Nessuna differenza

Vista la tematica di questo post, dovevo mettere qualcosa di bellissimo in apertura, perché da qui in poi la tematica si fa pesante per usare un eufemismo. Avrei voluto tornare a scrivere trattando qualcosa di bello ma la realtà ha di gran lunga tarpato le ali a ciò che speravo per il rientro su queste pagine.

Dicevamo: prima la bella notizia e la bella notizia è il video che potete vedere qui sopra i Botch, in occasione della ristampa del fondamentale “We are the romans”, hanno fatto uscire un brano nuovo. Un. Brano. Nuovo. Dei. Botch! Ed è pure un discreto calcio in faccia! Non significa nulla, non pare che vogliano tornare dopo più di vent’anni, ma era una cosa che non speravo più di vedere in vita mia. Una cosa per la quale posso solo ringraziare i suddetti, che in 2’13” letteralmente spazzano via tutti gli epigoni, tutte le parole, le congetture. Che bellezza.

Però adesso il vero argomento.

Non nascondo lo sgomento. Non nascondo il disgusto. Non nascondo il terrore.

Scott Kelly ha commesso degli abusi nei confronti della sua famiglia, per sua stessa ammissione. Dovrei fermarmi qui, non avendo degli elementi concreti per continuare a scriverne. Non mi interessa buttarmi come un avvoltoio sulla notizia. Non mi interessa fare congetture e nemmeno giudicare la persona. Non mi compete e ci sono già fin troppi personaggi che si sono scagliati con forza sul cantante/ chitarrista americano dopo la sua recente ammissione su facebook. Sarebbe quasi superfluo dirlo ma è fuori discussione che certi atti vadano condannati senza se e senza ma. Mi permetto solo di fare qualche considerazione a margine di questo che, per me, è un punto fisso ed imprescindibile.

La notizia mi arriva assolutamente inaspettata. Mi ero perso le precedenti uscite di Kelly, nelle quali parlava di “malattie mentali” che avevano finito per coinvolgere la moglie e la famiglia. Kelly abbandona il mondo della musica in via definitiva, si chiama fuori, non essendo in grado di gestire la situazione, visto anche che molti fan sono arrivati a difenderlo cercando di addossare la colpa alla moglie. Mentre ciò che lascia ha un innegabile valore artistico (e, permettetemelo, umano) ciò che è si porta dietro una scia di insopprimibile angoscia ed orrore. La bibliografia è piena di artisti che da un lato producono cose assolutamente mirabili e poi risultano essere umanamente deprecabili a dir poco. Rimane indistricabile la dicotomia tra arte e tragedia. Può una prescindere dall’altra? Onestamente non lo so. Si potranno ancora ascoltare i suoi dischi senza pensare al dolore che ha causato? Francamente sarà difficile.

Mi ricordo di lui in una fredda serata, 25 febbraio del 2011, quando tenne un concerto acustico allo spazio 211 di Torino in solitaria. Spazzò via per un’ ora e mezza tutti i miei pensieri più orribili. Francamente non riesco ancora a concepire che, invece, sia stato lui stesso ora a generarne per altre persone. Non me ne capacito. Non ce la faccio. Mi riempie di tristezza e di sfiducia. Ho ancora il poster dell’evento  nella mia stanza da letto, mi ci è caduto l’occhio sopra ieri sera, non ho ancora avuto il coraggio di pensare se io debba toglierlo o meno. Non fa nessuna differenza. Forse la fa solo per me. Poco lontano anche il poster dell’estate prima quando venne con i Neurosis: in dieci minuti di concerto spazzarono via la concorrenza senza appello. Ora loro sono stati azzerati dagli eventi. Ma tutto questo continua a non essere importante, a non fare nessuna differenza.

Aggiornamento: Il gruppo ha ufficialmente preso le distanze dal proprio cantante/ chitarrista. Con un comunicato di ieri via facebook, comunicano di essersi separati già dal 2019, dopo tre anni in cui Kelly si era reso irreperibile non rispondendo ai diversi tentativi di mettersi in contatto effettuati dagli altri membri del gruppo. Erano a conoscenza dei fatti, non hanno emesso alcun comunicato ufficiale nel rispetto della privacy della famiglia Kelly. Il loro comunicato parla di onore e fratellanza, non risparmiando nulla all’ ex-compagno e condannando fermamente sia il suo comportamento sia l’ ipocrisia dimostrata nel tempo da una persona con cui hanno collaborato per più di 35(!) anni. Una brutta vicenda che purtroppo è ben lungi dall’essere conclusa, ma che, a mio parere, dovrebbe concludersi privatamente.

Ovviamente non fa nessuna differenza ma, alla fine di tutto, il gruppo lascia intendere che ci saranno ulteriori sviluppi, dal punto di vista musicale, ma che, ovviamente, non è questo il momento.

Absent In Body: Plague God

Absent in Body (Fonte Bandcamp)

Uno che cosa può mai pensare dei supergruppi? A volte cose egregie e a volte cose pessime. Quando è uscita fuori la notizia che per Relapse sarebbe uscito il primo lavoro degli Absent in body con dentro due Amenra, Scott Kelly e Iggor Cavalera (ma la seconda “g” c’è sempre stata?) la notizia è mi ha trovato impreparato. Tra Amenra e Scott Kelly le similitudini ci sono eccome, ma Cavalera? Come è arrivato a collaborare con gli altri tre? Dopo il bello ed estenuante “De Doorn” dello scorso anno non mi sarei aspettato che avessero qualcos’altro in programma, meno che mai cotanta collaborazione.

Che razza di disco ci si può aspettare? Qualcosa di profondo e livido, che tuttavia lascia intravvedere un tenue spiraglio di luce fioca. Le coordinate sono queste, c’è molto dell’oscurità sonora degli Amenra in questo disco, fortunatamente però non c’è solo quello. A colpire subito è l’uso della voce, quasi cavernosa ed intellegibile eppure perfettamente contestualizzata. Il resto è una orchestrazione mesta e greve, un viaggio in un tunnel imbrattato di caligine solo a tratti spazzata via dal vento che sveste la superficie. Prendete la magistrale “The acres/ the ache”, con quelle aperture nel finale che portano una luce iridescente un brano altrimenti impenetrabile. Sarò strano io ma questo disco a me emoziona e rende finalmente accessibile, sia pure a tratti, una musica che altrimenti può risultare affascinante ma corre continuamente il rischio di appesantire l’ascolto.

Il disco risulta essere dunque un esperimento riuscito: condensa in una durata ridotta una materia oscura sonora inquietante ed affascinate al tempo stesso, un suono che attrae e allontana al tempo stesso con il quale gli Absent In Body lanciano un macigno nello stagno e smuovono uno tsunami. Non è dato sapere se riusciranno a portare la loro musica dal vivo né se la collaborazione avrà mai un seguito, tuttavia un segnale è stato lanciato nell’ etere… e si sente bello forte.

Cult of Luna: The raging river

Non è sempre necessario avere un’opinione su tutto, in periodi come questo, non avere un’opinione può essere una forma di difesa. Non è necessariamente indifferenza, quanto piuttosto un bisogno intrinseco di silenzio dal bombardamento mediatico, superficiale, monotematico e spesso inconcludente. Per avere un’opinione bisogna innanzitutto conoscere, documentarsi, partecipare. Sempre più spesso diventa impossibile seguire il filo conduttore di un discorso, le idee si confondono in un mare di discordia mediatica densa come fumo negli occhi. Per questo quando si alza il velo di Maya bisogna accogliere quel barlume di luce che ci permette di esprimere un’opinione su qualcosa. Diventa sempre più raro che succeda.

Cult Of Luna (fonte: Bandcamp)

Dopo anni sono riuscito a farmi un’opinione sui Cult of luna, ed è un’opinione positiva. All’epoca dell’uscita di “The Beyond”, oramai millenni or sono sembravano promettere bene anche se ancora troppo legati ai progenitori Neurosis, stesso discorso con “Somewhere along the highway” nel quale invece sembravano tendere maggiormente dalla parte degli Isis. Due ottimi punti di partenza certo, ma il loro, fino a quel punto rimaneva comunque un discorso ancora troppo acerbo e derivativo. Fortunatamente sono riusciti a non mollare la presa, a venire fuori alla distanza ad evolvere uscita dopo uscita fino a diventare un gruppo solido e veramente in grado di dire la loro in un panorama sempre più arido di idee e personalità. Oggi come oggi non è una cosa da poco, se consideriamo che ormai il mondo della musica sta evolvendo verso una preoccupante attitudine usa-e-getta che inquina l’etere segna inderogabilmente la via al declino.

Con “Vertikal” hanno cominciato a fare sul serio, a nuotare contro corrente, a raddrizzare la spina dorsale, a guardare i loro maestri dritti negli occhi con sguardo fermo e sicuro. E disco dopo disco non si sono più fermati, fino a raggiungere uno stato di grazia invidiabile a molti, nell’anno di disgrazia 2021.

Ed ancora una volta la loro è una proposta che richiede impegno e dedizione per poter essere assimilata. Non siamo davanti ad un lavoro facile, immediato e superficiale. Occorre dedicargli tempo e lasciarsi andare ad un ascolto inteso come esperienza e non come mera fruizione, merce rara al giorno d’oggi. Al punto di convincere i nostri a autoprodursi usufruendo di una propria etichetta di registrazione per questa uscita, scommettendo su loro stessi e sul pubblico che deciderà di seguirli in questa avventura.

Personalmente la scommessa è vinta con quest’ album, che conferma quanto di buono già si sapeva sul gruppo, ampliando ulteriormente il discorso già intrapreso con il suo predecessore ed includendo ancora elementi di novità come la collaborazione di Mark Lanegan che fornisce il suo baritonale contributo alla canzone più rilassata e malinconica del disco. Un lavoro intenso e solido, che non abbandona le radici post-HC (Umeå ha solide tradizioni in campo HC) dei maestri ma che è in grado di dare alle medesime una nuova linfa vitale.

Le composizioni sono tutte egualmente valide e di spessore, se devo sceglierne una scelgo “Wave after wave” una canzone che sembra essere l’invito perfetto a lasciarsi alle spalle le proprie miserie e ad alzare lo guardo verso un immenso cielo notturno.

Il futuro della musica II

chelsea
Deranged for rock’n’roll

Se mi avessero chiesto una quindicina di anni fa quali gruppi avessero in mano il futuro della musica, avrei risposto senza esitazioni: Neurosis, Tool e Converge. Mi fa piacere che oggi quei gruppi siano ancora in relativa buona salute. Solo che, nel frattempo, Tool e Neurosis sono diventati gruppi dalle tempistiche mastodontiche, un po’ per narcisismo e un po’ per necessità e non si intravvedono in esse i margini di evoluzione del suono che sembravano esserci un tempo. Circa i Converge, godono di buona salute devo dire, “The dusk in us” è un disco che tiene altissimo lo standard qualitativo dei loro lavori. Con qualche momento di stanchezza relativa nella loro discografia (chi ha detto “No heroes”?) e qualche distrazione di troppo di Kurt Ballou, impegnatissimo sul fronte produzione, sono forse quelli che hanno retto meglio il passare degli anni.

Ma oggi, sinceramente, cosa tiene viva la musica? Si fa prima a dire cosa la ammazza: i maledetti talent show, la maledetta mania del tutto e subito di porcherie come spotify, i concerti faraonici dal prezzo impopolare ed ingiusto: cose come queste. Io mi sento braccato da queste cose, ma non mi hanno ancora preso. E resisterò fino alla morte.

Poi in un mese escono tre dischi come l’ultimo dei Tool, “Free” di Iggy Pop e “Birth of violence” di Chelsea Wolfe. Non può che essere un segno che non sono solo nella mia battaglia. Sul primo posso accettare obiezioni, e qualcuna è venuta in mente anche a me, sugli altri due no.

Lo sapevo che ascoltare un brano in anteprima su you tube sarebbe stata una mossa sbagliata, infatti con le altre anteprime ho resistito. Ma era talmente tale tanta l’attesa di lasciare entrare nelle orecchie qualcosa di nuovo firmato da CW che per liberarmi della tentazione ho dovuto cedere. Ero già consapevole dell’errore: “The mother road” non mi fece una bella impressione, invece ascoltata su disco mi ha ammaliato, per un attimo ho quasi pensato che Siouxsie si fosse appropriata del microfono, e da lì in poi è stata solo adorazione per questa fantastica artista californiana che ben difficilmente si fa cogliere in fallo con lavori che siano anche solo meno che coinvolgenti.

Un disco intimo ed intimistico. L’ho ascoltato per la prima volta nell’isolazione di un abitacolo, col sole che giocava a fare l’ effetto serra per farlo sbocciare meglio. In autostrada e stanco dopo una giornata di lavoro. Mi ha tenuto sveglio ed attento pur cullandomi. Perché, in questo lavoro, è questo che fa Chelsea: da una parte ti avvolge e ti riscalda con poche note acustiche e con la sua voce meravigliosa e, quando hai abbassato la guardia, inietta il ghiaccio nelle tue vene, l’inquetudine nell’anima, il buio nei pensieri.

Nonostante questo, ti fa sentire maledettamente vivo: allontana la solitudine con un soffio di grazia inaudita. Senza nascondere la realtà, getta un ponte in direzione dell’ascoltatore, offre una possibilità di salvezza nella condivisione. Almeno questa è la sensazione che ne ho ricavato fin’ora perchè mancano ancora svariati ascolti per cogliere quest’ opera in modo maggiormente compiuto. Mi manca di addentrarmi meglio nei testi, di scorgere i dettagli sonori sfuggiti e mi manca di far germogliare le canzoni con attenzione amorevole negli organi sensoriali.

Comunque appare assolutamente chiaro che chi riesce ad evocare tale sensazioni, chi riesce a dipingere scenari musicali di una tale intensità ha in mano il futuro della musica. E non si può fare a meno di volerle bene.

Gruppi ai cui concerti non vorresti assistere e concerti che vedresti all’infinito

Negli anni novanta esisteva una formazione milanese che si vantava, probabilmente essendo nel giusto, di essere tra i pionieri del thrash metal in Italia. Tale formazione aveva un chitarrista che era facile incontrare, nel ruolo di intortatore, in un altrimenti mitologico negozio di dischi sotto il Duomo a Milano. Il “Maryposa” era (ed è!) un posto fantastico (sono onorato di citarlo nelle mie umili pagine): i due commessi storici, che credo ci siano ancora, erano competenti e simpatici… perché volessero servirsi di un simile individuo mi è oscuro. Saccente ed insistente, ostenta il suo successo locale e cerca di propinarti i dischi che piacciono a lui, se non proprio quelli del suo gruppo. Non succede solo questo:

Evento n. 1: Concerto dei Metallica allo stadio delle alpi (To) nel ’92: un’occasione fantastica, gruppi enormi nel bill (Voivod, The Cult, Suicidal Tendencies e, incredibilmente Megadeth che paiono aver fatto pace con il gruppo di punta). Notizia spiacevole: I Voivod danno forfait… e a sostituirli il suddetto gruppo milanese. Dopo una mezz’oretta di scimmiottamenti ai Pantera la loro esibizione finisce e, più tardi, hanno pure l’ardire di pubblicare un EP con la registrazione del concerto e alcune foto che li ritraggiono immersi in un bagno di folla evidentemente non intervenuta per loro. Va bene.

Evento n.2: Negli anni ’90 al parco Acquatica di Milano si svolgeva un grosso festival chiamato Sonoria (sono sicuro di due edizioni, ma potrebbero anche essere state tre o quattro), di solito aveva lo sgradevole, almeno per il sottoscritto, vizio di mettere insieme gruppi che non c’entravano nulla ma un anno propone un programma di tutto rispetto: Pardise Lost, Rollins Band, Danzig, Primus, Faith no more. Se non che il giorno stesso (internet era un miraggio e l’organizzazione italiana di certi eventi ha sempre lasciato a desiderare) si apprende che Danzig e Primus danno forfait e… indovinate un po’ chi prende il loro posto? Ma certo! La suddetta band milanese e Paul Weller (PAUL WELLER?!?!?!?).

Innanzitutto su biglietti campeggiava la scritta: “in caso di rinuncia di uno dei gruppi, la sostituzione avverrà con un gruppo di pari livello”… che fate, prendete in giro la gente?! E poi chissà perché sempre lo stesso gruppo chiamato a tappare i buchi. Misteri sepolti nel tempo.

Misteri che continuano anche oggi, nel giro di pochi mesi mi sorbisco due volte un gruppo nei cui componenti milita qualcuno coinvolto con la grafica di taluni manifesti dei concerti, fortunatamente l’altra sera arrivo in ritardo e me li risparmio.

Scusate, sono un sonicopatico e divento di pessimo umore (tra l’imbufalito e il nevrotico) se devo sorbirmi musica che detesto… non che normalmente sia una persona solare e di ottimo umore, chiaramente. Tuttavia è incredibile come, nonostante proprio non ti piaccia la loro proposta musicale, certi gruppi ti risaltino fuori solo perché qualcuno li ritenga simili ai tuoi gusti musicali. Credo sia lo stessa ragione per cui gli algoritmi dei social falliscono spesso inesorabilmente.

Fortunatamente un valido motivo per sorbirsi certi gruppi c’è: il gruppo principale della serata, ovviamente. Nel caso dello scorso venerdì sera i Neurosis. ho fatto pochissime foto, un po’ per l’assenza di memoria nella scheda della fotocamera un po’ perché, una volta tanto, mi sono goduto il concerto. Credo che sia circa (?) la quarta volta che li vedo e non deludono mai. Sono uno dei pochi gruppi in grado di trasportarti in una dimensione parallela con una energia intrinseca tale da ammutolire. Mi ricordo un paio d’anni fa, dopo 10 minuti ritrovarsi a pensare che avevano già polverizzato tutto quello che ti era capitato di vedere quell’anno. Questa volta si fanno ben pagare (35 sudatissimi euro) e sono supportati, oltre che dai suddetti, anche dagli Yob che non faccio parimenti in tempo a seguire. Stare qui a fare la telecronaca del concerto è inutile, posso solo dare un consiglio, per quel che può valere: andateli a vedere, fatevi questo piacere.

Dall’apertura affidata a “A sun that never sets” a quando Scott Kelly se ne esce zoppicando vistosamente (!) sono coesi, concreti ed incredibilmente intensi. Ecco: se non avete idea di cosa sia un concerto intenso, vado sul sicuro a consigliarvi una loro performance. Nonostante da più parti li accusino di un certo immobilismo creativo, di avere delle tempistiche da pachiderma per dischi e tour (vengono in Italia senza un disco da promuovere…) non stateli a sentire: non sono più dei giovincelli, hanno lavori e famiglie cui badare (lo stesso Scott è una specie di patriarca), abitano in diversi stati e tutto questo ne limita l’azione, ma quando si riuniscono su un palco è pura magia. P1020587

 

Count down to 2017

 

Odio capodanno. Amo l’inverno. E’ il periodo per tirare le somme. Ma è una mera convenzione presa in prestito da anni di calendario gregoriano. Potrei tirare le somme anche a marzo o a novembre, ma oramai ho cominciato a farlo a dicembre e mantengo le tradizioni. Odio le tradizioni, le occasioni, le feste comandate. Non mi servono per ricordarmi le cose. Non le festeggio. Sdegno le convenzioni eppure ne accetto una minima parte per inerzia e per pigrizia. E perché alla fine di ogni anno devo tirarne le somme musicalmente parlando, almeno per ricordarmi di dov’ero e cosa facevo. Capirete cosa state per affrontare. 10 dischi per il 2016. E via.

10. Deftones “Gore”

Tutti hanno fatto a gara a parlare male di questo disco. Spero si divertano. A me è piaciuto. E’ da due tornate discografiche che i Deftones mi emozionano, certo, non come negli anni ’90 ma, a mio parere, hanno riguadagnato smalto e ispirazione. Felice di essere l’unico a pensarla in questo modo. In particolare “Phantom bride”, bellissimo testo e chitarra di Jerry Cantrell.

09. Melvins: “Basses unloaded”

Non potevano mancare. Un gruppo degno di venerazione, anche se ultimamente Dale e Buzz finiscano per timbrare dignitosamente il cartellino ogni anno, in compagnia di questo o quell’amico a me non importa. Penso che i due abbiano abbiano ampiamente dimostrato tutto quello che dovevano e adesso finiscano per mantenersi senza dover cercarsi un lavoro comune. Rimane il fatto che Mr. King, per quanto mi concerne, è secondo solo a Mr. Iommi per la capacità di mettere in fila delle semplici note. Up the Melvins no matther who plays bass!

08. Iggy Pop “Post Pop Depression”

Bowie è morto. E non troverete il suo disco in questa lista, così come non troverete quello di Leonard Cohen. Non li ho ascoltati, non volevo gettarmi nel calderone delle condoglianze, della tristezza, dei riconoscimenti dovuti per due artisti che non ho approfondito come avrei dovuto. Al cordoglio ci ha pensato Iggy e lascio a lui la parola per piangere Bowie. Pensatela come volete, questo disco, per me, è un enorme tributo al Duca Bianco, ripesca l’atmosfera di “The Idiot”, il primo disco della nuova carriera dell’iguana solista, in tutto e per tutto patrocinata dall’amico. E mi faccio beffe di tutti quelli che sono stati delusi aspettandosi che Josh Homme prendesse il posto di Ron Asheton per dare vita ad una nuova incarnazione degli Stooges. Le sue parti di chitarra avrebbe potuto suonarle chiunque, però fortunatamente il disco funziona.

07.In the woods… “Pure”

Un ritorno che non ti aspetti per una band norvegese che ha prodotto uno dei dischi più toccanti degli anni ’90 (“Omnio”) e come al solito non sai cosa aspettarti. Avrebbero potuto rovinare ogni bel ricordo… e fortunatamente non lo fanno, la paura era tanta. Certo a volte il disco suona stanco e fatica a prendere il volo, ma nella seconda parte sembra veramente ritornato agli antichi fasti, lontane le radici black metal, la fiamma del prog è ancora splendente e tutt’altro che autoindulgente. Bentornati.

06. Liquido di Morte “II”

Un disco strumentale? Certo. E’ una rarità che non può mancare, soprattutto se si tratta di uno dei migliori gruppi italiani al momento. Coinvolgenti. Ipnotici. Ispirati. Occorre essere dello stato d’animo adatto ma poi ti trascinano via. Lontano.

05. Kvelertak: Nattesferd

I gufi non sono quel che sembrano. I Kvelertak escono dal pantano (per quanto intrigante) del loro secondo lavoro e ritornano con un disco fresco dal deciso piglio rock’n’roll con pochi fronzoli e molta decisione. In pochi ci avrebbero scommesso eppure il disco vince in freschezza compositiva e trascinante foga. Mischiare black metal e rock può sembrare azzardato e loro ci sono riusciti, riprendere le redini di una proposta che aveva mostrato un po’ la corda solo alla seconda uscita forse era ancora più difficile. Ora non c’è due senza tre. Norway, here we come!

04. Darkthrone: Arctic Thunder

Io e l’altro unimog consideriamo i Darkthrone come i nostri padri spirituali, specialmente dopo l’abbandono della fase blackmetal. A loro non importa nulla e nemmeno a noi. Impegnati nella loro sempiterna crociata per il metal, quello esente da ogni suono plastificato, che ha il suo habitat naturale in qualche bunker svizzero impenetrabile nella prima metà degli anni ottanta, come fai a non stimarli? Quando poi abbiamo visto un fuoco rupestre in copertina, la vicinanza si è accorciata ancora. Rustici e veri, nel senso più genuino del termine, incidono un altro disco alla faccia di chi gli vuol male. E tanto basta.

03. Nick Cave and the Bad Seeds: “Skeleton tree”

Credo di aver scritto già a sufficienza di questo disco quando uscì. E visto che fa della sottrazione la sua forza non mi sento di aggiungere nulla se non che, a ben vedere, dovrebbe essere fuori “classifica” in quanto troppo intimo e sofferto per poter figurare in una cosa così frivola e vacua. Ci finisce solo perché non posso non ricordare un dico come questo. Curioso come la separazione tra lui e Blixa alla fine ce li restituisca entrambi in splendida forma (così ricordo anche “Nerissimo” e il bellissimo concerto a Milano con Teho Teardo).

02. Klimt 1918: “Sentimentale jugend”

Otto lunghissimi anni di silenzio. A me i Klimt 1918 sono mancati e parecchio. Il mio incontro con loro avvenne in una situazione che mi rende impossibile non considerarli vicini al cuore. Durante un viaggio a Vienna, in pieno trip Klimtiano da tre musei al giorno senza tregua, entro in un negozio di dischi (c’erano dubbi?) e scartabellando tra i CD mi viene tra le mani il loro, bellissimo, “Dopoguerra”. L’ho preso come un segno del destino e da allora occupano un posto speciale tra i miei ascolti.

Un doppio CD potrebbe essere una mossa decisamente pretenziosa e forse azzardata. Ebbene non lo è. Il lavoro è inteso, pregno di lirismo e ispirazione, magari non semplice da ascoltare di seguito eppure assolutamente affascinante nel concept (Germania anni ’80 e Roma), soavemente etereo e atmosferico. Non fateci mai più attendere tanto!

01. Neurosis: “Fires within fires”

Mi spiace, nessuna sorpresa. Dopo 10 minuti della loro esibizione bresciana dello scorso 11 agosto avevano agilmente spazzato via qualsiasi cosa avessi visto dal vivo nell’ultimo periodo. Semplicemente questo. Possiedono un’intensità ineguagliabile. Un suono personale e mutevole, senza che per questo si snaturi. Evolvono disco dopo disco, concerto dopo concerto. La loro ultima incarnazione è scarna, essenziale diretta.

Dritta al cuore, dritta all’anima all’origine stessa della musica. Il viaggio continua.

Carta, penna e calamaio!

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Neurosis Live @ Festa Radio Onda d’urto Brescia 11/08/2016

Rivedere i Neurosis è un’opportunità da cogliere al volo e senza remore. Per il sottoscritto si tratta di uno dei gruppi contemporanei più significativi a molteplici livelli: Artistico, personale e soprattutto musicale, la loro evoluzione praticamente non è paragonabile a quella di nessun altro gruppo attualmente sulla scena (si ok, qualche altro nome viene in mente ma si contano veramente sulle dita di una mano), l’intensità che sprigionano dal vivo è assolutamente stordente, qualcosa da cui difficilmente ci si riprende con facilità. Hanno uno spirito indomito, un furore creativo incontenibile e il festival di radio onda d’urto ha dato ad ognuno di noi la possibilità di godere di un loro spettacolo che difficilmente potrà essere eguagliato durante l’anno in corso, nonostante ci siano un paio di date succulente in vista…
Quindi si parte! Il posto non è esattamente dietro l’angolo e ci vogliono quasi due ore e mezza per arrivare, sarà dura, soprattutto al ritorno, ma siamo votati al sacrificio nel nome della suprema dea valvola. Io guido e l’oltranzista ne approfitta per attingere alla scorta di malto fermentato e luppolo. Fino a Brescia tutto bene poi… ovviamente sbagliamo strada e ci facciamo fuorviare da un festival fighetta e dal nome dell’eroe del Grande Torino Mario Rigamonti cui è intitolato l’impianto sportivo nel quale l’evento dancereccio prende piede. In effetti ci sembravano un po’ tutti troppo ben vestiti e c’era una popolazione femminile un po’ troppo numerosa e in tiro per essere un concerto dei Neurosis.
Alla fine comunque ce la facciamo. La festa di Radio onda d’urto è un enorme bazaar con l’area concerti annessa. C’è in giro un sacco di gente alcuni interessati ed altri no… e nuvole di aromi vari che si levano un po’ ovunque: decisamente meglio dell’altro posto!
Facciamo in tempo a malapena a guardarci attorno e i nostri eroi di Oakland cominciano. Anche se ormai sono dislocati in varie e differenti parti degli states (Idaho, Oregon etc…) trovano comunque il tempo di andare in tour, di incidere dischi come gruppo e come solisti. Ognuno di loro ha un lavoro quotidiano ed una famiglia cui badare e per questo sono assolutamente encomiabili nel loro impegno anche se, ovviamente, il loro tempi sono spesso titanici anche se giustificati, contrariamente a qualcun’altro (i Tool, tanto per non fare un nome).
Comunque pronti e via… in due brani mettono subito le carte in tavola lasciando tutti a bocca aperta, la potenza che si sprigiona dagli amplificatori è annichilente, la loro coesione sul palco è stupefacente e, ancora una volta, i sacrifici fatti per venirli a vedere vengono ripagati immediatamente. Sono in forma eccellente. Ed è uno concerto minimale rispetto a quelli visti in altre occasioni: rinunciano alle proiezioni che erano state una loro prerogativa costante al punto da avere un proiezionista come membro effettivo del gruppo, luci basse e si limitano a suonare. Eppure stregano immediatamente tutti quanti. Più di una preoccupazione c’era stata alla vigilia per i suoni che in realtà non sono perfettissimi ma comunque più che accettabili, la fama negativa che questo festival aveva per la resa sonora dei gruppi è stata dunque smentita e pare di assistere ad un live degli anni ‘90 quando ancora i gruppi suonavano più di due ore senza batter ciglio o quasi.
Bello pensare che ci siano ancora gruppi in grado di farti uscire dalla realtà per tutta la durata di un concerto, constatare che certe sensazioni, nonostante l’evidente degrado della musica alternativa, non siano andate perse. Prendere atto del fatto che la musica dal vivo può essere ancora, grazie a gruppi come loro, considerata un’esperienza spirituale a tutti gli effetti.
A pieno, pienissimo titolo fra i gruppi degni di venerazione… e a settembre esce il nuovo album.

Neurosis live@ festa radio onda d'urto Brescia 11/08/2016
Neurosis live@ festa radio onda d’urto Brescia 11/08/2016

Neurosis live@ festa radio onda d'urto Brescia 11/08/2016
Neurosis live@ festa radio onda d’urto Brescia 11/08/2016

Neurosis live@ festa radio onda d'urto Brescia 11/08/2016
Neurosis live@ festa radio onda d’urto Brescia 11/08/2016

Nota: Il ritorno è stato massacrante a causa delle deviazioni tra Brescia ovest e Seriate, all’uscita l’assoluta assenza di indicazioni non ha giovato al rientro a Seriate, così con immensa gioia abbiamo provato il brivido della A35 e delle sue tariffe extralusso, rientrando a casa almeno un’ora dopo il previsto. Un sentito ringraziamento alla gestione della rete autostradale. Vi vogliamo bene.

The live experience.

Dregen & The Imperial State Electric
Dregen & The Imperial State Electric

Mamma mia. Non vado ad un concerto dal maggio scorso. Dal primo maggio dell’anno scorso, che tristezza. Mi sono perso soprattutto Neurosis e Vista Chino. Ah no era decisamente una tendenza che andava invertita, quantomeno interrotta. Ci sono mille motivi per questa assenza dall’attività live, alcuni seri altri meno. Soprattutto: non mi piace andare ai concerti da solo. Sarà stupido ma nel viaggio fatto con un amico o nel piacere di condividere i ricordi c’è un fascino al quale faccio fatica a rinunciare. Poi c’è anche il fatto di affrontare imprevisti e situazioni varie assieme, qui c’è una fredda lista di situazioni (ovviamente tante ne saranno escluse):

Na tazzulella e café: Napoletano inguaiato che ci si avvicina all’autogrill di Novara mentre ci stiamo facendo un caffé da campo nel retro del fiorino, rifiuta una tazzina e chiede se può succhiarci del carburante. Allucinazioni post- Obituary.
Zio Morfina: Un inquietante tizio che “ballava” dietro di me al concerto dei Jane’s Addiction.
Verbania madness: Dirò solo che c’entrano risse sfiorate, ubriachezza molesta e spray al peperoncino, nella ridente città del verbano a un concerto dei Nebula.
Invasione equadoregna: Una nutrita (e alterata) compagine di immigrati centroamericani irrompe non senza conseguenze al Masters of death metal.
La terra trema! Succede la prima volta che vedi i Sunn 0)))
Calata dei babbari:  Dopo una nottata a dormire in Panda, ti svegli e vedi che una nutrita compagnia teutonica sta allegramente banchettando sul cofano della tua auto. Poi il loro pullman se ne va non prima di aver scaricato il WC. Sarà una punizione per aver visto Santana?
Insomma andare da solo mi fa triste… potrei (e a volte l’ho anche fatto) ma sicuramente non è la stessa cosa… Quindi quando, grazie ad un amico, si è presentata la possibilità di spezzare il digiuno l’ho colta al volo. Ho, forse colpevolmente, snobbato un po’ il locale in questione a meno di 25 km da casa, ed anche il concerto, forse non ci sarei mai andato se non fossi in pesante astinenza. Però me li ricordo ancora gli Hellacopters al Babylonia e fu davvero una gran cosa…

The Hellacopters, back in the day!
The Hellacopters, back in the day!

From the sky

La grandine in novembre è qualcosa che mi lascia sempre meravigliato, come la prima volta che vedi la neve, il sole, il cielo. Credevo che certe cose succedessero solamente in Galles. Ero come un bambino in quel laboratorio. Per gli altri era normale, continuavano a lavorare,io non potevo: dovevo guardare quelle piccole pietre di ghiaccio scendere dal cielo, era ipnotico come brillassero alla luce artificiali dei lampioni. Un piccolo miracolo, una visione ed un sogno.

Meraviglia, diventa sempre più estranea man mano che vai avanti. Ed anche oggi, anche in Italia, mentre lavori in un ufficio, d’un tratto un ticchettio ti distrae e guardi fuori. E sono ancora lì a scendere, a distanza di anni, a distanza di chilometri. Sul terreno una patina che si spacca al tuo passaggio, e galleggia sull’acqua. Una qualche magia che non voglio ridurre a una distorsione climatica.

Mi sembra di essere stato insensibile, gonfiato d’aria per troppo tempo, e poi arriva la grandine. E brilla.

 

 

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