A meaning to the end

Non ci ho mai capito nulla di Pasolini. Pasolini, per me, è come un dribbling di Garrincha, formalmente incredibile, ti passa davanti e non capisci come abbia fatto. Eppure ti accorgi che non tutto è perfetto, a volte è una gamba più corta dell’altra a volte un’ombra che ti accompagna tutta la vita. Non ci ho mai capito nulla, ma alcune cose le so, per esempio so che Salò è stato uno dei film più terrorizzanti che io abbia mai visto e non c’è horror che tenga. So che ammiro l’uso del friulano, so che in ogni suo film c’è un elemento che mi disturba, so che la lunghissima scampagnata in vespa di Nanni Moretti in “Caro diario” è una delle cose più commoventi e belle mai finita su una pellicola (complice Keith Jarret, questo è sicuro) e credo di averlo già scritto allo sfinimento. Mi sono anche ascoltato tutto il podcast di Walter Siti sulla sua vita e ne ho cavato, al solito, opinioni contrastanti, senza mai giungere ad un pensiero compiuto, senza farmi un’idea precisa.

Del resto lui stesso è un incompiuto visto come hanno terminato la sua vita senza che avesse la possibilità portare a termine uno dei suoi progetti più ambiziosi, quel “Petrolio” che non avrà mai una forma definitiva. L’interruzione brutale di una vita lascia noi colmi di interrogativi irrisolti, di pensieri incompiuti di parole non dette. Che continuano a fare male. In un periodo della mia vita, e in parte ancora adesso, le cose incompiute hanno avuto un fascino enorme su di me: la fine brutale di “Easy Rider”, i romanzi di Kafka, il finale de “Il Giovane Holden”, sono solo le prime cose che mi vengono in mente. Tutte le volte che rimane del non detto. Da una parte c’è spazio per l’immaginazione, dall’altro l’ horror vacui per quel vuoto che non si riempirà mai: possiamo riempirlo noi, ma solo di ipotesi. Trattandosi di un film o di un libro mi può anche stare bene colmare il vuoto con la fantasia, se si tratta di rapporti con le persone il gioco si fa difficile.

Per quanto mi riguarda, molto difficile. La fine è un concetto arduo da gestire, forse nemmeno troppo spesso affrontato, qualcosa che si preferisce non vedere o non considerare ma che fatalmente arriva. Ci sono persone che lo considerano naturale, che pensano che qualsiasi cosa succeda faccia parte della vita, che lo accettano, non dico serenamente ma più facilmente. Io no. Io sono il classico tipo kicking against the pricks, uno che scalcia deciso anche se il pungolo è in mano ad un altro e facilmente mi toccherà andare nella direzione nella quale vuole lui e, come dice il passaggio bibblico è dura.

L’accettazione costa meno fatica ma non fa per me. Quindi ogni volta che qualcosa finisce, non finisce mai per davvero, ovvero non finisce mai per me, contro tutto e tutti. Salvo che tu rimani fermo a quando la fine di qualcosa ha avuto luogo e nel frattempo il mondo ha continuato a girare. Salvo che sei rimasto ibernato in una condizione e ti sei limitato a guardare fuori dal finestrino  mentre gli altri vivevano, mentre l’indifferenza del paesaggio esterno, ne suo scorrere, si trascinava via il tempo. La morte apparente. La vita latente. Un inferno di accidia personale.

L’unica ricompensa è che, se ti sei autoinflitto quest’inferno, questo lutto eterno, questo rimescolamento di pensieri stagnanti ed infecondi, è che poi difficilmente vedrai di peggio.

L’apocalisse è quello che c’è già, ironica soap opera.

O magari vedrai di peggio, ma con la conspevolezza di esserti tirato fuori dagli inferi già una volta. E a un certo punto del percorso, per colpa dei Klimt 1918, ti rendi conto che solo l’amare conta solo conoscere conta, non l’aver amato non l’aver conosciuto e ciò ti colpisce in faccia e capisci che non puoi cercare di rispondere e di parlare al passato perché non lo conosci più.

le persone non sono risposte, sono solo domande in più.

Back To Babylonia

Per molti anni parlare di Biella ha significato parlare di industrie tessili, poi è arrivato il famigerato mobilificio Aiazzone e quidi il nulla o quasi, se si escludono Pistoletto e la serie di Zerocalcare. Io ho la speranza che la città nei pressi della quale vivo venga ricordata dagli appassionati di musica per quel locale che a cavallo tra gli anni novanta e l’inizio dei duemila ha significato così tanto per i biellesi e non solo: Il Babylonia. Il primo contatto col locale l’ho avuto tramite Aldo, quello che poi sarebbe diventato il padrone del locale. Nel suo negozio di dischi (prima Fragole e panna e poi Paper moon, resiste ancora con un’altra gestione) mi disse che voleva aprire un club per la musica dal vivo che fosse un po’ esclusivo e che per accedervi sarebbe stato il caso di fare la tessera dal costo, per me all’ epoca non irrisorio, di 20000 lire.

Non se ne fece nulla per qualche mese, false partenze, situazioni poco chiare e un concerto fantasma dei Radiohead che, alla fine, non ho mai capito se abbiano o meno suonato nel locale. Alla fine però riuscì a partire e fu un punto di riferimento costante almeno per il nord-nord ovest del paese. Il primo concerto che ci vidi fu Cyco Miko e fu pazzesco: prima loro, poi gli Infectious Grooves e, in fine una jam sesion finale con 6 brani dal primo disco dei Suicidal Tendencies. Alla fine nemmeno mi ricordavo più delle 20000 lire iniziali finite chissà dove. Continuò in questo modo per un decennio circa, portando a pochi chilometri da casa gruppi che prima, se eri fortunato, passavano a Torino o Milano. Fu un’epoca gloriosa, potevi andarci al pomeriggio e salutare i gruppi prima del soundcheck, entrare dopo una certa ora quando Aldo apriva i cancelli oppure passare e stare fuori a chiacchierare con qualcuno con un’opportuna dose di birra nel bagagliaio.

Sabato scorso, presso il nuovo Hydro, sempre a Biella, ha avuto luogo Back to Babylonia: una giornata per ricordare il locale con interviste a vecchi frequentatori (tra cui il sottoscritto) e concerto con dj set in serata. A dire la verità il progetto di raccogliere materiale sui concerti (foto, video, registrazioni, locandine etc…) era già partito molto prima, poi è arrivata la pandemia e il progetto si era un po’ arenato, ora pare stia ripartendo e speriamo che porti a un giusto ricordo di quello che è stato e di ciò che ha significato il locale .

Non è solo una questione di nostalgia, è proprio una celebrazione di un posto che, a ripensarci, sembra incredibile sia esistito veramente. Risedersi sugli stessi divanetti per farsi intervistare (chissà come li avranno recuperati), non lo nascondo, mi ha fatto effetto, essendo fiducioso che, nel frattempo, qualsiasi residuo, di qualsiasi tipo, fosse abbondantemente defunto.

Nell’intervista varie domande e una simil conversazione con altri due ex-frequentatori del luogo, uno addirittura giunto da Torino, nella massima naturalezza. Poi l’intervista individuale con la classica domanda: “quali sono stati i tre migliori concerti visti al Baby?” sui primi due non ho avuto dubbi. I Neurosis furono stupefacenti con le proiezioni,  i loro brani apocalittici (credo che lì li vidi nel tour di “Times of Grace”) e la sensazione che fossero in grado di polverizzare chiunque dal vivo, poi i My Dying Bride (era il tour di “Like gods of the sun”) con i quali ci intrattenemmo un intero sabato pomeriggio e il terzo… nell’indecisione ho detto Voivod, ma col senno di poi direi sicuramente Queens of the stone age o Unida. Senza parlare del clamoroso exploit dei CSI che poi finirono per suonare al palasport per la troppa richiesta durante il tour di “Tabula rasa elettrificata”.

In serata mi sento di parlare solo del fantastico concerto dei Sabbia, il resto me lo sono un po’ perso salutando varia gente e gravitando attorno al bar. Però i Sabbia hanno dato vita a un concerto veramente speciale, come se non bastasse il disco (“Domomentál”, di cui ho già disquisito) che si è già inserito prepotentemente fra i miei preferiti per l’anno in corso, dal vivo sono stati qualcosa di assolutamente coinvolgente: un’ora circa di magia onirica, un’ atmosfera desertica e torrida, qualcosa che ti colpisce con  quella fisicità in più che solo un concerto dal vivo finalmente intenso può regalare, forse l’unica cosa impossibile da trasportare completamente su disco.

Quasi vent’anni dopo è un piacere constatare che abbiamo ancora qualche motivo per essere fieri della terra che ci ospita e questi sono i Sabbia e vederli dal vivo ha sicuramente consolidato quest’impressione. Il problema è che mi riesce difficile parlarne perché l’atmosfera che creano rende ardua qualsiasi razionalizzazione o descrizione. Come diceva Battiato “È bellissimo perdersi in quest’incantesimo” e quindi vi lascio tre dei loro brani. Il consiglio è quello di lasciarsi trasportare, fidatevi.

Riflessioni e divergenze tra il fedele Ferretti e me nell’anno della data palindroma.

Giovanni. Lindo. Ferretti. Qualche anno fa ricevetti un invito da parte di un amico per recarmi a vedere l’ex voce dei CCCP/CSI che avrebbe tenuto un concerto di lì a poco in un paesino vicino a casa. Fu un’occasione che non colsi. Volontariamente. Io c’ero quando i CSI vennero a Biella costringendo gli organizzatori del concerto a sportarlo al palasport per il numero inaspettato di biglietti venduti. Fui uno di quelli che fece fare a “Tabula rasa elettrificata” il clamoroso balzo in avanti nelle classifiche nazionali.

Volevo tenermi stretti quei ricordi. Volevo tenermi stretti tutti quelli che riempiriono il palasport, perché mai avrei pensato che la mia città potesse rispondere a quel modo, volevo ricordarmi quegli anni dove finalmente era permesso ai sedicenti alternativi di uscire dal guscio. Sono un nostalgico, non per tutto, ma per questi cari ricordi lo sono.

Adesso vedere Ferretti dal vivo non so che effetto potrebbe farmi, ma nemmeno mi interessa di scoprirlo. Sono cambiate troppe cose e esiste una pagina facebook che si chiama “Convinciamo Ferretti a drogarsi di nuovo”. Se esiste ci sarà un motivo. Anche piuttosto serio. Il punto però non è che lui ha fatto del punk filosovietico ed ora vota dall’altra parte. La gente ha il diritto di cambiare idea come e quanto vuole. Quello che non perdono a Ferretti e di aver perso lo spirito critico, il gusto di sfottere l’ideologia. Non è mai stato uno allineato nemmeno al punk, i punk del Virus di Milano lo contestavano violentemente (mai letti i libri di Philopat?), non è stato allineato nemmeno al comunismo, anche se aveva la tessera del PCI, gli sberleffi alla parte politica propria della sua regione non si contavano. Adesso è l’ombra di quello che era, uno che l’ha fatta finita con la contestazione, con l’ironia, con la destabilizzazione.

Uno allineato. E che il termine incuta terrore è palese. Riflettendo su tutto questo mi sono detto che, con tutto l’affetto per il suo passato, non potevo andare a vedere un suo concerto. La voce poteva essere ancora quella, ma l’uomo dietro alla voce che fine ha fatto? Soprattutto perché non applica al suo nuovo credo quello che all’epoca applicò al comunismo? Perché non lo irride, perché non lo critica, perché non lo destabilizza? Il materiale non manca di certo. La risposta non la conosco. So solo che allinearsi è comodo, fa sentire le spalle coperte e ti irradia di quella sensazione di protezione che si prova ad appartenere ad un gruppo, di illude di esser parte di una storia ed una tradizione, ti offre di mimetizzarti in un’idea pensata da altri che tu devi solo fare un minimo sforzo per sostenere. Bada solo che il tuo naso sia ben tappato prima di cedere, perché quel calore deriva dall’intestino di qualcun’altro.

Col tempo ho imparato che mai è una parola troppo definitiva. Chi sa di che siamo capaci tutti? Vanificato il limite oramai. L’unica strada che si può provare a percorrere è quella di essere attenti per essere padroni di sé stessi. Ed io ho intenzione di provarci. Ancora.

Allo stesso modo in cui mi ritrovo a pregare ogni volta che varco la soglia di un ospedale perchè l’ultima cosa che io veda non siano delle infermiere che mi girano attorno o la faccia preoccupata di qualcuno, il pavimento di linoleum e le pareti bianche, nello stesso modo spero, con tutto me stesso, che non si spenga mai in me la scintilla della riflessione, l’attitudine alla ribellione, il piacere dello stupore e l’orgoglio di averci provato. Fino alla fine. Non importa quante volte sarà necessario cambiare per non sentirsi soffocare, non importa se a qualcun’altro possa sembrare che io sia sceso a compromessi, non importa nulla, se non restare attivo e fedele a me stesso.

E sì, ogni tanto prego anche io, un dio diverso dal suo.

Epitaffio digitale

La morte di una persona è un evento tragico, una perdita, un distacco eterno e forzato. La dipartita di persone famose lascia un vuoto diverso nell’immaginario collettivo: si fa spesso riferimento a quanto prodotto in vita, all’apporto che un artista, uno scienziato,un attivista hanno fornito alla collettività e si fa correre il pensiaro al fatto che quell’apporto non potrà più essere elargito se non come memoria postuma, come lascito intellettuale. Ultimamente il ricordo delle persone che vengono a mancare è affidato ad epitaffi digitali: le bacheche, i blog, qualsiasi altra forma di comunicazione si riempie di messaggi di cordoglio: le facce delle persone riempiono i pixel degli schermi, le date diligentemente riportate come su una lapide digitale. Tutto questo stillicidio di messaggi  dapprima mi faceva pensare di essere parte di un diffuso sentimento di cordoglio e quindi più di una volta ho partecipato anche io.

Solo che poi da una palla di neve è diventata una valanga. Particolarmente nel 2016, anno di dipartita di numerose personalità importanti, la cosa ha assunto dimensioni abnormi e anche ora non accenna a diminuire. Un compianto funebre senza fine che ha finito per svilire la cosa riducendo le bacheche in immensi muri del pianto dozzinali che, tirando le somme, mi lasciano indifferente se non proprio annoiato, fermo restando il dispiacere per colui/cole che ci ha lasciati.

Alla seconda/terza epigrafe elettronica mi assale un senso di oppressione ed una domanda: ma non sarà che attraverso questo mecccanismo non si cerchi di “dare per primi la notizia”, di rendersi in qualche modo visibili in modo che poi ti sovvenga, oltre che il nome del defunto anche quello di chi ha diffuso la notizia? E non sto parlando delle persone che giustamente rendono omaggio al dipartito con un sentito post circostanziato, nel quale almeno spiegano le loro sensazioni, quanto l’opera del personaggio ha significato per loro e via discorrendo. Sto parlando di tutti gli altri.

Alla fine mi sembra una sorta di moda, come quelli che fotografano il cibo e poi lo postano o quelli che si fanno gli autoritratti con le persone famose. Non posso che giungere sempre alla conclusione che terrò per me stesso i miei sentimenti, lasciando trasparire solo poco all’esterno perchè le modalità con cui lo si fa al giorno d’oggi non mi appartengono e mi sembrano squallide e dozzinali. Fecebook et similia hanno dei lati positivi (per quanto mi riguarda segnlarmi i concerti e qualche uscita discografica che  potrebbe sfuggirmi e, magari, tenermi in contatto con persone alle quali tengo ma che non riesco a vedere spesso) ma mi appaiono totalmente inadeguati a contenere riflessioni e sentimenti profondi quali possono essere dei cordogli sentiti, nel caso. Sono un mezzo superficiale e come tali vanno utilizzati.

In questi termini, mi sovviene spesso una canzone di CSI:

Ho dato al mio dolore la forma di parole abusate
che mi prometto di non pronunciare mai più.

 

Del resto m’importa una sega!

csi

“Tabula rasa etettrificata” è un disco dei C.S.I. ed è uscito vent’anni fa. Rappresenta un piccolo miracolo  essendo arrivato al primo posto nella classifica dei dischi più venduti nell’anno di grazia della musica indipendente 1997.

“T.R.E.” terzo disco da studio dei nostri, nasce da un viaggio spirituale e materiale effettuato in Mongolia dalla premiata coppia Zamboni-Ferretti coronando loro sogno di lunga data di visitare quelle lande desolate. Il titolo si rifarisce infatti a quei paesaggi fatti di steppe scarsamente abitate solo raramente percorse da fili e tralicci elettrici. Al rientro le loro suggestioni sono ben lungi dallo spegnersi e finiscono per travogere anche i restanti membri del gruppo, che sposano idealmente il nomadismo inoculato nei due amici e partono in esplorazione delle loro esperienze, aiutandoli a metterle in musica. La concentrazione di energia che se ne ricava, figlia anche del momento storico estremamente favorevole, è tale che per un attimo, un solo lungo e glorioso attimo, pare che tutte le orecchie di chi ascolta musica indipendente ed alternativa in Italia si rivolgano in direzione dei loro amplificatori fungendo da enorme cassa di risonanza. Tutti assieme. Tutti nel momento stesso in cui il disco esce nei negozi.

Il contesto è quanto mai propizio: La musica alternativa sembra aver definitaivamente sfondato la porta anche nella più provinciale delle nazioni musicalmente “evolute”. I Nirvana fecero il grosso del lavoro, sdoganando sei anni prima certe sonorità, troppo pesanti e scomode per emergere prima di allora. C’è voluto comunque molto tempo ma l’ Italia sembrava, finalmente, essere pronta: siamo sempre stati in ritardo su tutto.

In quel momento infatti il disco svettava sopra tutti, sopra tutto il ciarpame che ha sempre infettato le orecchie del paese. Fissi il giornale, ascolti attonito la radio, sgrani quasi commosso gli occhi davanti alla televisione che annunciano la lieta novella e, alla fine, realizzi che è vero!

E parte il delirio. Chi salta sul carro degli effimeri vincitori (comunque in pochi), chi li sbeffeggia ostentando cultura conforme, chi non se lo spiega e chi fa esplicito sfoggio di ignoranza e presunta superiorità sminuendo l’accaduto.

Tutto intorno la popolarità cresce ancora di più e, nonostante ciò finisca poi per minare percolosamente la stabilità del gruppo,  diventa difficile non esserne beffardamente entusiasti. Forse proprio l’eccessivo riscontro finirà per far decidere al gruppo di ritirarsi (almeno con questa denominazione) diventando di fatto una maledizione, ma non c’è tempo per pensare.

Il disco era in vetrina, con la sua copertina di cartone col libretto incollato. Era l’ultima copia arrivata in provincia. Ne avevano mandate tre e le altre due erano andate, negli altri negozi non ce n’era traccia. Per un caso fortuito ne avevo seguito l’uscita aspettando paziente e mi ero fatto trovare pronto. Eravamo tutti pronti, tutti in linea per dare il nostro contributo e spingere in alto quel gruppo che con “Linea gotica” aveva regalato alla nazione uno dei dischi più intesi da una decade a quella parte. Tutti insieme abbiamo osato alzare la voce all’unisono. Ed è stato un bellissimo suono, impossibile da ignorare.

csi_tre_live

I dati di vendita di un disco continuano a non significare nulla per me, ma per coloro che ancora ritengono siano legati alla qualità della proposta fu un duro colpo. Forse fuorono costretti ad ammettere che c’era qualcosa di dannatamente buono in quella musica. La meritocrazia che per la prima volta faceva capolino nel paese. L’eccezione che conferma la regola. L’emarginato che, per una volta, emargina.

Nella mia cittadina il solito locale che all’epoca conteneva concerti medio-piccoli deve abdicare e gli organizzatori, vista la portata dell’evento, sfrattano il basket dal palasport per una serata epocale, ancora viva negli occhi di chi c’era.

Nonostante il ’97 mi avesse messo a dura prova dal punto di vista personale e la mia vita stessa fosse, in quel periodo, una tabula rasa elettrificata dal punto di vista morale e sentimentale, colma di vuoto e piena di violento ed elettrico dolore, ero presente abbastanza per ricordarmi tutto questo vent’anni dopo.

Se i Nirvana, per dirla con il libro su “Planet rock”, fecero l’ultima, grande, rivoluzione in campo rock, i C.S.I. fecero forse l’unico tentativo degno di nota di dare una voce reale e tangibile all’ Italia musicale che fieramente non appartiene alla venerabile tradizione cantautoriale da una parte e nemmeno all’immondizia musicale che dominava (e domina ancora) le classifiche dall’altra. Il bello è che, nonstante poi lo scarsissimo seguito, ci riuscirono in pieno.

Del resto m’importa una sega sai, ma fatta bene che non si sa mai!

 

Memoria

Il cuore secondo Leonardo

La distanza diventa incolmabile ed io ardo di vuoto. Ardo per la vostra assenza, ardo di buio, ardo di una fiamma algida e implacabile, ardo dell’amore che non ho mai smesso di provare, ovunque voi siate. Lontani per chilometri, lontani per distanze inquantificabili. Ho invocato la solitudine ed ho ottenuto l’oblio e l’incomunicabilità. Ho invocato la solitudine, tuttavia non il silenzio e l’abbandono. Indissolubile melancolia di risposte a domande che ho osato rivolgere solo a me stesso. Voi siete in me, sappiatelo. Alcuni in zone morte, tra le striature del cuore, altri in atrii e ventricoli bui eppure mai così vivi come in questo momento. E se le ferite traboccano di sangue scuro, il cuore non smetterà di battere e di testimoniare questi legami dei quali non parlo, ma che non per questo non esistono. Voi siete vivi, tra le vertigini dei ricordi, nelle vite che trascorrono lontano dall’azzurro screziato dei miei occhi, nelle vite che conducete dispersi nell’azzurro del cielo. Sento la vostra presenza ed immagino il vostro sguardo. E  mi struggo per non consumare la vostra memoria ed onorarla.

Laura Filippi ART

Matite acquerellabili

a band a day.

www.daily.band

Doom Charts

A one-stop shop for the best new heavy albums in the world...

Nine Circles

We, The Blog

Sugli Anelli di Saturno

Camminare attorno al tuo pianeta

Shoegaze Blog

Punk per gente introversa

Less Talk.More Rock

ON THE SCENE SINCE 1994

miss mephistopheles

Satan Is A Lady

Head-Banger Reviews

Daily Reviews for the Global Domination of Metal and Rock Music

Un Italiano in Svezia

Le avventure di un emigrato

rockvlto

be rock be cvlt

Il Raglio del Mulo

Raccolta disordinata di interviste

neuroni

non so chi abbia bisogno di leggerlo

10.000 Dischi

I dischi sono tutti belli, basta saper coglierne gli aspetti positivi

Blast Off

How heavy metal reached the peak of its stupidity with me

Sull'amaca blog

Un posto per stare, leggere, ascoltare, guardare, viaggiare, ricordare e forse sognare.

Note In Lettere

Note in lettere, per l'appunto.

Blog Thrower

Peluria ovunque, ma non sulla lingua

Layla & The Music Oddity

Not only a music blog

.:alekosoul:.

Just another wanderer on the road to nowhere

Stregherie

“Quando siamo calmi e pieni di saggezza, ci accorgiamo che solo le cose nobili e grandi hanno un’esistenza assoluta e duratura, mentre le piccole paure e i piccoli pensieri sono solo l’ombra della realtà.” (H. D. Thoreau)

dirimpa.wordpress.com/

pensieri sparsi di una coccinella felice

Polimiosite: nome in codice RM0020.

La polimiosite è una malattia muscolare rara ancora poco conosciuta. Aiutami a informare e sostenere chi ne è affetto!!!

BASTONATE

Still Uncompromising Blog

metalshock.wordpress.com/

Perché la gente non sa che si perde a non essere metallari

Words and Music

Michael Anthony's official blog and book site

Fumettologicamente

Frammenti di un discorso sul Fumetto. Un blog di Matteo Stefanelli

Appreciation of Trevor Dunn

Appreciation of Trevor Roy Dunn, composer, bass and double bass player extraordinaire.

Briciolanellatte Weblog

Navigare con attenzione, il Blog si sbriciola facilmente

laglorificazionedelleprugne

perché scrivere è anche questo

ages of rock

Recensioni e pensieri sulla Musica Rock di tutti i tempi

Fuochi Anarchici

Fuoco fatuo, che arde senza tregua. Inutile tentare di estinguermi o di alimentarmi, torno sempre me stessa.

fardrock.wordpress.com/

Ovvero: La casa piena di dischi - Webzine di canzonette e affini scritta da Joyello Triolo