Sono passato attraverso l’ascolto di vari generi nella mia ormai trentennale carriera nel mondo della musica pesante. Dall’adolescenza Hardcore e Thrash, alla post-adolescenza alternative-grunge alla maturità doom-death ma il genere con il quale mi sono identificato di più e che mi ha seguito sempre da quando l’ho scoperto è il doom. L’unico genere che non ha mai subito l’andirivieni delle mode (salvo una minima, meritata, fascinazione di un attimo della quale beneficiò lo stoner a metà/fine anni ’90) ma che si insinua, con le sue spire ammalianti, quasi in sordina per poi creare una piccola nicchia nel tuo cuore e non abbandonarti più. Almeno per me è andata così.
Quando poi una coraggiosa casa editrice, da queste parti omaggiata e stimata, come la Tsunami fa uscire un tomo incredibilmente ben documentato e scritto a firma Eduardo Vitolo sull’argomento, chiaro che il sottoscritto ci si fionda e, per quanto possibile, lo finisce in tempi abbastanza brevi. Ha funzionato un po’ come un ritrovo con dei vecchi amici che, con le loro canzoni, mi hanno tenuto compagnia per anni, dei quali sapevo già molto, in alcuni casi non tutto. Ci sono poi state alcune nuove scoperte: i libri come quelli di Vitolo sono sempre una minaccia per il portafoglio in quanto rivegliano la voracità di conoscenza di nuove (e vecchie) realtà sfuggite all’attenzione fino a quel momento. Va detto che Vitolo ha fatto un gran lavoro, ovviamente non può essere assolutamente esaustivo ma ci va decisamente vicino, mantenendo un discreto livello di approfondimento (poi se uno ci tiene a sapere vita morte e miracoli è giusto che si attivi anche un po’) a favore di una copertura decisamente ampia di realtà musicali (personalmente ho notato che tra le mancanze di rilievo ci siano solo i Saturnus, buonissima band danese, soprattutto nel primo periodo).
Come possibile notare nella mia play-list di fine anno gruppi doom, sludge e stoner sono benvenuti e, nell’estasi generale di compilare liste sui dischi di valore usciti nell’anno appena trascorso (2018), mi accorgo che gli amici Metal skunk votano in massa (o quasi) il disco degli Abysmal Grief “Blasfema Secta”. E’ uno di quei gruppi di cui ho sempre sentito parlare ma ai quali non mi sono mai approcciato, un po’ per ignoranza mia, un po’ perché è difficile segure tutto quello che esce durante l’anno. Vado su bandcamp e mi accaparro la fatica ultima del gruppo genovese con la speranza di aver compilato la suddetta lista troppo presto e doverla poi modificare una volta ascoltato il disco.
La risposta è un “Boh” abissale, per restare in tema. Nel senso che il disco è anche apprezzabile ma ci sono diversi dubbi che affiorano alla mente ascoltando “Blasphema Secta”. Innanzitutto sia detto che quanto sto per scrivere non desidero vada a discredito di un gruppo che rappresenta la contnuità storica con un genere assolutamente unico che ha in Italia le sue radici e anche la sua tradizione. Sto parlando di quella che appartiene a compagini come Death SS, Jacula e Antonius Rex, quindi, intanto, giù il cappello perchè gli AG sono assolutamente all’altezza di cotanti avi e a loro volta portano avanti il discorso a pieno titolo e con fierezza.
Però da qui a dire che sia il disco dell’anno… uhm avrei qualche dubbio. Innanzitutto la durata estremamente risicata se consideriamo la presenza anche di una intro, di una cover e di un brano atmosferico come “When darkness prevails” (che a me ha dato la sensazione che abbiano lasciato il registratore acceso in sala prove) rimangono soli tre brani effettivi, in sostanza sembra più un E.P. che un disco vero e proprio. E per vincere la palma del disco dell’anno con un E.P. devi essere un vero maestro, uno che condensa in tre brani il massimo possibile in termini di ispirazione, maestria e evoluzione sonora. Qui siamo un po’ lontanucci secondo me… nel senso che le composizioni sono interessanti, riescono a risultare sufficientemente sinistre e ben archietettate ma dopo quando alla fine arrivi a concludere l’ascolto del disco ti sembra che resti ben poco. I passaggi mi sembrano tutti un po’ troppo enfatizzati e colmi di trovate che a me sanno un po’ di stantio: i violini, i clavicembali , la voce maligna maschile, le voci femminili, il salmodiare e via discorrendo. Tutto funziona bene e ti si stampa in testa ma mi lascia un retrogusto che sa di vuoto. Fatevi un’idea pure voi…
Io ho votato gli Sleep e mi si potrebbero imputare molte delle critiche che muovo sul già sentito, sono di parte e lo ammetto. Me che vi devo dire: sapevo ciò a cui andavo incontro ed è stato meglio di come me lo aspettavo, non lo nego. E’ dannatamente all’altezza del suo passato e regala un’ora e passa di emozioni, almeno a me.
Magari è semplicemente un a questione di gusti, ma qui vedo ben poca sostanza e, pur conscio che non possiedo magari il retroterra culturale per apprezzarli al meglio, assolutamente consapevole che sia innegabile la loro rilevanza storica, mi sembra che abbiano giocato un po’ al risparmio, quindi no, non scalzano nessuno dalla top 10 del 2018.
Comunque grazie a Metal Skunk per avermi fatto scoprire i Messa e a Eduardo Vitolo per “Children Of Doom”.
Io.ho votato gli Unimog (er gruppo dei dinossauri che stanno a camminà … er mejo)
Grazie Capo! Sulla fiducia, Pubblicare dischi va contro la nostra religione, ma non molliamo! Daje! \m/