Stefano Rampoldi è sempre in grado di sorprendere, ogni volta. L’ultimo
disco aveva quell’aria sbarazzina e leggera, quell’ironia stramba, quell’aria
quasi di disimpegno scanzonato da contrapporre alla perdita della madre, cui
era dedicata l’unica traccia composta e intima del disco. Per quelli
che erano rimasti nell’ aura di “Graziosa utopia”, come il sottoscritto, fu
spiazzante. Uno strappo. Per intenderci: un brano come il bellissimo “Spaziale”
non avrebbe mai trovato posto in “Fru fru”, sarebbe stato semplicemente fuori
luogo: erano due mondi troppo diversi, uno che scava e l’altro che balla sulla
superficie.
Adesso arriva “Illusion”, scritto con i caratteri fonetici, nato dal
proseguire della collaborazione con Gianni Maroccolo, iniziata durante il
periodo più isolato dettato dalla pandemia e sfociato in un disco quasi ironico
almeno dalla copertina e dal titolo. I contenuti lo erano meno. Prima di questo
disco, in via precauzionale, avevo azzerato le aspettative: averne si era
dimostrato deleterio e fuorviante.
Ancora una volta il disco nuovo è qualcosa di diverso. Ci sono dei tratti
riconoscibili: l’incredibile voce di Edda, i suoi testi in bilico fra
l’assurdo, l’ironico ed il poetico e la sua chitarra. Il contesto però è
completamente diverso. Essenziale. Non una nota in più, uno strumento aggiunto,
un arrangiamento sontuoso. Sembra riprendere “Semper biot” ma attraverso un
lungo percorso evolutivo che lo arricchisce di accenti e sfumature che prima
erano solo intuite. Canzoni che non superano mai i quattro minuti, riverberi,
note accennate ed altre marcate, mai eccessive. Mi è venuto in mente che è un
processo non dissimile a quello operato da Nick Cave su “Skeleton
tree”, nel quale il cantante australiano ha completamente spogliato la
propria musica riducendola all’osso, qui è quasi la stessa cosa, anche se quest’esigenza
non nasce da una tragedia (la morte del figlio nel caso di Cave), bensì da una
precisa necessità artistica.
Tutto quel silenzio nascosto tra le note, ha lo stesso suono di un’ illusione
che deve essere metabolizzata. E Stefano non ti rende affatto semplice il
compito. Sono dischi i suoi che necessitano di partecipazione, di interiorizzazione,
occorre prestargli attenzione e volergli bene, piantarli e coltivarli, lasciare loro il tempo di fiorire.
Da subito mi colpisce “Trema”, nella quale spicca un bel suono di chitarra che mi fa tornare in mente Jeff Buckley e gli amplificatori Fender, con un testo lacerante, ma è quasi sicuro che se me lo chiedete tra 15 giorni avrò un altro brano in testa.
Ed ancora non l’ho inquadrato completamente questo disco, ma so che mi piacerà sempre ascoltare quello che canta e quello che suona, il suo essere senza filtri e strampalato come lo si legge nei social. Edda rimane un unico nel panorama della musica popolare italiana: ispirato, passionale e vero. Uno che ha vissuto sul serio, senza mai atteggiarsi (e ne avrebbe ben il diritto) e risultare artefatto o pieno di sé, inimitabile e personale. Ad ogni sua prova discografica non posso fare altro che ringraziare, stavolta anche Maroccolo.
Free Spirit, Metalhead with a head, Vegetarian, Nonconformist, Misanthrope, Agnostic, True to myself only.
I don' eat zoomorphic cookies too...
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2 pensieri riguardo “Illusioni e tremori.”
Grazie!!!
Avevo letto ieri la notizia di un nuovo suo album e tu … mi sa che sarà uno dei prox acquisti!
“Quando siamo calmi e pieni di saggezza, ci accorgiamo che solo le cose nobili e grandi hanno un’esistenza assoluta e duratura, mentre le piccole paure e i piccoli pensieri sono solo l’ombra della realtà.” (H. D. Thoreau)
Grazie!!!
Avevo letto ieri la notizia di un nuovo suo album e tu … mi sa che sarà uno dei prox acquisti!
Non c’è di che, ogni suo disco è una garanzia!