a stringere i denti, disperarmi e provare cose a me stesso. Non è stata proprio vigliaccheria, ma nemmeno si può dire che io abbia fatto poi così tanto per andarmene. Per un qualche motivo, a un certo punto, ha smesso di pesarmi, ho smesso di andare dritto contro un muro. Non ci avrei scommesso un centesimo e ce ne è voluto di tempo. Ma è successo.

Inconsciamente ho mandato tutto al diavolo. Ha smesso di importarmi. Ho deciso di fare altro.

E quel che faccio adesso è semplicemente provare a vivere. Ebbene ho la presunzione di credere di sapere in parte chi sono e quel che voglio. Dopo di che molte delle cose che mi facevano struggere e soffrire hanno smesso di farlo (o lo fanno molto meno), dopo di che ho smesso di dover provare qualcosa a me stesso ogni due secondi. Respiro profondamente, cerco il coraggio e bramo l’esperienza.

Prendi ogni decisione nel giro di sette respiri. Tratta le questioni importanti con leggerezza, dà importanza alle questioni leggere.

Condoglianze

Mentre Robin Williams moriva, i due personaggi spesso protagonisti di questo blog erano impegnati in un breve road-trip in Svizzera in memoria di HR Giger, morto anch’egli il 12/05/2014. A volte si vedono semplicemente uomini straordinari scomparire, uno dietro l’altro, e si finisce per pensare che una cappa plumbea stia invadendo il cielo.

Esattamente la stessa cappa che ci avvolge dilavando le nostre spoglie mortali quando arriviamo a Chur (Coira), la cittadina elvetica che diede i natali al pittore visionario il 5 febbraio 1940. Dopo aver lasciato alle spalle le tetre acque del lago di Como che paiono voler inghiottire una parte di ognuno di noi nel loro abisso insondabile, aver attraversato la Val Chiavenna ed aver deciso di scegliere Montespluga come prossima località in cui abitare, scolliniamo in Svizzera dove ci attende la cittadina, tutto sommato anonima, dove si trova il Giger bar.

Quello giapponese fu chiuso anni fa perché frequentato dalla Yakuza e teatro di un omicidio. Quello che visitiamo noi – e che facciamo una gran fatica a trovare, nonostante il torso gigeriano che incontriamo nel centro cittadino- è assai deludente e decisamente sottotono. Si trova in un centro commerciale fuori città, dimesso e triste nella sua ubicazione. Fuori c’è solo la porta disegnata dall’artista, dentro sembra puzzare di plastica e trascina pigro la sua vita da bar, per giunta senza i classici vecchietti che bestemmiano giocando a scopone. Non c’è quasi nessuno. E non ci stiamo molto neppure noi: l’arredamento decisamente non fa il locale. Al rientro all’albergo abbiamo dei problemi con la carta di credito ad appesantire il malconcio umore che ci pervade in quei primi momenti del viaggio. Non sta andando troppo bene.

Giger Bar Chur
Giger Bar Chur

Tuttavia la mattina seguente ci lasciamo tutto alle spalle. A chi ci dava dei pazzi a voler fare le vacanze in Svizzera posso solo dire che ovunque decidessimo di andare c’era talmente tanta bellezza nei paesaggi elvetici da zittire chiunque. La maestosità delle montagne, dei boschi, dei prati e dei laghi non ha praticamente eguali: ad ogni cambio di direzione c’è di che restare estasiati. Il secondo giorno giorno è una tappa intermedia passando per Lucerna ed Interlaken (con “Morbid tales” in sottofondo chiaramente).

 

Da ricordare il pranzo a base di mirtilli e lamponi nella prima e il panorama mozzafiato nella seconda (il massiccio dello Jungfrau-Aletsch-Bietschhorn!)… reminescenze medioevali ed invasioni arabe. Troviamo, a sera, un hotel al di fuori del tragitto, nel quale la gentilezza materna della signora che lo gestisce riesce miracolosamente a farmi dimenticare l’inclinazione alla caccia testimoniata dalle pareti del posto. Ancora adesso mi chiedo come ho fatto, poi ripenso al gatto del ristorante alla fantastica cena vegetariana e alla ancora più clamorosa colazione del giorno dopo ed individuo i miei punti deboli.

Massiccio Jungfrau-Aletsch-Bietschhorn
Massiccio Jungfrau-Aletsch-Bietschhorn

Comunque il mattino arriva dopo una nottata crivellata dalla pioggia battente della notte. E ci muoviamo, con un meteo incerto, verso Gruyeres. Quando arriviamo l’acqua viene giù talmente forte che non ci lascia uscire dall’auto. Rimaniamo nel parcheggio del castello diversi minuti ad ascoltare, chissà perché, i Negazione. Alla fine affrontiamo la bestia. E veniamo ripagati dello sconforto della prima giornata. Il museo risponde in pieno alle nostre aspettative ed è difficile parlarne tali e tante sono le opere che trovano dimora qui. In quelle stanze i quadri sembrano inghiottire lo spettatore con tutti i dettagli e la maniacalità del loro creatore. Sono sicuro che siamo riusciti a portare le nostre condoglianze al visionario elvetico emozionandoci davanti alle sue opere, ammirandone, finalmente di persona, gli sforzi e la bravura.

Per quanto inquietante, trasgressivo, perverso e visionario possa essere il contenuto, c’è della bellezza tra quelle mura, ce n’è tanta. Ed anche  nell’artista che vedeva oltre la realtà e le limitazioni. Grazie Herr Giger.

HR Giger Musem
HR Giger Musem

Caustico solforico sfogo.

Sono due termini che assieme non vanno bene. O caustico o solforico. Ma in questo caso entrambi. Da un po’ di tempo mi sento sommerso soprattutto da immondizia musicale, ho riletto il listone di fine anno e mi sono accorto che sembra spolpato fino all’osso. Ho ripensato ai concerti visti quest’anno e mi è salita l’angoscia. I negazione dicevano: non riesco più a divertirmi, cosa sta succedendo?

Succede che mi annoio mortalmente rispondono i CCCP, è il tedio che la vince su tutto. Musicalmente è un disastro, se riesco ad ascoltare quattro cinque dischi decenti in una settimana è tanto. Il resto è paccottiglia maleodorante da rincoglionimento mainstram. Non lo sopporto. Non sopporto il me stesso che non riesce ad opporsi all’imborghesimento (orrore, orrore!) di se stesso e del mondo circostante. Ogni volta che accendo una radio/televisione, ogni volta che ascolto musica che mi fanno ascoltare altri non mi passa il mal di stomaco e mi ritrovo a citare nientemeno che fabri fibra. Sto cadendo in basso e non capisco il perché.

Una volta ero fiero ed indipendente. Ero vigile ed attento a tutto quello che mi entrava nei padiglioni auricolari e non c’era spazio per facilonerie da modulazione di frequenza. Adesso mi infilano nelle orecchie di tutto e mi sento contaminato dallo schifo. Davvero c’è gente che ancora che va dietro a entità fasulle e scontate, a show pilotati, a presunti miti musicali costruiti a tavolino. Ci sono alcuni che ascoltano radio come dischi rotti che pretendono di inculcarci canzoni 4, 5,6 volte al giorno, perché nessuno gli dice di smetterla? Una pochezza disarmante, un vuoto demotivante. Che mi sta assorbendo. Non voglio essere uno di loro, non voglio bottoni cuciti al posto degli occhi, cerniere lampo grippate sulle labbra screpolate sanguinanti. Sono solo paranoie. Che si sfaldano in un urlo liberatore. Lo spero. A volte, in mezzo a tutto questo, non riesco nemmeno a sentire i miei pensieri. A volte i miei pensieri non sentono più me.

Liberaci dal male. Dacci del denaro. Mandaci Giuda nella festa di paese.

Orgoglio italiano!

Che io non ami particolarmente la musica italiana è cosa risaputa. Che non possa soffrire argomenti triti e ritriti, arrangiamenti e musica stucchevoli è addirittura palese, per non giungere a parlare di quell’ignobile baraccone che è Sanremo che, se fosse possibile, mi rifiuterei categoricamente di finanziare col mio sudatissimo canone… eppure questi fenomeni sussistono e sono (temo) impossibili da deradicare nemmeno con la violenza intellettuale o fisica che sia.

Se penso al panorama italico mi assale un gran sconforto, non come metallaro, ma proprio come amante della musica! Mi sembra di essere senza speranza. Sarà pur vero che ho passato un anno della mia vita a consumare i primi tre dischi (più due dischi dal vivo) dei Litfiba, trovandoli tra le cose migliori mai prodotte nel nostro paese, almeno a livello di fenomeno giovanile. Poi ad un livello di nicchia c’è da dire che l’Italia può vantare un vasto e rilevante movimento progressive rock negli anni ’70 la cui punta di diamante è (almeno a livello di popolarità anche e soprattutto extra-italica) la (gloriosa) Premiata Forneria Marconi PFM, senza però dimenticare gruppi come Area (ammesso che si possano definire progressive), Le Orme, il primo Battiato e, quelli che personalmente preferisco, ovvero una sorta di ‘Sabbath italiani, i Balletto Di Bronzo. Maggiormente di nicchia è poi, negli anni ottanta, il movimento hardcore nell’ambito del quale l’Italia ha recitato un ruolo di primaria importanza nell’ambito del punk internazionale tramite gruppi come Negazione, Nerorgasmo, Upset Noise, Fall Out, Wretched, I Refuse It e Stige, solo per citarne alcuni.

Però ciò che ha risollevato a livello popolare la musica italiana, a mio parere, sono senza dubbio i cantautori, di seguito una fredda lista dei miei preferiti (ovviamente l’ordine non conta):

– Fabrizio De Andrè: Difficile aggiungere la propria voce al coro che accompagna, lodandolo, quello che, a tutti gli effetti, rimane un poeta ispiratissimo dal raffinato gusto musicale, i cui testi  non possono non imprimersi a fuoco nella memoria di chi li ascolta. Non aggiungerò parola, salvo dire che tra tutti, il suo disco che amo di più è uno di quelli meno citati, il suo lavoro “Tutti morimmo a stento” (cantata in si minore per solo, coro ed orchestra, del 1968). Un disco cupo, iper arrangiato, che sembra affossare ogni speranza anche quando propone scorci che sembrano assomigliare più a quadri impressionistici che a una canzone vera e propria come nel caso di quel brano che mi permetto umilmente di proporre, un brano che letteralmente mi squarcia in due…

– Paolo Conte: Astigiano, proviene dalla mia regione di adozione ed è un musicista e compositore sopraffino, al punto che quando venne dalle mie parti stregò letteralmente me e la mia famiglia (alla quale avevo pagato l’ingresso senza battere ciglio) con un concerto sublime sia dal punto della presenza scenica (un carisma unico!) che, ovviamente, da quello musicale ed interpretativo. Tuttavia quello che mi conquista sul serio del cantautore è il fatto che mi sembra di parlare con mio nonno… di sentire le storie di appena dopo la guerra, come testimoniano tanti testi da “Topolino amaranto” a “Genova per noi” dove sembra proprio descrivere l’inquietudine di un astigiano che, magari già in età avanzata, veda il mare per la prima volta.

– Francesco Guccini: Dell’emiliano ammiro il lato rustico ed anche la lucidità che ha nell’affronatare certi temi come la contestazione giovanile -“Eskimo”- oppure l’occupazione della Cecoslovacchia -la bellissima “Primavera di Praga”- o anche solo il tempo che passa -la tristissima “Compleanno”-. Poi, oltre a questo, ha scritto una canzone su di me:

– Franco Battiato: Ci ho messo un bel pezzo ad apprezzare il siciliano… alla partenza piuttosto sperimentale, per diventare sottile e ispirato cantautore negli anni ’80, fino alla attuale aristocrazia intellettuale. Canzoni, anche quelle sentimentali, come possono essere “La stagione dell’amore”, “E ti vengo a cercare” o “La cura”, che sono tutto tranne che banali o compiacenti nei confronti del pubblico. Come tacere poi delle suggestioni di “Summer on a solitary beach” o del richiamo di “Patriots” o di “Povera Patria”? Quello che ho scelto tuttavia è qualcosa di ancora diverso:

– Luigi Tenco: Quello che mi ha colpito immediatamente dell’artista ligure si può riassumere con un termine solo, dalle mille sfaccettature, ovvero: sensibilità… nelle musiche e nelle liriche, la sua opera ne è intrisa oltre ogni dire… difficile dire se poi l’abbia reso fragile al punto da fargli porre fine alla sua stessa vita…

Il primo amore non si scorda mai!

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