Probabilmente non importerà a nessuno ma io detesto i musical. Mi fanno tristezza quelle facce sempre sorridenti, quei movimenti sempre troppo sincronizzati, quelle moine mielose e anche i finali rassicuranti.
Cantare eleva il morale e una canzone, anche se solo canticchiata mentalmente, ha il potere di risollevare qualsiasi situazione. Tuttavia i musical io proprio non li reggo, almeno quelli classici. Più di una volta ho sognato di subissare sotto milioni di watt di violenza sonora le nefandezze che ci rifila la radio. Quanto ai musical penso che basti ciò che Kubrick ha fatto a “Singing in the rain” per rendere l’idea di cosa mi scatenano i film musicali.
Eccezioni? Ne ho tre o quattro… ma poi non voglio sentirmi dire cose tipo “eh ma questi non sono musical” o cose del genere
The Who “Quadrophenia”: Mai capito se si trattasse di un musical o meno. Rimane il fatto che ha un fascino tutto suo, perchè l’Inghilterra del periodo era un calderone di musica e di stili che sarebbero poi esplosi probabilmente nel periodo musicale più fertile ed eccitante degli ultimi cinquant’anni, perché i ragazzi finalmente cominciavano ad esistere come categoria e qualcuno avrebbe dovuto concedere loro il giusto spazio, perché comunque ha delle canzoni memorabili (e non ho scelto a caso “The real me”!), perchè rispetto a Tommy non si perde in deliri di sorta ma descrive da dentro una generazione, la loro generazione.
Poi, come non amare l’accento sooo british dei personaggi?
Rocky horror picture show: Qui credo che dubbi sul fatto che sia un musical ce ne siano pochi, come ci sono anche poche cose da aggiungere: questo film è semplicemente leggendario… e tutti quanti dovrebbero semplicemente annuire compiaciuti innanzi a questa affermazione.
Non sognatelo, siatelo!
The blues brothers: Altra leggenda sfornata dalla premiata ditta Landis-Belushi-Aykroyd, altra pellicola assolutamente strabiliante a partire dai fantastici protagonisti, per finire con la lista inifita di ospiti. Canzoni assolutamente memorabili, sequenze esilaranti ed eccessive (vogliamo parlare dell’inseguimento finale?), praticamente impossibili da eguagliare se consideriamo anche il fatto che poi tutto venne effettivamente portato in giro dal vivo in un vero e proprio glorioso tour.
Dopotutto erano in missione per conto di Dio!
The commitments: Cosa ha a che fare il soul con l’Irlanda? La risposta potete trovarla in questo azzeccato film di Alan Parker. Mettete insieme un manager scaltro e scapestrato, dei musicisti pescati a caso tra la gente, un veterano che finisce per avere un successo straordinario tra le coriste e la voglia di far emergere il cuore di un popolo attraverso una musica “adottata” ad hoc e otterrete un quadro piuttosto preciso della situazione. Nonostante poi tutto finisca in vacca nella pellicola (ops, rovinato il finale???) anche loro finirono per portare i brani sui palchi di mezzo mondo.
On the sunny side of the street
Dancer in the dark: Lars Von Trier che si da al musical? Strano ma vero… e sa anche essere assolutamente coinvolgente e struggente in una storia cupa e cruda, che però fiorisce attraverso lo sguardo sognante della protagonista (una superba Bjork). Il risultato è toccante e trabocca di umanità e della capacità del canto di ammantare tutto di magia onirica.
Attraverso il canto si può sopravvirere alla tristezza
Moulin Rouge: Probabilmente il più aderente al modello del musical classico del lotto. Comunque lo si salva più che volentieri per i bravissimi protagonisti (Kidman e McGregor) che si dimostrano anche performer di rango superiore, per l’uso intelligentissimo di canzoni contestualizzate ma non scritte specificatamente per l’opera, per la storia che in ogni caso trascina lo spettatore nei suoi meandri decadenti e sognanti, assolutamente colmi di fascino.
Getting lost in Paris
Pink Floyd “The Wall”: Anche qui ho i miei dubbi che si possa parlare di musical classicamente inteso. Tuttavia è e rimane il capolavoro assoluto tra i film musicali. Canzoni impareggiabili, concept reso in maniera inoppugnabilmente magistrale, creatività, estro, genio, introspezione: c’è tutto in questo lungometraggio. La commistione di immagini, musica e storia, non ha e non potrà avere eguali nel passato e, presumibilmente, anche nel futuro. Roger Waters scava dentro se stesso e regala all’umanità un’opera dal fascino senza tempo, un live show senza uguali e un doppio album destinato ad entrare nelle discografie di tutti. Semplicemente irraggiungibile.
Is there anybody out there?