Ricordi che sfrecciano come treni su una tratta prestabilita, incuranti di spazio e tempo, si muovono in due direzioni andata e ritorno. Come un ideale ponte che copre in un istante un lasso di trent’anni. I treni sono diventati peggiori, invece che migliorare. Il tempo ha smussato gli angoli ma ha privato ogni cosa della appagante intensità che aveva un tempo. Milano negli anni ’90 era bellissima ai miei occhi: un turbine in continuo movimento, un’ebrezza di possibilità che non avevo mai avuto, un contenitore di stimoli che non si erano mai palesati. Andarci era un pellegrinaggio spirituale da perpetrarsi ogni fine settimana. Su tutti tre loghi del cuore: Brera, il Castello sforzesco e la zona di via Torino-Porta ticinese.
Brera spero che non perda mai il suo fascino, i suoi soffitti alti, i gessi per quanto sfregiati, l’orto botanico, le aule e gli anfratti per giovani amanti. La pinacoteca al piano superiore che sembra sovrastare l’accademia come una sorta di motto: Per Aspera, ad Astra. Del Castello ricordo meglio le panchine esterne e le ore spese allontanando il mondo: come a guardarlo da un binocolo al contrario e quella volta che esposero dentro un quadro attribuito da Federico Zeri a Antonello Da Messina. Via Torino all’epoca non era mondana come ora: passato il primo tratto c’erano i capannelli di ragazzi alle colonne di San Lorenzo, l’austera Sant’Eustorgio, la fiera di Sinigallia e porta Ticinese. Un’atmosfera quasi irreale ed io che ci galleggio dentro intontito dai miei stessi sentimenti al punto di non essere quasi per nulla disturbato dal caotico andamento che forse sarebbe la prima cosa che oggi non sopporterei e che allo stato odierno mi tiene lontano dalle spire del biscione.
Questa lunga introduzione per proseguire nel viaggio attraverso i negozi di dischi. Perché alla fine, andando a Milano tutti i sabati, era fatale che spendessi un sacco di soldi in dischi che dalle mie parti ero ben lungi dal poter pensare di reperire. La pandemia ha portato via un quarto luogo del cuore di Milano, il Maryposa Duomo. Se per coloro che mi precedevano di qualche anno il punto di riferimento era il Transex (altro posto leggendario) io ci andai solo di striscio prima che finisse per chiudere, e poi fu quasi solo Maryposa.

Prima però di parlare del Maryposa, vorrei fare un breve escursus nei negozi di dischi attivi nella città meneghina negli anni ’90:
Sound Cave: Attivo ancora oggi tramite mail order (non credo che il negozio fisico esista ancora). Era un buggigattolo vicino a porta ticinese, praticamente una sorta di replica italiana del leggendario Helvete di Oslo. Legato a doppio filo con l’etichetta Avantgarde music (quelli che hanno avuto a che fare con i Katatonia, Ulver e Ophtalamia per dire) era la patria della frangia più estrema del metal (Black e Death soprattutto, ma non solo): quando aprivi la porta venivi investito da un urlo preistorico a 1000 watt e cominciava la festa. Dentro era tutto un fiorire di etichette indipendenti e misconosciute, fanzine, edizioni limitate e quant’altro. Ammesso che riuscissi a farti sentire, i commessi erano assolutamente folkloristici e competenti: era anche un interscambio di informazioni tra i fan e tra le band. Forse oggi avrebbe poco senso con internet, ma all’epoca rappresentava una risorsa davvero preziosa.
Supporti Fonografici: Posto di fronte a Sant’Eustorgio era specializzato in musica alternativa, con un campionario interessante e ben fornito. Non ci acquistai molto ma ricordo di aver preso lì i miei primi dischi degli Einstürzende Neubauten, nello specifico un’edizione fantastica, doppio CD, di Strategien gegen architektur II: basta e avanza per ricordarselo.
Negozietto di cui non mi ricordo il nome: Anch’esso sito di fronte a Sant’Eustorgio era un po’ la continuazione del Transex (o di Videomusic di Torino, città a cui dedicherò un post più avanti) più improntato sul merchandising che sui dischi, abbigliamento “alternativo”, magliette, toppe, piercing, tinte stravaganti e chincaglieria varia soprattutto. Non era raro scovarci anche qualche bel disco. Aveva degli orari che non sono mai riuscito a memorizzare.
Zabrinskie point: a proposito di negozi che non si capisce bene quando siano aperti, Zabrinskie point era l’esempio perfetto: specializzato in punk HC, dovevi scovarlo ed il 90% delle volte era chiuso. In anni non sono mai riuscito a capire come diavolo funzionasse…
Ma veniamo al Maryposa. Su segnalazione di Metalskunk vengo a sapere che il negozio ha chiuso più o meno nel periodo del primo lockdown che, evidentemente, dopo l’avvento del supporto digitale prima e dello streaming poi gli ha dato il colpo finale. Non dico che sia stato come perdere un amico… ma quasi. Anche se non lo frequentavo da anni, sapere che c’era e sapere che se avessi fatto una puntata a Milano sarei potuto passare mi faceva sopportare di più l’idea di doverci andare. Negli anni novanta, durante i miei pellegrinaggi, era una tappa fissa. Si trovava nelle gallerie della metro sotto al duomo, lo trovavi subito se scendevi alla scala a lato della cattedrale dalla parte che punta verso San Babila. Forse secondo solo al Soundcave come ristrettezza delle dimensioni aveva i caratteristici espositori chiusi a chiave per i CD e i vinili messi dalla parte opposta (all’epoca se ne producevano comunque pochi) nella parte in fondo libri VHS e DVD, qualche gadget qui e lì. C’era un’ottima sezione di offerte e c’era anche un’aggiornata bacheca con le prevendite dei concerti: era piccolo ma c’era tutto insomma. Il vero valore aggiunto però erano i due commessi Dario e Valerio, il primo un appassionato di death metal dall’aspetto sobrio e austero che poi si stemperava con delle battute e degli ammiccamenti, il secondo un ragazzo dimesso, un po’ timido, che aveva una gran passione per la musica alternativa: nella memoria ho l’immagine sua con la felpa grigia dei Nine Inch Nails e la scritta “Now I am nothing” che penso renda bene l’idea.
Un punto di ritrovo, luogo di aggregazione e interscambio un po’ meno estremo e underground di Sound Cave ma per questo più inclusivo e meno settoriale, oltre al fatto che, trovandosi in una zona molto più frequentata ci andasse molta più gente “esterni” compresi, come il sottoscritto. Ovviamente non mi ricordo tutti i dischi comprati lì, alcuni casi però mi sono rimasti impressi tipo “World demise” degli Obituary o “Roots” dei Sepultura (tutti e due in edizione cartonata e limitata e tengo a precisare che, a scanso di equivoci, mi piacciono tutt’ora e per me sono grandissimi dischi). “Welcome to sky valley” dei Kyuss che, visto il fallimento della loro precedente etichetta ed il passaggio all’ Elektra, ci impiegò un’eternità ad uscire tanto che l’avevo ordinato in tre posti differenti (ovviamente amo il gruppo alla follia) e alla fine finì per prenderlo nel primo posto che ne avesse delle copie fisiche (il Maryposa appunto) e dovetti improvvisare delle scuse con gli altri del tipo me l’hanno regalato, sono rimasto chiuso nell’autolavaggio, ho le papille gustative interrotte etc…
Poi ci sono quegli acquisti legati a momenti particolari: mi ricordo soprattutto di “Sleep’s holy mountain” avvenuto in un momento in cui la vecchia magia era svanita ed i pellegrinaggi a Milano erano un ricordo assai doloroso, ci capitai e feci un giro nei vecchi luoghi: una pugnalata. Quando arrivai a pagare, forse fu un’impressione ma l’espressione di Dario fu una cosa tipo “mi ricordo chi sei e so anche che cosa stai passando” arraffai il disco e uscii, sapendo che per un bel periodo non ci avrei fatto ritorno. Inutile dire che adorai il disco nonostante le circostanze, comunque quella non fu l’ultima volta: dentro a quel negozio o nei suoi pressi successero tante altre cose, ma nulla fu più come prima e mi mancò non andarci con regolarità per un lungo periodo: una fase della vita si stava chiudendo ed era il caso di prenderne atto.
In tempi recenti però ogni volta che capitavo in città e ne avevo possibilità facevo un salto, quando fu passata più o meno la nottata. Ovviamente c’era sempre un retrogusto nostalgico, ma finalmente apprezzai il posto per quello che era: un negozio di dischi, di quelli dove comunque ti senti a casa. Un posto legato a doppio filo con la mia storia personale che potrà anche chiudere, patire una sorte avversa senza che tutti quelli che ne hanno usufruito e si sono sentiti a casa sotto terra, nel suo perimetro, ci possano fare nulla ma che ha influito in maniera importante nella mia formazione di musicofilo e di persona.
In definitiva un posto indelebilmente impresso nei ricordi e con un posto speciale in essi. Per il resto per riprendere la tematica ferroviaria iniziale Il treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va… e non vedo un granché di nuovo in questo.
L’ultimo disco acquistato fu “Been caught buttering” dei Pungent Stench, quello con la foto di Joel Peter Witkins in copertina: una cosa di tutto rispetto e che fece sorridere Dario, anche se non una chiusura col botto.
*Io mi ricordo della dicitura con la “y”: nel logo nuovo, quello senza farfalla e con le fiamme, c’è una “i”: ho preferito la versione dettata dalla mia memoria.