Per molti anni parlare di Biella ha significato parlare di industrie tessili, poi è arrivato il famigerato mobilificio Aiazzone e quidi il nulla o quasi, se si escludono Pistoletto e la serie di Zerocalcare. Io ho la speranza che la città nei pressi della quale vivo venga ricordata dagli appassionati di musica per quel locale che a cavallo tra gli anni novanta e l’inizio dei duemila ha significato così tanto per i biellesi e non solo: Il Babylonia. Il primo contatto col locale l’ho avuto tramite Aldo, quello che poi sarebbe diventato il padrone del locale. Nel suo negozio di dischi (prima Fragole e panna e poi Paper moon, resiste ancora con un’altra gestione) mi disse che voleva aprire un club per la musica dal vivo che fosse un po’ esclusivo e che per accedervi sarebbe stato il caso di fare la tessera dal costo, per me all’ epoca non irrisorio, di 20000 lire.
Non se ne fece nulla per qualche mese, false partenze, situazioni poco chiare e un concerto fantasma dei Radiohead che, alla fine, non ho mai capito se abbiano o meno suonato nel locale. Alla fine però riuscì a partire e fu un punto di riferimento costante almeno per il nord-nord ovest del paese. Il primo concerto che ci vidi fu Cyco Miko e fu pazzesco: prima loro, poi gli Infectious Grooves e, in fine una jam sesion finale con 6 brani dal primo disco dei Suicidal Tendencies. Alla fine nemmeno mi ricordavo più delle 20000 lire iniziali finite chissà dove. Continuò in questo modo per un decennio circa, portando a pochi chilometri da casa gruppi che prima, se eri fortunato, passavano a Torino o Milano. Fu un’epoca gloriosa, potevi andarci al pomeriggio e salutare i gruppi prima del soundcheck, entrare dopo una certa ora quando Aldo apriva i cancelli oppure passare e stare fuori a chiacchierare con qualcuno con un’opportuna dose di birra nel bagagliaio.
Sabato scorso, presso il nuovo Hydro, sempre a Biella, ha avuto luogo Back to Babylonia: una giornata per ricordare il locale con interviste a vecchi frequentatori (tra cui il sottoscritto) e concerto con dj set in serata. A dire la verità il progetto di raccogliere materiale sui concerti (foto, video, registrazioni, locandine etc…) era già partito molto prima, poi è arrivata la pandemia e il progetto si era un po’ arenato, ora pare stia ripartendo e speriamo che porti a un giusto ricordo di quello che è stato e di ciò che ha significato il locale .
Non è solo una questione di nostalgia, è proprio una celebrazione di un posto che, a ripensarci, sembra incredibile sia esistito veramente. Risedersi sugli stessi divanetti per farsi intervistare (chissà come li avranno recuperati), non lo nascondo, mi ha fatto effetto, essendo fiducioso che, nel frattempo, qualsiasi residuo, di qualsiasi tipo, fosse abbondantemente defunto.
Nell’intervista varie domande e una simil conversazione con altri due ex-frequentatori del luogo, uno addirittura giunto da Torino, nella massima naturalezza. Poi l’intervista individuale con la classica domanda: “quali sono stati i tre migliori concerti visti al Baby?” sui primi due non ho avuto dubbi. I Neurosis furono stupefacenti con le proiezioni, i loro brani apocalittici (credo che lì li vidi nel tour di “Times of Grace”) e la sensazione che fossero in grado di polverizzare chiunque dal vivo, poi i My Dying Bride (era il tour di “Like gods of the sun”) con i quali ci intrattenemmo un intero sabato pomeriggio e il terzo… nell’indecisione ho detto Voivod, ma col senno di poi direi sicuramente Queens of the stone age o Unida. Senza parlare del clamoroso exploit dei CSI che poi finirono per suonare al palasport per la troppa richiesta durante il tour di “Tabula rasa elettrificata”.
In serata mi sento di parlare solo del fantastico concerto dei Sabbia, il resto me lo sono un po’ perso salutando varia gente e gravitando attorno al bar. Però i Sabbia hanno dato vita a un concerto veramente speciale, come se non bastasse il disco (“Domomentál”, di cui ho già disquisito) che si è già inserito prepotentemente fra i miei preferiti per l’anno in corso, dal vivo sono stati qualcosa di assolutamente coinvolgente: un’ora circa di magia onirica, un’ atmosfera desertica e torrida, qualcosa che ti colpisce con quella fisicità in più che solo un concerto dal vivo finalmente intenso può regalare, forse l’unica cosa impossibile da trasportare completamente su disco.
Quasi vent’anni dopo è un piacere constatare che abbiamo ancora qualche motivo per essere fieri della terra che ci ospita e questi sono i Sabbia e vederli dal vivo ha sicuramente consolidato quest’impressione. Il problema è che mi riesce difficile parlarne perché l’atmosfera che creano rende ardua qualsiasi razionalizzazione o descrizione. Come diceva Battiato “È bellissimo perdersi in quest’incantesimo” e quindi vi lascio tre dei loro brani. Il consiglio è quello di lasciarsi trasportare, fidatevi.