Negli anni ’90 avevo una pratica segreta che mi piaceva più di tutte. Chiudermi al buio completo in una stanza e stare assolutamente fermo ascoltando musica. Una ragazza mi vide farlo una volta e si spaventò, ma non erano prove generali del mio trapasso, era un modo per chiudere il mondo fuori. Era un modo per concentrarmi sulle note e rendere loro omaggio del mio amore incondizionato, non potevo farlo con qualsiasi disco. Se allora mi avessero chiesto 5 dischi che meglio definivano gli anni ’90 non avrei avuto dubbi nel dire: My Dying Bride “The angel and the dark river”, Nine Inch Nails “The downward spiral”, Celestial Season “Solar lovers”, Kyuss “Blues for the red sun” e In The Woods… “Omnio”. Quest’ultimo era il disco perfetto per quanto descritto sopra.
Gli In The Woods… erano un mio personalissimo oggetto di culto che alla fine risultò per un attimo anche abbastanza popolare. Erano assolutamente misteriosi, sembrava che nessuno li avesse mai visti in faccia, alcune foto girarono solo dopo il disco successivo “Strange in stereo”, pareva che avessero tenuto un oscurissimo concerto nella sala della casa discografica Dracma di Torino (se qualcuno se la ricorda ha tutta la mia stima) del quale si narravano cose tipo maschere, veli e ghiaccio secco a celare l’identità dei musicisti… io non ebbi la fortuna di presenziare ed ero vittima di confuse e fantozziane voci di corridoio.
Il primo disco “At the heart of the ages” era ancora venato di black metal, nel cantato e nell’atmosfera generale, ma già dal primo brano, con quella nota ripetuta all’ossessione (che io associavo a “The cry of mankind”) si capiva che erano molto più di questo.il gruppo di Kristiansand esplose letteralmente nel disco successivo, il glorioso “Omnio”, un disco in grado di farmi letteralmente perdere la testa. In molti gridavano al tradimento, personalmente era una delle cose più belle che avessi mai ascoltato. Il disco era la quintessenza dell’universo parallelo nel quale avrei voluto perdermi, allora i concetti di deprivazione sensoriale (poi reso famoso da “Stranger things” tra gli altri), meditazione e distacco dalla realtà non mi erano ancora del tutto chiari, sapevo solo che quello era uno spazio mio, e quel disco era una sorta di porta verso quel mondo. Quindi era (ed è) meraviglioso. Avere in casa un disco come “Omnio” è come vivere ai piedi delle montagne, sai di avere a disposizione, a poca distanza da te, la possibilità di raggiungere un posto impevio ma affascinante, nel quale rifugiarti e in cui nessuno o quasi può trovarti. Tu però lì puoi far rinascere te stesso.
Cinque brani di cui uno, che da il titolo al disco, diviso in tre movimenti poco più di un’ora di durata, non una nota fuori posto. Anzi sì, nel primo brano, che poi ha per titolo il valore della velocità della luce, si sente una nota dissonante talmente evidente che viene quasi da pensare che l’abbiano lasciata lì apposta, tanto per risvegliare l’ascoltatore, come un campanello che suona nel silenzio più assoluto. A 25 anni dalla pubblicazione rimane uno spiraglio di luce, un disco assolutamente a sé nel panorama della musica pesante e non solo. Dopo questo ancora un bel lavoro e una raccolta, poi il silenzio.
Viene pubblicato un live nel 2003, poi nel 2016 tornano. Ma non sono più loro: c’è un tale turbinio di muscisti che si avvicendano da lasciare disorientati, gli In The Woods… diventano una sorta di collettivo con gente che entra ed esce. Questo non significa che ora facciano musica pessima, tuttavia quell’aura di magia e mistero è andata completamente persa. E si è perso molto anche in tremini di genialità, adesso semplicemente sono un gruppo più canonico e meno peculiare, comunque piacevoli da ascoltare anche se non più in grado di indurre l’ascoltatori in dimensioni parallele o mondi lontani. A 25 anni di distanza da “Omnio” è uscito “Diversum”…