3 vs 1

L’ estate è trascorsa veloce, nascosti in una città abbandonata eppure viva. Come la brace sotto la cenere. Il senso di vuoto degli alberghi abbandonati e di un luogo che, un tempo, era in grado di ospitare le persone bisognose di cure. La decadenza degli edifici e la tenacia di chi ancora abita quei luoghi. Come sempre le vacanze estive sono quel non-luogo dove vorresti fare tutto quello che, nel trascorrere dell’anno, non ti è riuscito. Leggere un libro o ascoltare musica con calma. Ovviamente non ti riesce. Ti togli qualche fugace soddisfazione, fai appena in tempo ad accorgerti di avere del tempo libero che subito ti viene negato. A pensarci tutte le volte sembra l’ora d’aria dei carcerati. In quest’ ora ho ascoltato quattro nuovi dischi e me ne è piaciuto veramente solo uno, che terrò per ultimo.

Mrs. Piss “Self surgery”: Mi imbatto in questo disco solo perchè vede coinvolta la signora Wolfe. Tutto mi direbbe di non farlo: il nome e l’artwork sono già di per sé squalificanti, per non dire pessimi. Fortunatamente il disco non è peggio (bisognava effettivamente impegnarsi) ma decisamente non brilla. La registrazione è molto piatta, quasi malfatta e questo non giova: non stiamo parlando di musica che trae giovamento da una registrazione ai limiti del low-fi, soprattutto non con la voce di Chelsea di mezzo. Poi poche idee e sviluppate male, a tratti la classe della cantante emerge, ma più spesso appare ficcata a forza in un contesto davvero povero in termini di idee e soluzioni. Non mi è venuta voglia di andare oltre il primo ascolto. Se proprio volete godervi qualcosa di nuovo che coinvolga l’autrice di “Birth of violence”, allora ascoltate questa: è una cover, ma almeno non è niente male.

King Buzzo (with Trevor Dunn) “Gift of sacrifice”: Seconda puntata acustica e (quasi solistica) per il leader dei Melvins. In questo caso sono arrivato almeno al secondo ascolto. Se il primo episodio aveva convinto, il secondo non centra l’obbiettivo. Magari mi ricrederò quando mi verrà voglia di riascoltarlo, per ora purtroppo è triste constatare che anche con il coinvolgimento di un musicista sopraffino come Mr. Dunn, la situazione non migliora e c’è poco da fare. Poco più di mezz’ora di brani acustici per archi e chitarra che non coinvolgono pur non essendo oggettivamente brutti, il problema è che lasciano indifferenti. Che i Melvins siano uno dei gruppi che lavorano più duramente nel panorama della musica pesante penso sia indubitabile, solo che sono diventati… logorroici, adattando il termine alla produzione musicale: buttano fuori roba a ripetizione, senza tregua e quasi senza riflettere. Un album almeno all’anno, più gli album solisti del buon Buzzo e di Dale Crover usciti di recente; obbiettivamente è quasi impossibile mantenere gli standard qualitativi elevati del in passato a questi ritmi e con anni di carriera alle spalle. Danno l’idea di non scartare mai nulla, nessuna idea, nessuna collaborazione, nessun progetto collaterale: è chiaro che il talento si diluice e si finisce per annoiarsi all’ascolto. Qui King sembra riciclare riff (e lui è una vera riff-machine forse la più prolifica dopo Tony Iommi) e avere idee confuse. Spiace dirlo anche perchè l’ EP “Six Pack” uscito in anteprima a questo su Amphetamine reptile records, era decisamente molto più coinvolgente e ben fatto anche al netto della divertente cover dei Black Flag. Se i Melvins si decidessero a far uscire meno dischi (che siano al verde?) e a licenziare quell’inutile buffone dei Redd Kross al basso, forse riavremmo il nostro grande gruppo indietro, per ora sono abbastanza vittime della loro stessa iperproduttività.

Mark Lanegan “Straight songs of sorrow”: Accanto all’uscita del discusso memoir “Sing backwards and weep” arriva questo nuovo lavoro del (un tempo?) fulvocrinito cantante americano. Fermo restando che “Blues funeral” era un capolavoro di stile e “Gargoyle” gli andava appena sotto, con un 1-2 micidiale (“Goodbye to beauty”/”Drunk on destruction”), da lì in poi l’ispirazione è andata scemando anche per lui. Lasciando perdere “Imitations” che è un disco di cover e lo zoppicante “Phantom radio”, l’ondata elettronica che ha invaso i suoi lavori si è fatta quasi opprimente e sbilanciata nell’economia dei brani che via via stanno perdendo quell’opacità fumosa e distruttiva che li rendeva tanto affscinanti. Probabilmente sono anche io il problema, essendo legato alla sua produzione più datata e acustica, per cui soprattutto “Somebody’s knocking” ma anche questo “Straight songs of sorrow” mi risultano un tantino indigesti. Non sono brutti, ma hanno perso il magnetismo e almeno una fetta di magia dei precendenti e anche qui non mi hanno catturato al punto di entrare in un ciclo ripetuto e piacevole di ascolti. Dev’essere una costante del periodo, ma già la canzone di apertura mi sfianca dopo pochi minuti… Fate voi.

Steve Von Till “No wilderness deep enough”: Dopo tre ascolti colpevoli di avermi tolto parte della fiducia nei rispettivi autori, arriva la certezza, solida come una roccia. Il cantante/ chitarrista dei Neurosis rilascia un altro disco solista e nemmeno questa volta è possibile muovergli una critica. L’unico limite di questo disco, se vogliamo chiamarlo così, è che risulta difficile essere dello stato d’animo adatto per ascoltarlo, perché è un disco che letteralmente ti scava dentro, ti svuota e ti lascia nudo di fronte a te stesso. Una visione che non tutti (io per primo) riescono a sopportare per tempi troppo lunghi. Steve è un autore autentico, profondo e sensibile, nonstante il suo gruppo madre abbia messo a dura prova l’udito di più di un fan con sperimentazioni pesantissime e a volte indigeste (confesso candidamente di non riuscire ad arrivare in forndo a “The world as law”, per esempio), quando si tratta dei sui dischi solisti il discorso cambia.

Partito da splendide suggestioni acustiche (il meraviglioso “As the crow flies”), album dopo album, il suono votato al minimalismo si è via via arricchito di sfumature sicuramente apprezzabili in termini di inserti elettronici e archi che completano lo spettro sonoro rendendo il suono ricco ed avvolgente, tutto corredato dai testi sempre ispirati che recentemente hanno anche trovato una dimensione grafica affascinante in un libro corredato da suggestive immagini. Il cerchio si chiude intorno alla sua magistrale interpretazione vocale sempre intensa ed emozionante. Finalmente, ne avevo bisogno.

Gruppi ai cui concerti non vorresti assistere e concerti che vedresti all’infinito

Negli anni novanta esisteva una formazione milanese che si vantava, probabilmente essendo nel giusto, di essere tra i pionieri del thrash metal in Italia. Tale formazione aveva un chitarrista che era facile incontrare, nel ruolo di intortatore, in un altrimenti mitologico negozio di dischi sotto il Duomo a Milano. Il “Maryposa” era (ed è!) un posto fantastico (sono onorato di citarlo nelle mie umili pagine): i due commessi storici, che credo ci siano ancora, erano competenti e simpatici… perché volessero servirsi di un simile individuo mi è oscuro. Saccente ed insistente, ostenta il suo successo locale e cerca di propinarti i dischi che piacciono a lui, se non proprio quelli del suo gruppo. Non succede solo questo:

Evento n. 1: Concerto dei Metallica allo stadio delle alpi (To) nel ’92: un’occasione fantastica, gruppi enormi nel bill (Voivod, The Cult, Suicidal Tendencies e, incredibilmente Megadeth che paiono aver fatto pace con il gruppo di punta). Notizia spiacevole: I Voivod danno forfait… e a sostituirli il suddetto gruppo milanese. Dopo una mezz’oretta di scimmiottamenti ai Pantera la loro esibizione finisce e, più tardi, hanno pure l’ardire di pubblicare un EP con la registrazione del concerto e alcune foto che li ritraggiono immersi in un bagno di folla evidentemente non intervenuta per loro. Va bene.

Evento n.2: Negli anni ’90 al parco Acquatica di Milano si svolgeva un grosso festival chiamato Sonoria (sono sicuro di due edizioni, ma potrebbero anche essere state tre o quattro), di solito aveva lo sgradevole, almeno per il sottoscritto, vizio di mettere insieme gruppi che non c’entravano nulla ma un anno propone un programma di tutto rispetto: Pardise Lost, Rollins Band, Danzig, Primus, Faith no more. Se non che il giorno stesso (internet era un miraggio e l’organizzazione italiana di certi eventi ha sempre lasciato a desiderare) si apprende che Danzig e Primus danno forfait e… indovinate un po’ chi prende il loro posto? Ma certo! La suddetta band milanese e Paul Weller (PAUL WELLER?!?!?!?).

Innanzitutto su biglietti campeggiava la scritta: “in caso di rinuncia di uno dei gruppi, la sostituzione avverrà con un gruppo di pari livello”… che fate, prendete in giro la gente?! E poi chissà perché sempre lo stesso gruppo chiamato a tappare i buchi. Misteri sepolti nel tempo.

Misteri che continuano anche oggi, nel giro di pochi mesi mi sorbisco due volte un gruppo nei cui componenti milita qualcuno coinvolto con la grafica di taluni manifesti dei concerti, fortunatamente l’altra sera arrivo in ritardo e me li risparmio.

Scusate, sono un sonicopatico e divento di pessimo umore (tra l’imbufalito e il nevrotico) se devo sorbirmi musica che detesto… non che normalmente sia una persona solare e di ottimo umore, chiaramente. Tuttavia è incredibile come, nonostante proprio non ti piaccia la loro proposta musicale, certi gruppi ti risaltino fuori solo perché qualcuno li ritenga simili ai tuoi gusti musicali. Credo sia lo stessa ragione per cui gli algoritmi dei social falliscono spesso inesorabilmente.

Fortunatamente un valido motivo per sorbirsi certi gruppi c’è: il gruppo principale della serata, ovviamente. Nel caso dello scorso venerdì sera i Neurosis. ho fatto pochissime foto, un po’ per l’assenza di memoria nella scheda della fotocamera un po’ perché, una volta tanto, mi sono goduto il concerto. Credo che sia circa (?) la quarta volta che li vedo e non deludono mai. Sono uno dei pochi gruppi in grado di trasportarti in una dimensione parallela con una energia intrinseca tale da ammutolire. Mi ricordo un paio d’anni fa, dopo 10 minuti ritrovarsi a pensare che avevano già polverizzato tutto quello che ti era capitato di vedere quell’anno. Questa volta si fanno ben pagare (35 sudatissimi euro) e sono supportati, oltre che dai suddetti, anche dagli Yob che non faccio parimenti in tempo a seguire. Stare qui a fare la telecronaca del concerto è inutile, posso solo dare un consiglio, per quel che può valere: andateli a vedere, fatevi questo piacere.

Dall’apertura affidata a “A sun that never sets” a quando Scott Kelly se ne esce zoppicando vistosamente (!) sono coesi, concreti ed incredibilmente intensi. Ecco: se non avete idea di cosa sia un concerto intenso, vado sul sicuro a consigliarvi una loro performance. Nonostante da più parti li accusino di un certo immobilismo creativo, di avere delle tempistiche da pachiderma per dischi e tour (vengono in Italia senza un disco da promuovere…) non stateli a sentire: non sono più dei giovincelli, hanno lavori e famiglie cui badare (lo stesso Scott è una specie di patriarca), abitano in diversi stati e tutto questo ne limita l’azione, ma quando si riuniscono su un palco è pura magia. P1020587

 

Boredom has come to town

Ad una certa età non saper ciò che si vuole è grave, se non proprio pericoloso. A volte sembra di essersi rammolliti. La città dove vivo l’ho odiata profondamente quando ero un adolescente, adesso mi ci sento a casa, vorrà pur dire qualcosa. Di preciso non saprei. Il punto è che quando sei adolescente necessiti di informazioni ed internet non c’è sempre stato, anche se sembrebbe di sì.

Vivere in un bastardo posto è dura quando ancora non sai bene chi sei. Quando hai fame di conosenza e di esperienza, quando vuoi metterti continuamente alla prova, per capire chi sei e come ti rapporti con l’esterno. Sembra che manchi l’aria ed anche la possibilità di esprimersi, sembra che non ci sia spazio per le tue idee soprattutto se rifiuti di accettare il fatto che la maggiorparte della gente non la pensa come te. E’ un maledetto labirinto. E ti senti asfissiare.

La nostra mi appariva come la città della noia. La città dei vicoli senza uscita. Nonostante tutto c’è sempre stato un calamitone sulle nostre teste che ci ha impedito di andarcene. Personalmente ho sempre pensato che Morrisey cantasse anche di noialtri in “Everyday is like sunday” e poi sognato di fughe fantastiche a Camden Town, Gamla Stan, Staré Město… e chissà dove altro.

Eppure sono rimasto a stringere i denti, disperarmi e provare cose a me stesso. Non è stata proprio vigliaccheria, ma nemmeno si può dire che io abbia fatto poi così tanto per andarmene. Per un qualche motivo, a un certo punto, ha smesso di pesarmi, ho smesso di andare dritto contro un muro. Non ci avrei scommesso un centesimo e ce ne è voluto di tempo. Ma è successo.

Inconsciamente ho mandato tutto al diavolo. Ha smesso di importarmi. Ho deciso di fare altro.

E quel che faccio adesso è semplicemente provare a vivere. Ebbene ho la presunzione di credere di sapere in parte chi sono e quel che voglio. Dopo di che molte delle cose che mi facevano struggere e soffrire hanno smesso di farlo (o lo fanno molto meno), dopo di che ho smesso di dover provare qualcosa a me stesso ogni due secondi. Respiro profondamente, cerco il coraggio e bramo l’esperienza.

Prendi ogni decisione nel giro di sette respiri. Tratta le questioni importanti con leggerezza, dà importanza alle questioni leggere.

Rituali

Recarsi ad un qualsiasi concerto, per quel che mi riguarda, significa seguire precisi rituali, anche scaramantici. I biglietti rigorosamente in mano, gli anfibi d’ordinanza (i pestoni fanno un male cane), la maglietta da indossare, salvo inusuali eccezioni, di un gruppo diverso da quello che sto andando a vedere (e possibilmente con poca attinenza al medesimo), il viaggio pianificato (mappe, GPS, serbatoio pieno, info sulle condizioni della strada etc…), macchina fotografica, tappi auricolari, cappello anti-scottatura se il concerto è all’aperto: insomma ci siamo capiti.

Non mi curo delle proteste di chi non capisce l’utilità dei tappi, posso solo consigliare un concerto dei Sunn 0))) senza e fare tanti auguri! Personalmente non mancano mai da quando, dopo il mio primo concerto, rimasi tre (3) giorni con un fastidiosissimo fischio continuo nelle orecchie… quindi, sì sì fate pure i fighi e non indossateli, ma niente udito, niente rock’n’roll. Vi rimangono il sesso e la droga: peccato che, per il primo, vi necessiti un’altra persona (e non lo darei per scontato), per la seconda, la vostra salute possa risentirne. Io rimango per il libero arbitrio ma tengo in considerazione anche il fatto che, se divento sordo, mi tocca disfarmi dei miei gioielli sonori e questa è una eventualità che non deve assolutamente presentarsi. Poi assistere al concerto con la maglietta del gruppo che suona è una cosa troooppo scontata quindi niente da fare, non mi piace confondermi nella folla e mi è anche capitato di attaccare dei bottoni interessanti grazie alle magliette fuori luogo.

Un’altra cosa fondamentale è organizzare gli spazi: le tasche devono assolutamente bastare per tutto. Ricordo bruttissimi momenti legati ad aver introdotto uno zaino ad un concerto, se iniziano le ondate di folla, la gente tende ad appendersi e a tirarti verso il baratro nella speranza che tu sia solido. Io, di mio, mi reputo abbastanza solido ma, una volta, mi sono ritrovato con una pletora di energumeni attaccati alla schiena e son finito sotto. A parte lo spettacolo grottesco di centinaia di arti inferiori che ti sovrastano, diciamo che tendi ad asfissiare ed hai la terribile sensazione di inalare aria ma non ossigeno! Inoltre non riesci a trovare la forza di tirarti nuovamente in piedi. Non ti resta che sperare in una qualche anima pia che allarghi la folla e ti allunghi la mano per tirati in piedi. Io la mia l’ho trovata: era ad un concerto dei Cure.

Neurosis
Neurosis

Tutto questo per dire che giovedì prossimo suoneranno questi signori vicino a Linate ed io non ho in mano i biglietti, non so chi venga e non mi sono organizzato per nulla. Sarà una cosa dell’ultimo momento, sperando che il fido compare, o magari qualche altra strana creatura, non disdegni di accompagnarmi. Visto il calibro del gruppo in oggetto direi che potrei anche fare l’insano gesto ed andarci da solo, ma sicuramente non sarebbe la stessa cosa… in certi casi (e con certi gruppi) il bassistico duo non dovrebbe dividersi… l’ultima volta siamo andati assieme ed è andata così:

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=L8-dVY9EIaI]

direi che non è il caso di rompere ulteriormente le tradizioni!

Neurosis: “Honor Found In Decay”

Neurosis 2012

Ai suma da bun! Ci siamo davvero! Recensire il nuovo disco di uno dei gruppi che maggiormente stimi, è davvero un’impresa simile ad attraversare un campo minato, è sicuramente qualcosa che ti mette a dura prova. Soprattutto se hai fatto di tutto per restare impermeabile alle altre recensioni che hai letto, se ti ci sei messo di impegno per cancellare dalla mente l’affetto che provi per i personaggi coinvolti, se ti sforzi di non tener conto delle emozioni incredibili che sono stati in grado di regalarti su disco e, a maggior ragione, dal vivo.

Dopo cinque anni, l’attesa era palpabile, l’ansia giustificabile. In seguito ad aver letto recensioni non sempre positive, approcciarsi al disco incuteva un certo timore perché essere delusi da un gruppo è come venire traditi da un amico, dopo riconquistarsi la fiducia è dura. Invece “Honor Found In Decay” è un disco che, seppure ascoltato ancora poche volte, mi convince e mi soddisfa. I detrattori siano avvertiti, non è poco, perché da un gruppo come i Neurosis ci si aspetta che mantengano gli standard ad un livello adeguato e così hanno fatto. Quando uscì “Given To The Rising” pensai che si stessero adagiando sugli allori, che ormai fossero soddisfatti del loro sound, che non avessero più nulla da dimostrare: era il classico disco dei Neurosis bello, in certi momenti (“The Water Is Not Enough” per dirne una) sublime, ma con qualche dubbio di fondo, circa il fatto che il percorso evolutivo straordinario che li aveva contraddistinti fin dagli anni ’90 avesse raggiunto la sua meta finale, rivelando una band eccelsa ma probabilmente un tantino statica.

Intendiamoci: stravolgimenti assoluti non ce ne sono ed è proprio stato questo uno dei fattori che mi ha fatto innamorare del gruppo: hanno una profonda coscienza della loro identità musicale e la mantengono ferma, muovendosi attorno ad essa. Ed è esattamente ciò che il nuovo disco fa e che era un po’ venuto a mancare nel precedente. Se siete fan soprattutto dei lavori come “Through Silver In Blood” o “Times Of Grace”, per non parlare dei precedenti, e pretendete un ritorno a quella formula roboante e fantastica resterete delusi e ben vi sta. Questo è forse il disco più accessibile dei Neurosis, è forse il loro lavoro che più di ogni altro ti permette di addentrarti maggiormente al suo interno, quello che oppone meno resistenza, senza dimenticarsi però che una volta dentro al loro immaginario sei in loro potere. Un po’ come fecero i russi con Napoleone, lo fecero entrare facendo terra bruciata dietro alla loro ritirata e lo lasciarono in balia del “generale inverno”. Adesso tanti auguri, scambiatela per debolezza e saranno problemi vostri.

Se da una parte ricorrono alla psichedelia, ai momenti acustici anche figli delle carriere solistiche del duo Kelly/Von Till e concedono più spazio alle tastiere di Noah Landis dall’altra il loro immaginario greve ed apocalittico non accenna a far filtrare il sole, non concede nulla alla speranza di un orizzonte meno plumbeo ed oppressivo, non arretrano di un millimetro. Le chitarre si prestano alla tattica ed aspettano nell’ombra che si presenti l’occasione giusta per assaltare l’ascoltatore, ci sono imboscate ovunque nello svolgersi dell’oretta nella quale sarete in loro balia. Non intendo aggiungere altro, se volete testarne la consistenza l’intero disco è in streaming nel sito del Roadburn Festival, un altro evento al quale sogno di partecipare, praticamente da quando esiste… peccato che non sia affatto semplice!

30 Ottobre 2012

Un nuovo disco dei Neurosis viene, a prescindere, salutato dalla monoredazione di xerosignal come un evento che, nella fattispecie, si materializzerà nella data sovraindicata. Registrato agli Elelctrical Audio Studios di Chicago dal divin prodttore Steve Albini… personalmente sono in ferventissima attesa….

Neurosis: Honor Found In Decay

Nel frattempo mi ripasso le immagini del loro concerto-capolavoro a cui ho avuto occasione di assistere l’anno passato allo spaziale festival a Torino il 20 Luglio:

B-R-I-V-I-D-I !!!

Steve Von Till: “Looking For Dry Land”

A lonely man on the mountain looks down at what he sees
All those who lie beneath him and the station of his peak
He cannot bear the weight of being so high
An island unto himself clouds obscure the sky

Looking for dry
Looking for dry land
Waiting for
His ship to come in

A worried man at the river stares across to the other side
To the risks he won’t afford and the failures he can’t hide
The levee can’t hold back the flood, the banks start to breach
He surrenders himself to the flow while the crossing lies just out of reach

Looking for dry
Looking for dry land
Waiting for
His ship to come in

A broken man in the ocean, drawn in by its sound
Clinging to the shallows afraid of going down
Sings a shanty of his life in a dialect now gone
His compass points away from himself the constellations move on

Looking for dry
Looking for dry land
Waiting for
His ship to come in

Però non ho mai detto che a canzoni, si fan rivoluzioni, si possa far poesia…

(Non l’hai mai detto, ma di sicuro l’hai pensato)

Ancora cinque canzoni su di me

Nel passaggio da splinder, sono andati persi anche i testi delle canzoni che tenevo a lato del template… di “You Can’t Kill Rock ‘n’Roll” di Ozzy Osbourne e Randy Rhoads ho già parlato ma, oltre a questa c’erano 4 canzoni più una che, tra le altre, avevo scelto per parlare di me:

1. Negazione “Niente”: Inno adolescenziale, di un ragazzo che si sente diverso, furente e poco incline a riconoscersi nei modelli esterni proposti da quanto lo circonda, anzi li odia proprio… “Per tutto questo solo ed unicamente odio”! Da qualche parte ho ancora tutta quella rabbia…

2. Sepultura “Inner Self”: Canzone leggermente più matura, si affaccia la consapevolezza del sé “Non conformity in my inner self, only I rule my innerself”!

3. Alice In Chains “Nutshell”: La consapevolezza aumenta e comincia a far male “If I can’t be my own I’d feel better dead”.

4. Nine Inch Nails “Hurt”: La consapevolezza si fa autodistruttiva “I focus on the pain, the only thing that’s real”, solitaria “everyone I know, goes away in the end” , ineludibile “try to kill it all away, but I remember everything” e intransigente “You are someone else, I am still right here”.

5. Steve Von Till “Breathe”: Il brano aggiunto. Questa canzone è legata all’estate disastrosamente calda del 2003 e ad una delle poche sincere dimostrazioni di amicizia che io abbia mai avuto in anni, un’ ancora di salvezza anche da me stesso. Grazie Steve e grazie a chi era con me. “A lifetime is too long to sleep” cercherò di ricordarmene…

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