Obituary
Siamo ancora qui!
Se consideriamo che l’anno si è aperto assistendo a due concerti in due giorni,non possiamo lamentarci. Il bassistico duo è passato attraverso l’apatia per due sere e poi è tornato a nascondersi nell’ombra di lavori quotidiani, malattie da raffreddamento e routine impossibili da eludere se non per lo spazio di due recipienti colmi di malto fermentato e luppolo.
Siamo arrivati al 2015, qualsiasi cosa sia successa altrettanti anni or siamo. Non fa alcuna differenza in realtà, potrebbe essere un numero qualsiasi ma siamo qui e sebbene sfiniti dal quotidiano, siamo ancora in grado di ritagliare qualche attimo al di fuori dalla consuetudine dei nostri giorni feriali.
Ironico che per farlo si debba guardare al passato. L’Hiroshima mon amour è un locale storico di Torino, che oggi ospita un altrettanto storico ospite. Mauro Guazzotti, in arte MGZ. Per me è rimasto per un bel pezzo una sorta di giullare indefinito che seguiva i Negazione in tour… fin quando arrivai ad ascoltare un suo brano… e allora capii che era molto di più.
Era un pazzo! Subito le basi simil-techno mi misero a disagio, il problema è che ovviamente mi prendevo troppo sul serio. Anche perché quando ascoltai il testo mi fu tutto chiaro, ovvero che dovevo lasciar perdere i pregiudizi e farmi una risata. E la risata mi avrebbe seppellito, non mi avrebbe più lasciato. Grande MGZ, fa piacere sapere che sei ancora qui anche tu (e che ai tuoi concerti ci si diverte come matti…).

Il giorno dopo, senza soluzione di continuità, tocca agli Obituary: più di un anno fa ho finanziato il loro rientro discografico e direi che, a questo punto, fosse il caso di controllare l’investimento. Su disco finalmente sembrano aver ritrovato la vena, dopo un paio di lavori un po’ sotto tono. Cambiano bassista e chitarra solista e ritornano in grande spolvero. Sono invecchiati decisamente poco dall’ultima volta: John Tardy ha messo su pancia, ha la barba che imbianca eppure rimane una delle voci che indiscutibilmente hanno segnato il mondo della musica pesante. Per Donald Tardy non c’è vecchiaia che tenga, quando si siede sul suo sgabello a petto nudo e cappellino da redneck fa lo stesso effetto del terremoto. Poi c’è il nostro idolo Trevor Peres… dalla carnagione chiara e le occhiaie scure, non ha ancora perso uno dei suoi capelli (lunghissimi) e tantomeno ha preso ad imbiancare. Macina i suoi riffs accordato più basso di un abisso in totale adorazione dei primi Celtic Frost più catacombali. Il piatto è servito.
Ci perdiamo i gruppi di supporto in favore di una rinfrescante dose di cervogia, ma poi individuo l’amplificatore di Trevor e mi ci metto davanti. E oggi come ieri sembrano ancora gli anni ’90. Nostalgici certo, ma anche dannatamente concreti, dopo tutti questi anni. E’ impossibile accontentare tutti i fan, come non cedere alla blasfemia al microfono… eppure perché non cedere alla tentazione di pensare che il tempo non sia mai passato, nonostante Frank Watkins si sia perso nel nulla e Allen West nell’alcool. Lunga vita ai redneck, prima o poi mi farò un giro in Florida e sui vostri simpatici ventoloni che scivolano sull’acqua!

Il mestiere più facile del mondo
E’ facile sparare sentenze… è divertente e da soddisfazione, scrivere parlare e sparlade di questo o quel disco e al contempo è anche la cosa più difficile da fare. Perchè occorre avere un minimo di competenza e cognizione di causa, ci vuole avere orecchio, tutto, tanto anzi parecchio.
Io non ho pretese e non riesco più a scrivere recensioni seriose con mille riferimenti e citazioni, ultimamente sono molto più per l’equivalente delle chiacchiere da bar, perchè alla fin fine sono più incline a pensare di buttare lì due cose su un disco in uscita e poi lasciare ad ognuno le sue opinoni.
Tempo fa mi si faceva notare che il mio stile “troppo didascalico” finiva per diventare tronfio e pesante in un’epoca nella quale tutte le informazioni sono alla portata di tutti.
Io continuo ad amare la pesantezza, almeno in musica, ciò nonostante mi sono orientato verso un buon bicchiere di birra (tipo questa) e due chiacchiere rilassate.
Dunque, vogliamo parlare dei Pink Floyd? Mi viene da sorridere a pensarci, esce questo disco e cosa se ne può mai dire? da una parte quelli che sparano sentenze sul fatto che sia un raschiare del barile, che forse avevano finito i soldi, che si tratta di scarti, dall’altra quelli che si sperticano solo perchè il loro gruppo preferito rompe il silenzio dopo anni e no gli par vero. Uhm non lo so. Il disco ha i suoi momenti, se non altro perché sembra accantonare a tratti il piattume del disco dalle cui sessioni deriva (“the division bell”) e sembra riabbracciare un po’ il loro passato anche di stampo waters-iano. Io la vedo in questo modo: avete mai avuto un gruppo, vi siete mai registrati durante le prove? Questo disco è come se mi desse l’opportunità di assistere, 20 anni dopo, alle prove dei Pink Floyd (seppur senza Waters, che non è poco), con tutti i limiti che questo comporta. Visto che sono strapieni di soldi dubito del movente monetario, mi viene da pensare che sia un po’ come quando trovarono delle foto scartate di Marilyn Monroe, può darsi che non fossero perfette, ma pur sempre di Marilyn si tratta.
Gli Enstürzende Neubauten fanno uscire un concept album sulla prima guerra mondiale, cent’anni dopo che il conflitto scoppiò nell’Europa orientale. Sembra una cosa pretenziosa ed elitaria al tempo stesso. Sicuramente “Lament” è un disco difficile, teatrale e pieno di rimandi e citazioni. Ampiamente al di là di quanto possa fare un qualsiasi gruppo. Sinceramente affascinante, almeno nelle premesse. Confesso che devo ancora comprenderlo e non sarà facile, magari il concerto all’auditorium RAI di Torino a fine mese mi schiarirà un po’ le idee.
I Sunn 0))) si lanciano anch’essi in un’operazione difficile, una collaborazione con Scott Walker. Faccio molta più fatica a digerire questo disco che quelli precedenti del duo americano che pure sembrano assolutamente più ostici, ma forse, proprio per questo, mi somigliano di più. Un altro disco che richiederà parecchio tempo, anche solo per capire se mi piace o meno. Che non sia facile è sicuramente un punto a suo favore, che richieda impegno anche, però l’idea di sprecare tempo e forze non mi sorride molto. Si vedrà, speriamo anche in questo caso, dal vivo.
Tomas “Tompa” Lindberg ha da sempre la mia stima e la sua band principale gli At The Gates anche. Sono tornati anche loro e sentire la sua voce abrasiva cavalcare nuovamente le onde sonore è un piacere. Non sono tornati tanto per fare, mi sembra che “At war with reality” lo testimoni ampiamente. Se mi è concesso fare il pignolo però, mi ricordo un’ intervista del cantante svedese nella quale si rammaricava di aver inerito troppa melodia in un genere aggressivo e brutale per definizione come il death metal. A distanza di tempo tutto quel citare l’ hardcore come influenza e reclamare un sound risoluto e quasi minimale (a contrasto con un passato decisamente più “sperimentale”) devono essere degradate, non si spiega altrimenti un tale sfoggio di melodie e strizzate d’occhio al metal classico. Questo non rovina irrimediabilmente il loro lavoro, ma probabilmente preferivo prima: questione di gusti.
Ho supportato gli Obituary finanziando il loro nuovo disco “Inked in blood” e ho fatto bene! Finalmente sono tornati in pompa magna, in effetti non potevano deludere i fan che ci hanno messo i loro sudatissimi soldi. Abbiamo dovuto aspettare qualche mese in più ma ne è valsa la pena. Non che abbiano reinventato la loro formula, ma hanno decisamente ritrovato l’ispirazione e ne sono contento, ora non vedo l’ora che sia il 24 di gennaio. Più forte ragazzi!