STORMO: Endocannibalismo

Di solito quando esce un potenziale disco dell’anno già a febbraio me ne esco con delle frasi di pseudo-circostanza come “sarà difficile che qualcuno possa fare meglio quest’anno” oppure “un serio candidato alla prima posizione nel classificone di fine anno” che per me equivalgono a degli standard oramai svuotati di significato come riff al fulmicotone o sezione ritmica tellurica tanto cari a chiunque scriva di metal e affini.

Questa volta no. Potrei anche smettere di scrivere su quello che uscirà quest’anno perché il 10 febbraio abbiamo già un vincitore che si chiama “Endocannibalismo”, il nuovo disco degli STORMO scritto maiuscolo. Perché questa è una prova maiuscola, un disco eccellente, una band vera fatta da belle persone prima che da musicisti. Se mi dite che sono di parte, vi do anche ragione: ho già comprato tre versioni del disco e tenderò a regalarle a chiunque penso possano piacere, un po’ come facevano i Nirvana con i Kyuss a inizio carriera, e poi arrivano da un luogo vicino al mio cuore (Feltre) perché è il paese di origine di un ramo della mia famiglia e un posto di cui sono innamorato. Esattamente come della loro musica.

Quindi sono di parte e ve lo confesso. Questo però non sminuisce il disco che è bellissimo e non vi stupisca se lo dico di un album a tratti furente e violento, sono molto più violente e intense le sensazioni che mi provoca. Ti afferra e ti scuote, ti attacca da ogni lato, senza tregua, ma in questo sta il suo fascino, nel non darti tempo di rifiatare mai, nel farti guardare le cose da mille angolazioni diverse nel giro di un singolo brano.

Ci mettono dentro tanto, ci mettono dentro l’anima, non so in quanti possano dirlo oggi, ma ogni singolo strumento si incastra e ritaglia il suo spazio in un’ amalgama unica, completata da testi ermetici e spirituali come sono soliti fare. Ogni brano è un mondo a sé eppure il disco risulta incredibilmente organico e completo. Rispetto al passato l’evoluzione si sente, soprattutto nella produzione che risulta meno caotica (gran lavoro di un grandissimo Giulio Favero!) che in passato, permettendo veramente di godere appieno della loro stupefacente creatività ed eclettismo. Inoltre incorporano suoni nuovi: una canzone dalle pennellate cupe come “Sorte” ancora mancava al loro repertorio o “Valichi, oltre” dove quasi diventano calmi per metà canzone, sintomo che quelle aperture del disco precedente (la bellissima “Niente” per esempio) non erano episodi isolati ma una genuina attitudine ad evolvere sempre verso qualcosa di nuovo, fosse anche solo una sfumatura.

Sempre memori della lezione HC, screamo e metal, rendono giustizia ai loro generi preferiti attraverso un lavoro che ha ben chiare le sue radici, ma altrettanto cari i suoi rami che si allungano verso il cielo e verso l’inesplorato.

Sorretti da una batteria a tratti sovrumana, gli altri membri del gruppo riescono a esaltarsi a turno offrendo veramente pochi punti di riferimento all’ascoltatore ed è proprio mentre pensi di aver capito un brano che ti fanno mancare la terra sotto i piedi e sconvolgono bruscamente il tuo senso dell’orientamento, portandoti altrove nel giro di un nanosecondo. Lo stupore è forse la cosa più bella di questo disco: la sensazione di meraviglia che si prova canzone dopo canzone, nota dopo nota, attimo dopo attimo. Nessuno può uscire uguale a prima dopo aver ascoltato un disco come questo ed è esattamente ciò che manca al 99% dei dischi che escono oggi, troppa musica e nessun incanto. Ma, assolutamente, non è questo il caso: si nutrono di sé stessi e rinascono ancora una volta… deflagrando ogni cosa in un modo personale e bellissimo.

Dove la terra finisce (ed inizia la musica)

A chiunque sospetti che la musica di un certo tipo (estrema) sia finita e non abbia più nulla da dire farei ascoltare gli Storm{O} da Feltre. E’ appena uscito il loro nuovo “Finis Terrae” e quale occasione sarebbe migliore per cominciare a conoscere il gruppo? Dopo due dischi che li hanno messi all’attenzione generale, il terzo non tradisce le attese. Hardcore moderno, tirato, nervoso, teso come una lama e violento. Quasi sicuramente figlio imbastardito di uno di quei gruppi, i Converge, che molto tempo fa mi sembrava rappresentassero il futuro della musica. Dalla loro fondamentale lezione gli Storm{O} sono partiti, per rileggere la materia sonora in chiave estremamente personale, con il cantato in italiano e i testi sempre ispirati e mossi da una passione fiammeggiante ed autentica.

L’evoluzione continua, anche in questo lavoro. Sinceramente: vedere dei ragazzi (l’età media è comunque relativamente bassa) che se ne escono da una provincia della quale i più non hanno nemmeno mai sentito parlare (con Biella è lo stesso discorso) con una simile proposta ed un simile livello di ispirazione, passione e, diciamolo pure, preparazione tecnica è qualcosa che lascia intravedere delle possibilità di vita per il genere tutto.

Il disco è una mazzata in piena faccia. Il disco, però, non è solo una mazzata in piena faccia, si profilano all’orizzonte degli scenari evolutivi interessanti: basta sentire le aperture quasi industrial di “Niente” (il cui titolo ricorda una storica canzone dei Negazione, ma musicalmente mi ha riportato alla mente qualcosa dei Jesu/Godflesh più tesi) e negli episodi maggiormente ragionati come “Progresso”. Il resto è furioso, il resto sono schegge impazzite ed incontrollabili di rabbia, dissonanze, accelerazioni e rasoiate sonore: non ci si protegge dagli Storm{O}, li si lascia passare, si gode dello spettacolo della tempesta e alla fine si contano le ossa per vedere se è ancora tutto a posto. Impossibile restare indifferenti di fronte all’enorme lavoro compiuto dalla batteria (vero punto di forza del lavoro), di fronte alla coesione generale di un gruppo che rimane tra i fari illuminanti (ed illuminati) della scena italica.

Se proprio devo muovergli una critica riguarda la produzione, in quanto spesso il cantato nella lingua madre diventa, nell’aggressione generale, quasi intelleggibile sommerso com’è da tutto il resto. Non è una grave pecca perché sono sicuro che, testi alla mano, sia possibile capire ogni parola, tuttavia si perde un po’ di quella immediatezza nel messaggio che dovrebbe essere tra le caratteristiche base del genere. Altri appunti al disco non mi sento di muoverne: gli Storm{O} tornano a presentarsi come una delle più convincenti e belle realtà in ambito di musica estrema in Italia, consolidano la loro posizione e gettano un paio di idee sul piatto per il futuro. Dal prossimo lavoro sono auspicabili maggiori spinte evolutive nel suono, ma per ora il disco funziona alla perfezione e, al momento, non si può chiedere di più.

Ho ancora un rammarico personale: quando passarono da qui, in un concerto nell’unica vera (e meritevole) sala da concerto locale (l’ Hydro) , si esibirono assieme ai locali O (che colpevolmente non avevo citato nel post sulla scena locale) e furono massacrati da suoni pessimi che ne rovinarono irrimediabilmente la prestazione riducendola ad una poltiglia sonora dalla quale a mala pena si scorgevano le potenzialità della band. Spero di poterli rivedere presto in un contesto migliore: gruppi come questo necessitano assolutamente di avere fonici in grado di farli rendere al meglio per non vanificarne il talento.

“What frequency are you getting?

Refused
Refused

…Is it noise or sweet sweet music?”

Ho bellamente ignorato i Refused fino al 2004, nonostante il loro capolavoro “The shape of punk to come” (titolo che omaggia Ornette Coleman) fosse già uscito da 6 anni e fosse riconosciuto da più parti come un lavoro di assoluto valore. A volte capita che tralasci volutamente, o quasi, un disco o un gruppo -mi ricordo che successe anche con “Killers” degli Iron Maiden o con “The Ultimate Sin di Ozzy- con il risultato che, quando poi ti si accende la lampadina, o hai dei soldi da investire in supporti ottici o vinilici, il disco in questione ti investe con una veemenza ancora più incontrollabile.

Ed è questo il caso: il disco mi si para davanti in un negozio, abbastanza megastore, di Chester in Inghilterra e ricordo distintamente che pensai: ecco adesso è il caso di ascoltarlo. Una folgorazione. Il disco sembrava esattamente la ventata d’aria fresca della quale un genere come l’HC, ma anche il punk in generale, avevano assolutamente bisogno. Personali, ispirati e dannatamente concreti nella loro lucida ribellione… e sembra assurdo che siano degli Svedesi di Umeå, una cittadina che sembra lontana da tutto, a mostrare una simile rabbia canalizzata perfettamente nell’etica inviolabile che li caratterizza e anche nella loro proposta musicale.

La Svezia sembra uno dei posti più civili del mondo ma, magari, proprio vivendo in mezzo a tale e tanta socialdemocrazia funzionante magari ci si rende conto di quanta strada ci sia ancora da fare, piuttosto che di quella già percorsa sul sentiero dell’integrazione e della giustizia sociale. Perché anche dal punto di vista dell’impegno, non si tirano certo indietro, riprendendo tutta una serie di temi già proprie di gruppi come Crass, Discharge, Minor Threat o Black Flag, resi naturalmente alla loro maniera e anche con una buona dose di autoironia, come quando scimmiottano la deriva italiana della musica house facendo introdurre un loro brano ad uno stralunato dj di un’ ipotetica radio sole energia. Oltre a questo, nel disco, si notano diverse aperture inconsuete quanto riuscite nei confronti di inserti elettronici o di strumenti non proprio convenzionali come contrabbasso e violoncello.

Con il senno di poi, va detto che passato l’entusiasmo del primo momento, le influenze hanno finito per palesarsi, ma sono comunque assolutamente nobili se pensiamo che il gruppo di riferimento è la creatura di Ian McKaye e Guy Picciotto, ovvero una delle più convincenti compagini del post-HC di Washington DC: i Fugazi, f***ked up situation. Poco dopo l’incisione del loro disco, nella migliore tradizione, il gruppo si scioglie, senza che i membri restino inattivi: Dennis Lyxzén da vita ai The (International) Noise Conspiracy e gli altri ai TEXT. Ed io, con sei anni di ritardo, mi aggiravo sullo storico selciato della capitale del Cheshire urlando “Can I Scream!?” e, probabilmente, facendomi prendere per pazzo dai passanti… tuttora mi esalta fare cose del genere!

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Il primo amore non si scorda mai!

IL FILM | THE MOVIE | COMING SOON 2013
Le origini dell’hardcore punk in Italia. Le città e i centri nevralgici. L’autogestione, i posti occupati, la politica. L’autoproduzione, le cassette a nastro e i dischi in vinile. Le etichette indipendenti. Le fanzine e il passaparola antagonista. I concerti, i raduni, le manifestazioni. Gli scontri, la violenza, gli eccessi, le droghe. Il rapporto conflittuale tra punk e stampa, i quotidiani e le riviste di costume. L’inizio, l’apice e il declino delle grandi band degli anni 80. In uscita nel 2013. Dopo la fine del mondo.

Il giorno del sole!

Negazione- Il giorno del sole

E’ uscito ufficialmente il 30 giugno ma io ne sono entrato in possesso solamente oggi. A circa 20 anni dal loro scioglimento i Negazione sono ritornati sul luogo del delitto per raccontare un’esperienza meravigliosa, la storia di un’amicizia che racchiude mille altre amicizie, la storia di un gruppo che ha segnato indelebilmente la scena Hardcore italiana, ed è senz’altro riduttivo dire così poichè si sono mossi attivamente su molti fronti europei: Olanda, Germania, ex-Jugoslavia, Spagna, Francia, Inghilterra e chissà dove altro…  anche in termini musicali. Per me, che li ho conosciuti dopo il loro periodo qui raccontato, rimangono il simbolo del fatto che qualcosa di ispirato, passionale e diverso può effettivamente uscire anche dall’Italia.

Parlarne senza sentire dei brividi per me è quasi impossibile: intrattenni un rapporto epistolare con un paio di loro, mi tennero a battesimo in quanto a concerti, le loro canzoni sono state una colonna ideale della mia adolescenza (“Niente”, il cui testo venne pensato da Roberto Farano mentre andava in centro da mirafiori era una sorta di inno) e… beh come avrete intuito hanno rappresentato davvero tantissimo per me, ed i brividi di cui sopra mi impediscono di parlarne con distacco: i Negazione non sono un mero argomento di discussione, un gruppo o una serie di dischi, rappresentano un periodo, un modo di aprire gli occhi su un mondo del quale cinque minuti prima si ignorava anche solo l’esistenza ma che poi non ti abbandonerà più finchè vivi.

Leggendo il libercolo allegato mi è passato davanti tutto questo e molto altro, ho conosciuto molto della loro storia che, essendo arrivato in ritardo, non potevo conoscere e quello che già faceva parte delle mie conoscenze l’ho ripassato con un sorriso tra le labbra. Tra le altre cose “Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi”… ho tentato per anni di dare un senso a questa canzone (il cui giro di basso -Rickenbacker- poi non mi abbandona per ore dopo che l’ho sentito) per scoprire che si trattava della semplice trascrizione di un sogno (credo si tratti di una cosa unica per un gruppo HC) e saperlo mi ha praticamente fatto lo stesso effetto di aver cercato per anni una spiegazione ai film di Lynch (“Mullholland drive” su tutti) per scoprire che alla fine vanno accettati per quello che sono: poesie oniriche.

A più di un anno dalla scomparsa del loro batterista Fabrizio Fiegl (che rimane sempre nella memoria) una dedica era doverosa ed un ricordo con la mano sul cuore anche da parte mia che, purtroppo, non l’ho mai visto esibirsi…

La Vittoria Della Sconfitta

 

Non sprecare parole e sorrisi per me

Io conosco già la fine del libro

Non mi serve addolcire il dolore

Perchè io ho perso

Ho già scelto la sconfitta

La vittoria della sconfitta

Quante volte ancora mi mostrerete

Che questo posto non è il mio

In ogni istante ad ogni occhiata

In ogni pensiero a ogni azione

Sempre

Fino a quando creperò

Davanti a qualche vostro palazzo

In ginocchio, con il corpo distrutto

Ma con la mente attiva

Perchè l’odio rimane

Quando mi chiedete perchè

Mi fate ancora più schifo

Io odio la vostra ipocrisia

Io voglio e non chiedo perchè

Conosco già la risposta

Troppe volte il bello diventa brutto

Troppe volte soffro

Troppe volte

Non sprecare parole e sorrisi per me…

testo: Fabrizio Fiegl, musica: Roberto “Tax” Farano e Negazione

Il futuro ed io

Il post di ieri e’ stato piuttosto frettoloso, non avevo sufficienti risorse per poter esplicitare ulteriormente il mio rapporto con gli scritti di Ray Bradbury, ne’ con il gruppo spezzino dei Fall Out (insieme ai Negazione un gruppo cui sono molto legato) e neppure con il futuro, con quello che aspetta sia me stesso che il mondo in generale.

Non sono mai stato molto noto per la mia visione positiva della vita, particolarmente quando ero verso la fine delle superiori ed anche al primo anno di universita’, magari complici anche gli ormoni impazziti ed inascoltati, propri del periodo, la mia visione delle cose si inabissava giorno dopo giorno. Avevo una trilogia di libri, cui pensavo, al tempo, come “la trilogia del futuro”: c’era, ovviamente, “Farenheit 451”, “1984” di George Orwell ma anche ” Un mondo nuovo” di Aldous Huxley… tutto veniva “splendidamente” riassunto poi dalla frase di O’Brien che recita: “Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano — per sempre” ero, insomma, un personaggio solare ed innamorato della vita e delle persone che mi circondavano.

Sia bene inteso che quanto narrato nei tre libri fossero avvenimenti molto tragici, eppure mi affascinava anche l’idea di una piccola porzione di umanita’ che si ribella, che non si adegua, che tenta strenuamente di opporsi ai tentativi di controllo da parte del potere, mi interessava anche verificare fino a che punto fosse possibile manipolare le persone e renderle un mero strumento della volonta’ altrui.

Nello stesso periodo o, se vogliamo essere precisi, poco tempo prima, mi nutrivo molto di Hardcore, la deriva forse piu’ oltranzista e lucida del punk settantasettiano: in Italia c’era un distaccamento piuttosto nutrito e agguerrito di questo movimento giovanile che ha le sue radici in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Uno di questi gruppi, con cui entrai in contatto, erano i Fall Out di La Spezia. Lessi del loro disco dell’88 “Mondo Criminale!” sempre su H/M  scrissi loro e me ne mandarono una copia (ah che sensazione inviare i soldi nascosti nella carta a carbone e poi accorgersi che il nero ti ha invaso il volto!) e mi si aprì davanti qualcosa di nuovo, i testi, le citazioni (alcune delle quali destinate a diventare una costante fonte di riflessione), l’artwork curato dall’indimenticato prof. Bad Trip!

Nella copertina interna il gruppo si prefiggeva di risvegliare le menti di coloro che ascoltavano il disco e devo dire che con me centrarono il bersaglio. Parlavano il mio linguaggio dell’epoca: claustrofobiche visioni di un mondo spogliato di ogni umanità, sia attraverso l’abominio del passato, che attraverso la prospettiva di un futuro senza speranza… pane per i miei denti di allora quando mi cibavo di visioni apocalittiche e di negatività in tutta risposta all’esuberanza marcia e arrivista propria di fine anni ’80/inizio ’90. In realtà non ero un personaggio totalmente negativo che passava le sue giornate a deprimersi e a farsi del male… ok, anche, ma non c’era solo quello… il punto fondamentale era che la realtà mi sembrava totalmente diversa da quella che traspariva da radio e televisione, mi sembrava che tutto fosse una colossale menzogna che si andava raccontando alla gente ed ero terrbilmente schifato dall’ipocrisia generale. Questo nascondeva però una persona passionale che ricercava la verità sopra ogni cosa, che credeva (e crede) negli ideali e nei sentimenti nonostante si attenti a queste cose da più parti, in continuo.  I Fall Out Parlavano per iperboli, ma sembravano infinitamente più concreti e reali di tutto quello che la cultura massificata tendeva a raccontarmi. E all’inizio della seconda facciata del vinile c’era “Farenheit, il giorno della fenice”, canzone ispirata dal libro di Bradbury che finì per divorare ed adorare, qualche tempo dopo esattamente come il fim di Truffault.

Oggi riguardo con tenerezza a quel tardo-adolescente, soprattutto per via della sua passione e trasporto che col tempo hanno un po’ allentato la presa, a favore di un certo cinismo e disillusione e non so dire effettivamente se il cambiamento sia positivo. Il mondo, certe persone, gli interessi, il potere e tutto ciò che ci gira attorno continua a far paura. Ed il domani non appartiene a nessuno…

L’innamorato, come il poeta, è una minaccia per la catena di montaggio (Rollo May, Love And Will, citazione dal libretto di “Mondo Criminale”)

Fugazi. F**ked Up Situation.

Una situazione fottuta. Come camminare in pantaloncini corti per il proprio paese all’alba del 3 gennaio e leggere lo stupore sulla faccia delle persone, mentre le foglie marce di ghiaccio ed acqua gelida ti scricchiolano sotto le suole, vecchie di tre anni, lise e consunte, a tratti abbrustolite dal tempo. Come una libera associazione di idee che ti fa star male.

Libertà. Incomunicabilità. Verità. Fiducia. Solitudine. Speranza.

Ognuno trovi le sue connessioni seguendo il filo rosso del ragionamento e dell’esperienza: è un percorso irto di spine esistenziali, di contusioni morali, di sfibramenti nervosi, di umiliazioni sostanziali: unire i puntini da  qui al giorno della nostra dipartita più o meno definitiva. Non arrendersi innanzi alla pochezza dei risultati, non essere soddisfatti di quozienti deludenti, non fidarsi di risultati falsati dal prossimo e nemmeno delle parole pronunciate al di fuori della nostra testa.

Ognuno di noi è un codice in attesa di essere decifrato correttamente, una sonda scagliata nel buio e freddo ignoto, nella speranza di venire raccolta ed accolta. Una prospettiva affascinante ma a tratti tragica, poiché ciò che va perso nell’opera di decriptaggio ci restituisce la misura del nostro isolamento non volontario. E mina pesantemente la strenua opera di avvicinamento tra esseri (si suppone) simili. Ancora una volta occorre dedizione, impegno e forza di volontà nel tentativo quotidiano di superare l’oceano di pressapochismo spirituale che ci circonda, ancora una volta la sensazione è quella di essere cani impazziti che tentano di mordere la propria coda. Un gioco che stanca in fretta, una situazione fottuta, come ogni essere umano sensibile e pensante.


Laura Filippi ART

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