Ai suma da bun! Ci siamo davvero! Recensire il nuovo disco di uno dei gruppi che maggiormente stimi, è davvero un’impresa simile ad attraversare un campo minato, è sicuramente qualcosa che ti mette a dura prova. Soprattutto se hai fatto di tutto per restare impermeabile alle altre recensioni che hai letto, se ti ci sei messo di impegno per cancellare dalla mente l’affetto che provi per i personaggi coinvolti, se ti sforzi di non tener conto delle emozioni incredibili che sono stati in grado di regalarti su disco e, a maggior ragione, dal vivo.
Dopo cinque anni, l’attesa era palpabile, l’ansia giustificabile. In seguito ad aver letto recensioni non sempre positive, approcciarsi al disco incuteva un certo timore perché essere delusi da un gruppo è come venire traditi da un amico, dopo riconquistarsi la fiducia è dura. Invece “Honor Found In Decay” è un disco che, seppure ascoltato ancora poche volte, mi convince e mi soddisfa. I detrattori siano avvertiti, non è poco, perché da un gruppo come i Neurosis ci si aspetta che mantengano gli standard ad un livello adeguato e così hanno fatto. Quando uscì “Given To The Rising” pensai che si stessero adagiando sugli allori, che ormai fossero soddisfatti del loro sound, che non avessero più nulla da dimostrare: era il classico disco dei Neurosis bello, in certi momenti (“The Water Is Not Enough” per dirne una) sublime, ma con qualche dubbio di fondo, circa il fatto che il percorso evolutivo straordinario che li aveva contraddistinti fin dagli anni ’90 avesse raggiunto la sua meta finale, rivelando una band eccelsa ma probabilmente un tantino statica.
Intendiamoci: stravolgimenti assoluti non ce ne sono ed è proprio stato questo uno dei fattori che mi ha fatto innamorare del gruppo: hanno una profonda coscienza della loro identità musicale e la mantengono ferma, muovendosi attorno ad essa. Ed è esattamente ciò che il nuovo disco fa e che era un po’ venuto a mancare nel precedente. Se siete fan soprattutto dei lavori come “Through Silver In Blood” o “Times Of Grace”, per non parlare dei precedenti, e pretendete un ritorno a quella formula roboante e fantastica resterete delusi e ben vi sta. Questo è forse il disco più accessibile dei Neurosis, è forse il loro lavoro che più di ogni altro ti permette di addentrarti maggiormente al suo interno, quello che oppone meno resistenza, senza dimenticarsi però che una volta dentro al loro immaginario sei in loro potere. Un po’ come fecero i russi con Napoleone, lo fecero entrare facendo terra bruciata dietro alla loro ritirata e lo lasciarono in balia del “generale inverno”. Adesso tanti auguri, scambiatela per debolezza e saranno problemi vostri.
Se da una parte ricorrono alla psichedelia, ai momenti acustici anche figli delle carriere solistiche del duo Kelly/Von Till e concedono più spazio alle tastiere di Noah Landis dall’altra il loro immaginario greve ed apocalittico non accenna a far filtrare il sole, non concede nulla alla speranza di un orizzonte meno plumbeo ed oppressivo, non arretrano di un millimetro. Le chitarre si prestano alla tattica ed aspettano nell’ombra che si presenti l’occasione giusta per assaltare l’ascoltatore, ci sono imboscate ovunque nello svolgersi dell’oretta nella quale sarete in loro balia. Non intendo aggiungere altro, se volete testarne la consistenza l’intero disco è in streaming nel sito del Roadburn Festival, un altro evento al quale sogno di partecipare, praticamente da quando esiste… peccato che non sia affatto semplice!
Non resisto 😀 “Da bun” in bergamasco si dice “delbù”, rigirato in italiano è “del buono” (penso sia la stessa cosa per il biellese); parlando mi capita di dire “del buono” anzichè “davvero” 😛
Neurosis: beh, dato che l’album è in streaming, perché non ascoltarlo?… Anche perché dopo aver letto la tua recensione sono curiosa di sentire come suonano le loro atmosfere cupe e opprimenti 🙂 Per quanto riguarda il Roadburn Festival: non ci sono voli Ryan per l’Olanda? 🙂
I dialetti hanno un fascino tutto loro 😉
Sì sì i voli ci sono, ho anche studiato il tragitto, Orio Al Serio-Eindhoven, Endhoven-Tilburg in treno… peccato che lo facciano in Aprile in un periodo in cui non è facile prendere ferie e, ovviamente, la parte migliore è che i biglietti vanno esauriti in mezz’ora, massimo 45 minuti il novembre precedente. Insomma, ci va una buona dose di fortuna per accaparrarseli, ma dev’essere un’ esperienza epica, con tutti i gruppi in giro per le strade della cittadina olandese… vabbé meglio non pensarci.
Ti dirò, stavo pensando esattamemte le stesse cose… Ihihih! 😛
bella recensione. Un po’ tiepidina però: in questi casi si deve esagerare! 🙂 CAPOLAVORO ASSOLUTO!!
Direi che è una definizione è un tantino abusata, per questo ho evitato. Il disco mi piace e sta NETTAMENTE crescendo con gli ascolti, che sia un capolavoro assoluto non saprei, inoltre provo tanto e tale affetto per il gruppo che sono sempre qui a chiedermi se sia il mio essere di parte o il valore effettivo del gruppo. Per essere definito un capolavoro assoluto sono sicuro che gli manca la componente storica, nel senso che manca quel senso di evoluzione che era palpabile in dischi come “Souls At Zero” o “A Sun That Never Sets” nei quali si sente davvero qualcosa di rivoluzionario. Quest’ultimo ha i suoi momenti innegabili (e mi sembra di averli rilevati) ed ha il grandissimo pregio di introdurre nuove sfumature, ma credo che la loro formula di fondo si possa darla per acquisita… resta un bellissimo lavoro, probabilmente in cima alle uscite dell’anno, nonostante certi mostri sacri come GY!BE, Swans, Enslaved, High On Fire e Converge. Grazie del commento comunque 😉