Tredicesimo arcano

13 è il titolo del disco della reunion dei Black Sabbath, 13 maggio 1970 è la data di uscita del primo album del gruppo e il 13 torna ancora perché il 13 settembre del 1980 usciva quel capolavoro che risponde al nome di “Blizzard of Ozz”. Quasi 40 anni. Oggi tutti parlano dell’ultimo disco di Ozzy ed io voglio spendere invece due parole sul primo. Del ritorno del Madman si è già scritto tanto, le fazioni si sono divise, si sono sprecate le parole. Ma io non l’ho ascoltato, lo farò con calma se ne avrò l’occasione, non mi sfiora l’ansia di doverlo fare. Blizzard però rimane, ad oggi, uno dei miei dischi preferiti in senso assoluto.

E “senso” è proprio una delle parole che mi tornano in mente più spesso pensando ai primi due dischi del principe delle tenebre, perché è successo spesso che mi gettassi tra le braccia di questi due lavori nei momenti di maggiore sconforto, quando sentivo spegnersi una speranza, quando, in qualche modo, sentivo spezzarsi qualcosa dentro. Bastano due o tre canzoni per ricordarmi perché sono vivo e cosa significa esserlo.In pratica servono a farmi sentire vivo di nuovo e non credo sia poco.Inoltre quando sento suonare Randy Rhoads spesso mi commuovo. Potrebbe succedere, ed in effetti succede, con mille altri musicisti o cantanti, però Randy che suona è sempre un’emozione speciale, qualcosa che stento a descrivere a parole, qualcosa che mi è impossibile rendere compiutamente agli altri.

Potrebbe essere la suggestione per la fine prematura e tragica del giovane chitarrista, probabilmente c’è anche questa componente, tuttavia quello che importa è come mi fa sentire. Perché non sto parlando oggettivamente della musica contenuta nel disco, ne sto parlando soggettivamente e, rimarco, in modo fieramente soggettivo. In anni ho sentito mille critiche ai primi due dischi di Ozzy e lui stesso (sarebbe meglio dire la sua manager) quando fece risuonare le linee di basso e batteria di sicuro non ha smorzato la cosa, ma onestamente chissenefrega se l’intro di tastiera di “Mr. Crowley” ha un suono anni ottanta ai limiti del pacchiano, se esistono brani e leggeri che possono passare per riempitivi some “No bone movies” e “Little dolls” (“In diary of a madman”), oppure se sembra che lo stesso cantante non abbia scritto una parola dei testi… potete trovare mille difetti a questi due dischi e per me saranno sempre perfetti. Impermeabili a tutto, un po’ come quell’amico a cui concedete dei comportamenti che normalmente disapprovereste talmente è grande la vostra amicizia nei suoi riguardi.

Il disco si apre con un suono che non ho mai saputo meglio descrivere, non so esattamente cosa sia ma, complici i cartoni animati giapponesi dei quali abusavo in infanzia, ho sempre pensato che fosse il suono di un’astronave in arrivo. Quando parte “I don’t know” invece lo so benissimo cos’è successo: è partito un disco ed insieme ad esso sono partiti ricordi, sensazioni e pelle d’oca. Parte razionale, parte emotiva, tutto fuso assieme. Per i successivi 40 minuti è solo magia. Magia di un piccolo Chitarrista che quasi scompariva dietro la sua Les Paul bianca ma che poi usciva 30 volte più grande, mostrando la sua vera statura, da quei Marshall bianchi che lo contraddistinguevano. Un vero Gigante. Magia di un cantante con un timbro assolutamente unico (e checcazzo anche ineguagliato, nonostante tutto) dall’indole assolutamente folle, instabile e completamente fuori di testa. E diciamo anche che la sezione ritmica Kerslake/Daisley offre una prestazione assolutamente all’altezza dei due fuoriclasse di cui sopra… tanto che sia Bordin che Trujillo (assolutamente non i primi venuti) dichiarano tutto il loro disagio nel dover ri-registrare le parti nel 2001.

E poi possiamo parlare dei riff selvaggi ed immortali di “Suicide solution” (dedicata a Bon Scott, a quanto pare), dell’esoterica magia di “Mr. Crowley” nella quale gli assoli di RR sembrano squarciare l’aria con una grazia ultraterrena e terremotante al tempo stesso, dell’irruenza incontenibile dell’attacco di “Steal away (the night)” nella quale mi si ferma il cuore ogni volta che Ozzy canta “run away with me tonight”, della cupa riflessione di “Mother Earth”, della struggente “Dee” dedicata da Randy alla madre (purtroppo anch’essa passata a miglior vita in tempi recenti), di “Goodbye to romance” che in condizioni normali troverei trascurabile e sin troppo sentimentale e invece finisce sempre per farmi pensare agli amici che ho perso lungo la strada e alle ragazze cui ho voluto bene come un nostalgico cuore tenero qualsiasi, di “No bone movies” che giustamente regala un attimo di pausa allegra e della Bonus track emersa tempo dopo “You looking at me, looking at you” che apporta altra vita al disco. Ah, c’è anche “Crazy train” ma che ve ne parlo a fare? Perchè nonostante alcune volte le tematiche siano cupe o tristi ho sempre pensato, lo confesso, che “Blizzard” sia un disco assolutamente solare. Ha l’energia della vita e la vastità dell’orizzonte.

Il tredicesimo arcano, come molti già sapranno, è La Morte. È l’arcano della trasformazione e non ha necessariamente un significato negativo. Dai Black sabbath alla sua carriera solista il cambiamento è stato fortissimo, tutt’altro che indolore, ma a giudicare dal risultato, ne valeva la pena.

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La Morte (Bonifacio Bembo)-Wikipedia

A proposito di morte, per introdurre “Diary of a madman” del quale parlerò in un futuro ancora indefinito, magari l’anno prossimo visto l’anniversario, sappiate che questa è la canzone che voglio al mio funerale:

 

 

L’incarnazione del rock’n’ roll

Avete presente quei giochetti tipo quali sono le chitarre che vorresti possedere…

[Nello specifico: la polka dot di Randy Rhoads, una SG d’annata di Tony Iommi, la Les Paul Black Beauty di King Buzzo, la Telecaster nera di Chris Spencer e ancora una SG, quella di Liz Buckingham]

Oppure tipo: ma secondo te chi è la vera incarnazione del rock’n’roll? E, come tutte le domande senza senso, mi ha dato un bel po’ da pensare. E non è semplice. Fin quando qualcuno si prende la briga di spiegartelo in una ventina di minuti… è un personaggio di Detroit, di origini danesi. Uno che fa l’amore con gli amplificatori, si taglia rotola, salta e non sta fermo un attimo. Non credo si sia fatto mancare nulla eppure resiste.

Se avete tempo (e pazienza di seguire il monologo in inglese) fatevi due risate…

ah e tanti auguri!

Here's the man!
Here’s the man!

19 marzo 1982

Randy Rhioads(06/12/1956-19/03/1982)
Randy Rhoads
(06/12/1956-19/03/1982)

Sento da un po’, una vocina ripetermi che questo blog sta diventando sempre di più music-addicted (del resto io sono music-addicted, che diavolo!), adesso la stessa vocina potrebbe anche iniziare a fare gli scongiuri visto che dopo Clive Burr, oggi voglio parlare di un grande chitarrista che ha lasciato questa terra 31 anni fa oggi. E dirò di più, lo voglio fare in tributo alla sua bella personalità e a tutte le meravigliose sensazioni che mi ha trasmesso nei due primi album di Ozzy Osbourne.

Si tratta del grandissimo Randall William Rhoads, che, dopo una breve carriera con altri artisti (su tutti i Quiet Riot), approdò alla corte del Madman per registrare solo due dischi, che però lo proiettarono direttamente nel gotha dell’heavy metal: si tratta di “Blizzard Of Ozz” (1980) e “Diary Of A Madman” (1981). Come sia possibile lasciare un segno indelebile nella storia della musica pesante con solo due dischi è una cosa che si può capire solo ascoltandoli. Sarà suggestione, sarà enfasi, sarà quello che volete ma a me le sue note fanno ancora rizzare i peli sulle braccia e quando sentii Joe Holmes (chitarrista di Ozzy nella seconda metà degli anni ’90) rifare “Mr. Crowley” esattamente uguale al suo maestro avevo le lacrime agli occhi.

Non ne capisco molto di tecnica chitarristica, non ne so un granché di scale e di assoli, eppure a me Randy fa esattamente questo effetto: pizzica una qualche remota corda nella mia interiorità e mi fa vibrare esattamente come farebbe con una les paul. I dischi registrati con Ozzy sono ancora oggi tra i pochi in grado di rifarmi spuntare il sorriso quando ho il morale a terra, sono pieni (almeno per me) di energia e di voglia di vivere; dei veri e propri luoghi nei quali rifugiarmi quando inizio a vacillare verso il pessimismo e verso tutto quello che comporta.

La sua dipartita è ancora più tragica perché assurda nello svolgimento: è un inaccettabile scherzo degli eventi, una insopportabile tragedia in termini eppure, 31 anni dopo, è ancora decisamente reale e tangibile nella sua ineludibile assenza di senso. Difficilmente basteranno queste poche righe per rendergli onore come merita, ma sono bastate quelle poche note a fargli guadagnare un posto unico ed insostituibile in me. Grazie Randy!

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=ZcoweoZ6jpM]

Back in the saddle!

Chi segue questo blog sa della mia partecipazione al dramma che ha colpito i Baroness sulle strade europee lo scorso agosto. John Baizey, cantante e chitarrista del gruppo, è stato, insieme all’autista, quello più colpito dal trauma successivo all’incidente, riportando diversi danni fisici che hanno rischiato seriamente di metterne a repentaglio la carriera. Credo che, come testimonia il video che riporta l’esibizione dei Converge alle celebrazioni per il centesimo numero del magazine di musica estrema americano decibel, la guarigione proceda speditamente nella direzione di un pieno recupero.

Tre giorni fa infatti il nostro è salito sul palco dell’ Union Transfer di Philadelphia dando vita ad una emozionate versione di “Coral Blue”, assieme agli headliners, riuscendo anche idealmente ad unire due compagini in grado di dar vita ad altrettanti lavori altamente significativi usciti lo scorso anno. Ma questi sono dettagli: l’importante è che, dopo tante storie finite male (Randy Rhoads, Cliff Burton, Duane Allman e Ronnie Van Zant sono solo i primi che mi vengono in mente), finalmente qualcuno riesce a sottrarsi alle grinfie della sorte e a rimettersi in piedi, sia pure dopo lunga convalescenza e riabilitazione. Direi che, ogni tanto, una storia che finisce positivamente non può che rinfrancare il morale, quindi forza John e forza tutti quanti: il resto della vostra vita vi aspetta e le cose positive succedono, anche se è sempre più difficile crederlo.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=o-kmNN0evyk&feature=player_embedded]

P.s.: No, non sono completamente impazzito… ogni tanto capita anche a me, ora lo sapete!

I dischi dal vivo

I dischi dal vivo mi lasciano parecchio dubbioso. Quando ero un neofita mi sembravano semplicemente un sistema per accaparrarmi tutte le canzoni più famose di un gruppo senza scadere nel classico greatest hits. E già qui bisognerebbe aprire una parentesi, perchè anche i greatest hits sono discutibili… col passare del tempo ho realizzato che i dischi hanno un’anima, i greatest hits no. Per quanto magari ci siano dei riempitivi nei dischi originali, essi sono la vera espressione di un artista (o di un gruppo di artisti) in un determinato momento storico, inoltre la scelta che sta alla base della successione dei brani a mio parere ha un’importanza tutta sua. Chissà se “Black Sabbath” avrebbe avuto lo stesso impatto con un’altra canzone messa in apertura? Cosa avranno avuto in mente gli Zeppelin quando hanno posto un mattone epico (ma bellissimo: “Achilles Last Stand”!) in apertura a “Presence”, forse di mettere subito alla prova l’ascoltatore? Esiste un modo più poetico di chiudere un disco (“The Good Son” di Nick Cave and the Bad Seeds) che con una canzone come “Lucy” che con la sua coda sognante sembra insistentemente chiedere all’ascoltatore di alzare lo sguardo dall’umanità per fissare le stelle e la luna? Un greatest hits o un tasto “random” non risponderanno mai a queste domande!

Comunque, digressione a parte, ora invece guardo ai live come dischi a se stante ed è assai difficile che mi trasmettano certe emozioni perchè (oltre alle considerazioni di cui sopra, comuni ai greatest hits) se amo un gruppo ritengo fondamentale supportarlo come merita andando ai concerti e comprando i dischi (finanze e fattori contingenti permettendo) al punto tale che la registrazione di un concerto finisce per diventare una sorta di “vorrei ma non posso” anche troppo triste: un supporto musicale non può contenere le emozioni proprie di un momento artistico assoluto nel suo essere irripetibile, ne da spesso un’idea troppo vaga ed impersonale per chi abbia assistito ad un concerto sentendolo fino in fondo… senza contare che spesso certi artisti propongono versioni alternative non proprio all’altezza degli originali, solo raramente il giochetto riesce come dovrebbe. Ultimamente molti gruppi fanno date riproponendo dischi per intero: questo potrebbe essere un’interessante compromesso fra live e studio fra creatività e fisicità, tra teoria e pratica… sfortunatamente non ho ancora avuto la fortuna di assistere a nessuna performance del genere, quindi non mi posso esprimere in merito, quello che posso fare è un freddo elenco dei live che, personalmente, stanno una spanna sopra tutti gli altri…

*Ozzy Osbourne e Randy Rhoads “Tribute”: Non poteva mancare, conoscendomi già mi danno i brividi “Blizzard Of Ozz” e “Diary Of A Mad Man”, il live in tributo al giovane e sfortunato chitarrista non poteva fare a meno di toccarmi il cuore…

*Iron Maiden “Live After Death”: Il primo live ascoltato non si scorda mai, secondo la logica di cui sopra ascoltai prima questo disco che i lavori da cui le canzoni da cui provenivano, queste versioni finirono per essere considerate da me, per tanto tempo, quelle originali… registrato durante il faraonico “World Slavery Tour” e infarcito di sovraincisioni rimane comunque un disco più che storico per la band albionica.

*Portishead “Roseland NYC”: Un live assolutamente sorprendente: il freddo e quasi sintentico trip hop britannico prende vita e corpo attraverso orchestrazioni assolutamente contestualizzate, avvolgenti e, a tratti (“Sour Times”!!!), assolutamente commoventi… l’espressone “dal vivo” credo non sia mai stata più azzeccata, bellissimo!

*Alice In Chains “Live”: Disco piuttosto sconosciuto ai più, che però presenta una carica ed una passione che trasuda direttamente da ogni nota, oltre al malcelato rimpianto di non averli mai potuti vedere quando ancora il povero Layne era tra noi…

*Jane’s Addiction “Jane’s Addiction”: Esordire con un disco dal vivo è sicuramente uno strano destino ed una curiosa scelta (condivisa anche da altri, si vedano i Primus di “Suck On This”) ma non se si tratta di una delle più incendiarie compagini che abbiano mai calcato un palco a cavallo tra gli anni ’80 e ’90… il disco mette in luce una band assolutamente vivida ed ispirata che darà alle stampe dischi fondamentali prima del ritiro dalle scene. Il triste tentativo recente di riverdire certi fasti, a mio parere, è da considerarsi fallito miseramente come da me testimoniato in una loro data milanese qualche anno fa, non fosse stato per l’esecuzione di “Three Days” -un brano assolutamente superlativo- sarebbe stato uno dei concerti più deludenti cui io abbia mai assistito, sic transit gloria mundi!

*Enstürzende Neubauten “Live at Teatro Colosseo 03/06/2011”: Quando li vidi dal vivo per la prima volta dal vivo (all’ Alcatraz di Milano anni prima) compresi appieno quanto enorme fosse la portata del gruppo dell’ex Bad Seeds Blixa Bargeld! Una vera e propria rivelazione: uno si chiede come possa essere possibile riprodurre certe sonorità dal vivo: non vi rispondo… dico solo andateli a vedere e di corsa! Non solo ci riescono, ma ci mettono un tale trasporto ed un tale pathos da abbagliare ed affascinare la tempo stesso… li ho visti tre volte e continuo a considerarli imperdibili! Nella fattispecie non si tratta di un disco vero e proprio ma di una registrazione professionale che i nostri vendevano all’uscita del concerto su chiavetta usb. Normalmente non l’avrei mai presa, ma visto il gruppo e l’occasione (il concerto del trentennale…) alla fine me la sono sentita di compiere l’insano gesto… con somma soddisfazione postuma!

*C.S.I. “In Quiete”: Quando staccare i jack era diventata una moda, il gruppo italiano emerse dalla massa con un disco intenso, con degli arrangiamenti perfettamente contestualizzati e riusciti molto più di blasonati nomi esteri. Un impresa quasi irripetibile!

*Sepultura “Under A Red Blood Sky”: Anche qui il rimpianto per non averli potuti vedere con la formazione originale probabilmente la fa da padrone, però il disco merita per la scaletta, il momento storico livemente anteriore al famoso scisma dei Cavalera, e per l’energia primordiale che sprigiona…

*Jeff Buckley “The Mystery White Boy Tour”: I live postumi si portano dietro sempre uno strascico di sospetti per l’opportunismo economico ed il rispetto per l’artista passato a miglior vita. Lasciando ad ognuno le opportune considerazioni da farsi secondo coscienza (anche nel caso dello sfortunato Randy Rhoads o degli Alice In Chains), questa rimane una vibrante testimonianza.

Mental wounds not healing, life’s a bitter shame

Foto tratta dal libretto del CD di “Blizzard Of Ozz”

Devo aver già parlato dei dischi come beni rifugio (altro che oro), e sicuramente devo aver già parlato di questi due dischi perchè sono una costante che ritorna. I dischi sono indiscutibilmente beni rifugio, avere un paio di armadi pieni di CD, diverse scatole piene di vinili, altri scatoloni pieni di cassette e cassetti pieni di articoli, foto, autografi, oggettistica della più varia sulla musica, significherà pure qualcosa: significa che ogni oggetto racconta e racchiude una storia, significa che ogni passaggio ha in se la potenzialità di riflettersi nel tuo spirito e di commuoverti col suo carico di ricordi e sensazioni, con il suo immaginario, la sua atmosfera, i suoi testi, il suo momento storico… le sue note.

La musica ha la potenzialità di dialogare direttamente con la tua parte più intima con un linguaggio assolutamente unico, atavico, affascinante ed è l’unica arte che non necessita di un supporto materiale perchè è puro lirismo che si impadronisce dell’etere, fa vibrare l’aria con un’intensità lacerante eppure bellissima. Ed è tua, è una comunione di forza che finisce per mantenerti vivo, anche se dopo 1000 dischi ascoltati sembra scemare, diventare banale e già sentita, basta un’ unica nota, un unico attacco per ricordarti che tu sei ancora qui, che la storia continua, che nessuno ha ancora zittito le casse della tua camera, le cuffie del tuo apparecchio portatile, che la bellezza ancora esiste ed è commovente, che anche se stai solo sopravvivendo potresti tornare a vivere presto.

Dopo un fine settimana passato ad essere ostaggio dell’angoscia e del dolore esistenziale a tratti viola come un livido, a tratti nero come un abisso (vedasi post precedente) lunedì mattina si presenta come una scommessa persa in partenza con i soliti incubi a girarti attorno come un branco di squali. Finchè un pensiero si fa strada, una semplice passeggiata per i boschi, senza troppe pretese, visto che non mi va di portarmi dietro il CD portatile, prendo in mano lo stumento di tortura meglio noto col nome di cellulare, guardo fra i vari album presenti all’interno finchè l’occhio non mi cade su “Blizzard Of Ozz” e mi dico perchè no? Se non mi salva questo, son messo male sul serio…

Inutile dire che dopo due note il disco mi salva in pieno, ho davanti la faccia sorridente di Ozzy e la chitarra a pois (lo sfondo di questo blog, pur essendo neve che cade, diventi per un momento un orgogliosissmo tributo!) di Randy e loro ritornano vivi davanti ai miei occhi ed è come se dalla loro amicizia, della quale si può avvertire la presenza in ogni singola canzone che hanno inciso assieme, del loro innegabile momento di grazia, fossi invitato a partecipare anche io. E rieccomi lì a seguire ogni assolo con la pelle d’oca, a canticchiare ed annuire ad ogni parola, a sorridere pensando a come possano cambiare le cose quando sei in presenza di qualcosa di assolutamente unico, della magia pura.

Lacrime che rimangono negli occhi durante “Goodbye To Romance”, che per molti può apparire come l’esnnesima ballatona strappalacrime degli anni ottanta, personalmente invece è un tributo nei confronti di tutte le persone che, per un motivo o per un altro, non fanno più parte della mia vita. Sia stato un evento tragico, una furiosa litigata, un triste malinteso o una dolorosa impossibilità a negarci la possibilità di stare ancora vicini, non importa, io li porto ancora tutti con me, specialmente gli ultimi due che si sono allontanati, due ai quali, per ragioni diverse, non ho mai smesso di pensare e per i quali non riesco a smettere di soffrire. Brividi sulle braccia durante gli assoli in “Mr. Crowley” mi riportano alla mente quando li vidi eseguiti dall’allievo Joe Holmes al Palatrussardi (che magari aveva già cambiato nome) nella seconda metà degli anni ’90, la solita frase in “Steal Away (The Night)” quando Ozzy canta “Runaway with me tonight” ed io penso (fin da quando la sentii per la prima volta) che si riferisca a me e che, da buon amico, possa davvero allontanarmi da tutta questa miseria… questo disco ha tanto, ha tutto al suo interno e nemmeno il pessimo gusto in fatto di suoni (batteria e testiere soprattutto) propri del periodo è riuscito a rovinarlo. Magari rimango mesi senza ascoltarlo, ma, come un buon amico che abita lontano, so che ogni volta che lo rispolvero, lui fa lo stesso con me e con le mie sensazioni, i miei sentimenti.

Si può dire tranquillamente lo stesso del disco successivo “Diary Of A Madman” dal quale è tratta la canzone che forse più di tutte è in grado di toccarmi l’anima ovvero “You Can’t Kill Rock And Roll”, la stessa che mi piacerebbe sentire al mio funerale… inutile dire che quando questi due capolavori hanno compiuto trent’anni e sono stati rimessi in vendita sottoforma di cofanetto, ho messo immediatamente mano al portafoglio: apparirà come una bieca operazione commerciale, ma per me, stavolta, era solo un modo colossale di dire GRAZIE!!!

Per quelli che all’epoca seguivano aggiungerò che questa, per ingenuità, sembra quasi una lettera ad H/M e la cosa mi inorgoglisce, sappiatelo!

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